decifrare i segni
Sono orgogliosa di essere giornalista, e non mi interessa di coloro che – facendo i giornalisti – ogni giorno ne calpestano l’etica, oppure sono così sciocchi da non riuscire a decifrare quello che passa sotto i loro occhi.
Io sono orgogliosa di esserlo, e lo sono (giornalista, intendo) da sempre.
Da quando cercavo indizi negli occhi di mio padre per capire se era arrabbiato, e se quella sera a casa ci sarebbe stata tensione.
Da quando guardavo mia madre per capire se aveva la forza oppure no, se l’idea di uccidersi per quello che era successo a mio fratello le era passata, se la fiducia nel futuro ce l’aveva oppure no, se la gioia di vivere stava tornando, se aveva paura, se potevo fare qualcosa per lei.
Da quando osservavo mio fratello cercando di capire cosa capiva, e come, e perché, e quale reazione mi avrebbe fatto comprendere che eravamo in contatto.
Da quando un segno, uno sguardo, un rumore, un tipo di passo – trascinato, secco, pigro – un tono di voce, un abito, un movimento potevano fare la differenza fra «bene» e «male», non importa quanto grande o quanto piccoli fossero questo bene e questo male.
I giornalisti dovrebbero avere avuto una vita complessa nella quale sono stati chiamati a cogliere e a decifrare i segni da quando erano piccoli, soprattutto se a questa necessità di decodifica si accompagnava la motivazione di chi non aveva troppi soldi per vivere e nessuno glielo aveva tenuto nascosto, e dunque aveva capito che da grande tutto sarebbe dipeso da quello che sarebbe stato in grado di fare lui.
I giornalisti ricchi che non si sono dovuti mai preoccupare di niente dovrebbero solo fare i critici letterari. Quelli che, ricchi, hanno avuto famiglie complesse sono ammessi a scrivere pezzi alati sui «retroscena» di politica.
E stop; grazie, basta così.
Giornalisti-sciuscià, riprendetevi la scena.
È vostra, e solo voi – adesso – potete dire qualcosa che ci metta tutti in condizione di capire di più.
Essere giornalista è un modo di guardare alle cose, e dentro le cose, e al di là delle cose, e prima delle cose, e dopo le cose..
Non è nient’altro.
Chi vi dice che è «comunicazione» vi racconta una bugia.
Prima della comunicazione c’è sempre un contenuto.
E il contenuto si deve andare a cercare.
E per cercarlo bisogna sapere come fare.
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