elogio dell’impotenza

Godi che re non sei, godi che chiusa
all’oprar t’è ogni via: loco a gentile,
ad innocente opra non v’è […]

Non puoi impedirmi di fallire.
Puoi solo impedirmi di farcela
.

Ieri sera, quando l’ho scritta senza pensarci, di getto, a proposito di cose di vita quotidiana, non mi ero resa conto che questa riflessione – me non del tutto consapevole – sta accompagnando la mia vita da un certo tempo.

Mia madre, per esempio.
Mia madre era miniaturizzata dal dolore e dalla tristezza.
Non aveva più fuoco, gli occhi avevano perso la luce.
Di quando in quando un guizzo, ma era cosa di un istante.

Così a lungo avevo creduto – e lei prima di me – che fosse in mio potere aiutarla a vivere con più gioia ancora, a dare un senso alla sua vita, a darle un motivo per vivere.

Per un po’ sembrava che funzionasse, ma funzionava solo perché la gioia della speranza ce l’aveva lei, e in me la rifletteva.

Mia madre aveva due fari, nella vita, ed erano riassunti in due modi di dire:

Il meglio deve ancora venire

e

Quello che non si fa in un anno si fa in un’ora

Quando ha realizzato che il meglio non sapeva più sperarlo e l’ora si era accorciata, ha deciso che stop, che si doveva attrezzare a morire un po’ alla volta, prendendo distanza da tutto, un millimetro in più ogni giorno.
Con un grande dolore, certo. Piangeva molto, e facilmente.

Chiunque senta che il suo sentiero sta per finire piange molto, immagino.
Mette a confronto i sogni con ciò che è stato, o le speranze con quello che se ne è ricavato.
Realizza che il corpo fa di testa sua e che la testa scappa: e allora piange, piange sapendo che nessuno veramente può capire.

Anche questo spezza il cuore, immagino.
Ma quando si accetta anche questa cosa – che nessuno può capire – allora le cose si fanno un po’ più serene. Perché – insieme – arriva anche la consapevolezza che nessuno può aiutare; che nessuno può far rinascere il senso. Non importa quanto amore ci sia, o quanto ce ne sia stato.

C’è un momento in cui si capisce che si è soli.

E – in quel momento esatto – chi sta accanto capisce che viene restituito alla sua impotenza.
Che non può impedire a nessuno di morire. O, detto in un altro modo: che non può bastare a nessuno per vivere.
Può soltanto essere d’ostacolo al bisogno di morire.

È qui che si capisce di quali fili è costruito il nodo di una relazione d’amore profonda e intricata.

Con un figlio – in relazione alla vita – funziona allo stesso modo.
Arriva il giorno in cui proteggere non ha più senso.

Proteggendo e aiutando non si impedisce a un figlio di fallire, ma si fa solo in modo che non riesca a farcela.

È l’errore l’unica via per capire, per cambiare, per conoscere se stessi, i limiti, il mondo.
Bisogna lasciare essere le cose. Anche gli errori.

È una prova difficile, e periodicamente si ricasca nella convinzione che controllare è bene; che controllare si può.

E invece no.