crux, crucis
Fra due settimane finisce un anno cruciale e doloroso.
Ho smesso di essere figlia, perché è morta mia madre, e sto ripartendo da un anno zero.
Non avrei mai creduto che la sua morte, che ho sempre temuto come la più straziante delle esperienze, potesse riportarmi all’idea della pace. Che potesse insegnarmi tante cose di me.
E così, quando l’anno scorso a Natale ti domandavi «chissà se l’anno prossimo sarò ancora qua?» la risposta giusta sarebbe stata «no, mamma: non ci sarai. Morirai l’8 agosto, nel tardo pomeriggio, dopo cinque settimane di ospedale, senza grandi sofferenze, in fondo per nessuna malattia, dopo non avermi visto per dieci giorni, e senza farti vedere morire da me».
Ho ripreso a scrivere davvero.
Ho avuto momenti di felicità e di speranza, ma in generale il 2016 è stato un periodo angosciante, segnato perlomeno fino a un certo punto da una grande sfiducia in me stessa e nel futuro.
Ho mandato giù rospi. Ho cominciato a imparare cosa significhi essere impotenti e ricavarne sentimenti misti fra il sollievo e la disperazione, a seconda dei momenti e dell’intenzione maggiore o minore di farmi del male: me l’hanno insegnato la morte di mia madre e un figlio che fino al 22 agosto aveva sedici anni.
Ho capito che vengo prima io, ma le mie inadempienze continuano a pesarmi: qui dovrò lavorare un altro po’.
Ho capito che forse posso tornare a sognare, ma a tratti torno a dubitarne. Però poi ricomincio.
Mi sono resa conto che l’amicizia è importante, è bella, e si nutre di affinità.
Ho realizzato che no, non è possibile che io cambi il software: posso solo aggiornarlo, ma io resto quella che sono; e che, sia pure cambiando enormemente, ci sono cose che non potrò mai digerire, e ho ragione.
Sono andata a prendere la bambina con le treccine che avevo lasciato nel suo lettino, faccia al muro e spalle alla notte.
È con me; del suo dolore mi sto facendo carico io.
Ci siamo ricongiunte, e le cose adesso le faccio per lei, anche in nome suo.
Sto cercando di fare pace con il mio passato, e sono a buon punto.
Ho una consapevolezza più chiara del mio valore e delle cose che posso migliorare, e per questo parlo meno e do meno confidenza.
Ho progetti che promettono di essere perlomeno interessanti, e forse, per una volta, anche redditizi.
Vorrei che il 2017 mi facesse tornare in contatto stretto con la fiducia, il senso di possibilità, la leggerezza.
Vorrei avere tempo e salute.
E le persone cattive, acide, sciocche: ecco, quelle non le voglio più.
Ma dell’anno vecchio e di quello nuovo tornerò a scrivere.
Mi leggo nelle tue parole. Non so ancora fare Pace con il mio passato, perché per me il passato è finito solo poco tempo fa. Riuscirò a rimettermi in cammino come in quel giorno di marzo di trenta anni fa? Beh, continuiamo a destreggiarci su questo asse di equilibrio, sperando che il nuovo anno ci faccia saltare coi piedi giusti su un approdo sicuro. Tanti auguri!