lasciatemi stare
Ho un figlio, ha diciassette anni.
Ne avrei voluti di più. Avrei voluto che avesse qualcuno con cui condividere le cose, qualcuno che gli fosse pari con cui condividere l’attenzione dei genitori. E qualcuno con cui – anche litigando, e anche decidendo di non vederlo più – ricordare i suoi genitori quando i suoi genitori moriranno.
Ho sempre pensato, da piccola, che non mi sarei sposata e non avrei avuto figli. L’esempio di coppia che avevo a casa non era abbastanza felice da spingermi a credere che con un uomo sarei potuta stare bene.
Pensavo che avrei dovuto sempre saper badare a me stessa, e che nella vita il mio compito principale fosse questo.
È andata in modo diverso.
Sposarmi e avere un figlio è stato bello.
Sono due esperienze che ho desiderato con consapevolezza e con passione.
Sono stanca di leggere cose sulla maternità.
Sono stanca di leggere cose sulla mia pancia, su quello che dovrei fare e desiderare e quello che no.
Ora che siamo tutti molto presi da questa cosa dell’incredibile «Fertility day», leggo un’intervista a Natalia Aspesi, donna che non ha figli:
I figli per molte donne sono il sostituto della passione? Vuole dire questo?
Ci si aspetta che che sostituiscano l’amore che svanisce e che si pretende non cambi mai forma, né intensità.
Per rivendicare la sensatezza della sua sensatissima scelta privata – non avere figli – una donna decide di dire che chi fa figli li fa perché si «aspetta che sostituiscano l’amore».
E mi domando chi le dia il diritto di buttarla tanto in vacca, e sentenziosamente.
Leggo commenti entusiastici della campagna danese per l’incremento della natalità – «questa sì che è una campagna!», «qui sì che parlano di sesso!», «qui si includono anche i gay, gli anziani e gli infertili!» – guardo il video, e vedo che il titolo della campagna è «Fallo per la Danimarca».
Fallo per la Danimarca? E cosa c’è di diverso dalle campagne fasciste?
Non so: che me lo dicano, tutti quelli che si sono spellati le mani ad applaudire.
Leggo la lettera in cui un gruppo di psicologi dice alla Lorenzin che questa campagna è «confusiva» (porca miseria: con-fu-si-va), e contraddittoria rispetto al fatto che
studiare, laurearsi, emanciparsi, intraprendere una carriera, perseguire la realizzazione come persona e come donna, sembravano, negli ultimi decenni, gli imperativi da raggiungere, se non fosse che adesso, alle donne, viene ricordato che stanno venendo meno alla loro funzione riproduttiva.
Leggo questa lettera, insomma, e mi dico che forse c’era qualcosa di sbagliato anche in quegli «imperativi da raggiungere», cari i miei psicologi.
Leggo Saviano che scrive che
su fecondazione assistita, fine vita, aborto, unioni gay, stepchild adoption, maternità surrogata, proibizionismo e legalizzazione delle droghe (che è anche e soprattutto una questione di salute pubblica) in Parlamento pesano più i niet di Beatrice Lorenzin e sodali che le volontà di milioni di italiani.
Leggo Saviano e mi viene da chiedergli come possa permettersi di mettere insieme con tanta maschile e giovanile leggerezza, per amore del gioco retorico, la lana con la seta: il proibizionismo sulle droghe e le questioni che riguardano me, per dire: come la millenaria convinzione che le donne siano esseri che su se stessi non possono decidere (convinzione apparentemente condivisa da un certo numero di «femministe» fascio-paternaliste che straparlano e strascrivono di concepimento nel piacere – così attacchiamo la legge 40 – e di parto nel dolore).
Leggo di altri secondo cui alla maternità mancano supporti di genere economico.
Ma non è che facciamo figli (anche) perché abbiamo abbastanza soldi per mantenerli, o perché lo Stato ci aiuta; né evitiamo di farli (solo) perché non abbiamo soldi, o perché lo Stato non ci aiuta.
Facciamo o non facciamo figli per un’idea che abbiamo di noi stesse, e del nostro futuro nel mondo, e a volte anche perché accade di farne, oppure di non farne; e altre volte non ne facciamo perché il nostro corpo sembra non darcene la possibilità.
Lasciateci in pace, tutte.
Chi voleva figli e non ne ha avuti. Chi li ha persi. Chi non ci ha provato. Chi li ha ed è contenta. Chi li ha e se n’è pentita. Chi non può averne. Chi non sa come fare per averne perché non ha i soldi che servono a fare le cose necessarie. Chi non sa cosa pensare dei figli.
Lasciateci in pace, per favore: ministri, opinionisti, saviani, psicologi, ministri maschi e femmine, donne bionde e anzianotte che ne sapete una più del diavolo, e con quale leggerezza.
Lasciateci stare per sempre.
Se non siete capaci di trasformare queste cose in politica, se la vostra istanza è morale: state zitti per sempre.
Lasciateci in pace, sì. Ma non sulla salute. L’unica cosa a cui si dovrebbe interessarsi lo Stato (a mio parere) è impegnarsi a garantire e incentivare la salute dei suoi cittadini, tramite prevenzione e informazione. L’infertilità, come tutta l’educazione sessuale, è trattata in Italia poco e male, quasi sempre con puri intenti moralisti di stampo religioso. Il problema però esiste: gli uomini vanno poco dall’andrologo, ignorando disturbi che posso rivelarsi gravi, e d’altro canto anche tra le donne (che dal ginecologo vanno di più) malattie come l’endometriosi ti fanno sentire sola e maledetta. Dunque seppur con l’orrore addosso per questa tragica campagna prima sessista, poi razzista, ma comunque sempre fascista (costante il disagio per il suo sottotesto “Fallo per la Patria!”), trovo che la cosa più triste sia l’occasione mancata: promuovere semplicemente una giornata di consapevolezza e informazione sulla salute riproduttiva, come ce ne sono per tanti altri argomenti, dalla donazione del midollo al tumore al seno. Tutto questo si dovrebbe poter pretendere da un Ministro della Salute…suppongo non dalla Lorenzin.
Anna