il sesso e la lettura
Da un certo tempo fatico a leggere con la voracità e la ferocia che per molti anni mi sono state proprie.
Questo mi ha fatto spesso sentire inadatta, non legittimata.
Mi sono anche sentita estranea, al di là del perimetro che una volta delimitava il mio territorio esistenziale.
Mi sono chiesta «ma perché non leggi come prima? Perché leggi diversamente? Perché leggi più piano?».
Nei mesi mi sono data molte risposte, diverse di momento in momento, ma ho scoperto che funzionano cumulativamente, perché non ce n’è nessuna che ne escluda un’altra.
Non leggo come prima perché la mia vista si è abbassata.
Non leggo come prima perché se dopo le prime pagine un libro non mi acchiappa, non ho più il senso del dovere che avevo una volta.
Non leggo come prima perché io sono veramente diventata estranea al mondo che una volta era il mio territorio esistenziale, e non mi va più neanche la sola idea di provare a far parte di un mondo che non mi piace.
Non leggo come prima perché la vita vera mi ha richiesto molto sforzo, e quando ho bisogno di mettere il cervello a riposo io non riesco più a leggere.
Non leggo più come prima perché da quando ho lasciato il lavoro di giornalista dipendente posso dedicare le serate a cose che mi sono state proibite per vent’anni, come guardare i film.
Non leggo più come prima perché il piacere della lettura è insidiato dal fatto che in molti casi conosco – direttamente o indirettamente – l’autore che scrive quello che leggo, e io ho questo enorme limite che se non stimo umanamente un autore non riesco a leggere le sue cose. Non fino in fondo, perlomeno. Lo so: è una sciocchezza. Ma è una mia sciocchezza.
Non leggo più come prima perché se una volta leggevo una frase riccia e barocca, o se mi veniva da pensare che l’autocompiacimento dell’autore o dell’autrice sopraffaceva la storia, avevo abbastanza pazienza da concedergli, da concederle, il beneficio del dubbio. Adesso no. Forse sono diventata più intollerante, forse sono diventata una stronza.
Non leggo più come prima perché ho scoperto che posso fare le cose più lentamente. Tutte le cose.
Non leggo più come prima perché mi sono stancata di un sacco di cose, e anche di leggere; molte cose mi stancano; e anche leggere.
Non leggo più come prima perché a un certo punto mi sono trovata a non poter spendere tutti i soldi che prima spendevo in libri (e in tante altre cose) senza sapere se poi li avrei letti tutti oppure no [e allora mi sono anche domandata come mai se uno fa così con altri oggetti viene definito un consumista che non conosce il valore delle cose, ma se fa così con i libri viene definito un intellettuale].
Voglio dire una cosa anche a proposito di questa specie di imperativo morale alla lettura che leggo un po’ dappertutto.
Ci ritrovo spesso i toni assoluti e privi di serenità che vedo, per dire, nelle campagne antiabortiste.
Gli appelli alla lettura mi infastidiscono.
Vengono quasi sempre da coloro che, essendo del mestiere o essendo «lettori forti», mi sembrano persuasi che queste loro particolarità li caratterizzino in positivo, in opposizione al popolo bue.
Sono enormemente più insofferente di una volta, e anche infinitamente più selettiva.
La frase di un libro può uccidere in radice il mio desiderio di proseguire nella lettura esattamente come la frase pronunciata da una persona può convincermi che quella persona non la voglio più vedere, perlomeno per un po’.
Penso che scrivere sia un lavoro, e che si debba scrivere quando si ha qualcosa da dire, una storia da raccontare, e la si sa raccontare con i ferri del mestiere giusti (che sono anche quelli che a me possono non piacere, ovviamente; e se, per esempio, i ferri di autori molto lodati a me non piacciono, io non credo che riuscirò a farmeli piacere, perlomeno nel breve periodo. Lo accetto, e amen. Nel senso di: quali siano i ferri del mestiere giusti dipende da una valutazione del tutto soggettiva).
Leggere, invece, è un piacere.
Quando si legge per lavoro – intendo: quando si leggono i colleghi per dovere di lavoro – l’attività che si svolge non è lettura: è formazione.
Anche per questo, a me piacerebbe che chi si occupa professionalmente di scrittura comprendesse che non tutti hanno lo stesso dovere di formarsi, e che capisse che nel suo leggere c’è una dimensione di professionismo.
Non ha senso promuovere la lettura.
O la lettura è un piacere, o fa parte dei doveri di una professione.
Non credo che abbia senso che una pornodiva o un pornodivo facciano campagne per la promozione dell’attività sessuale: se il desiderio sessuale di una persona è in crisi, quella persona può decidere che lo lascia in crisi perché non ha la forza di farsi carico di questa cosa come di un problema, oppure prova a ragionare su di sé, sul senso del proprio desiderio, su cosa questo le racconta della sua vitalità e della sua fiducia nel futuro.
Ma nessuno che non sia la persona di cui si tratta può scegliere in quale direzione procedere, e con quale velocità. Le cose nascono dentro.
Ecco: la lettura – con l’eccezione della lettura professionale, ovviamente – è una cosa intima, intangibile, che nasce da motivazioni profonde come quelle che presiedono alla nostra quotidianità sessuale.
Mi sembra brutto che ogni giorno ci sia qualcuno che dice o scrive «ehi, nel 2015 ho fatto l’amore trecento volte, e con dieci partner», oppure «ragazzi, datevi da fare, perché se non fate l’amore la vostra vita ne risente, e ne risente anche la qualità della nostra vita sociale», oppure «dovreste smetterla di fare sesso purchessia, perché quello che conta è fare sesso di qualità, come facciamo noi».
Saranno tutte cose vere, probabilmente.
Ma di fronte a una questione che ha a che vedere con le cose più intime – la vitalità, la fiducia, la dimestichezza con sé stessi, l’allegria, il riconoscimento a sé di diritti, la percezione di sé, il proprio senso del tempo – non c’è invito che tenga.
In questi casi, l’invito serve solo a chi lo fa: a farlo sentire subito dalla parte di quelli che leggono taaanto, e beeene, e tu – povero deficiente che al massimo ti accontenti di Volo o di Gramellini – no.
Dopo aver letto il titolo del post e i primi “non leggo più come prima…” ho pensato che avrei trovato “non leggo più come prima perché faccio molto più sesso di prima.” 🙂
😀
Bellissima riflessione, mi ci ritrovo totalmente e ho ricevuto uno spunto in più per riflettere sul perché “io” non leggo più come prima ! Grazie
già. neanch’io leggo più come prima. i miei perché non li ho ancora analizzati bene. alcuni, mi pare, coincidono con i tuoi. altri non ne ho indagati. ma non leggo più come prima. son stata vorace e onnivora. ora se un libro m’annoia lo mollo e ciao, difficile che lo riprenda. faccio sempre più fatica a leggere gli autori di moda e poi, magari, li scopro con amore e dedizione quando di moda sembrano non essere più. certo condivido quasi tutto – o forse tutto – quel che dici attorno agli appelli alla lettura. e, un po’, mi viene in mente Aldo Busi che disse un tempo qualcosa del tipo “l’importante non è leggere, è aver letto” che è pure più spocchioso di un appello, ma, a mio avviso, parecchio più vero.