desperatio ultima dea
Ieri sera c’è stato il secondo incontro del gruppo che in Biblioteca civica a Verona tengo per il Circolo dei Lettori di Verona.
È un piccolo viaggio nei buchi che i giornali lasciano aperti fra le parole.
Perché quei buchi, le parole che non ci sono, hanno un’importanza almeno uguale a quella delle parole che ci sono.
Quel che serve è capire che i buchi ci sono, e a quel punto si è già a metà della salita che porta senza curve alle domande che i giornali lasciano senza risposta.
Quanto alle risposte, beh, quelle sono un po’ più difficili da trovare. Ma con un po’ di allenamento garantisco che si trovano anche quelle.
Alle persone che erano con me ho letto il pezzo principale che Repubblica di carta aveva dedicato nella sua edizione di ieri alla notizia della sentenza con cui la Cassazione ha annullato la condanna a Stephan Schmidheiny a diciotto anni di reclusione per disastro naturale doloso.
La vicenda è quella, tragica, dell’Eternit.
Ho dovuto prima di tutto dire che a me la sentenza non piaceva, altrimenti tutto sarebbe stato a rischio di fraintendimenti.
Il pezzo principale di Repubblica aveva la notizia alla ventesima riga, ed era scritta così:
[…] le colpe dell’ultimo dei proprietari della famigerata fabbrica di amianto, l’industriale svizzero Stephan Schmidheiny, sono cadute in prescrizione.
Ulteriori precisazioni, solo alla quarta colonna (in totale, dispiegate su due pagine, le colonne dedicate al pezzo sono nove).
[…] vanificando così la condanna a diciotto anni di reclusione per disastro ambientale doloso al magnate svizzero.
Poco sotto la metà della prima colonna, un altro pezzo di notizia:
Tremila morti di mesotelioma pleurico.
Nell’ultima colonna, un altro elemento:
«Ci hanno detto che il picco dei tumori sarà nel 2025».
Tralasciando il fatto che alla pagina successiva si legge questo
«Il picco – dicono gli epidemiologi – sarà nel 2020»,
a me resta da lettrice la curiosità di sapere chi ha detto che il picco dei tumori sarà nel 2025, e chi siano gli epidemiologi (quelli del 2020) a cui si fa un riferimento tanto generico.
Non è che io ho bisogno dell’avallo della scienza per credere a ciò che un giornalista mi dice. Nei confronti della scienza ho lo stesso genere di scetticismo e di bisogno di verifica che ho nei confronti di qualunque affermazione che io non trovi immediatamente persuasiva oppure portatrice di una spiegazione in re ipsa.
Però, ecco: avere un’indicazione della fonte mi avrebbe aiutata a pensare che io stavo leggendo un articolo giornalistico, e non un’opinione, un articolo di fondo, un affresco di costume, una gomorra, o un romanzo breve.
Pesco a caso fra le parole del pezzo: «la morte non si estingue», «polvere killer», «oblio del tempo», «strage negata», «polvere bianca», «neve malata», «sdegno», «sorpresa e disappunto», «indignazione», «catena dei lutti», «moralmente indecente», «nel nome del profitto».
A me sembra il campionario generico e a-specifico di cliché sfoderabile da qualunque romanziere in relazione a qualunque evento si intenda qualificare per tragico.
Letto il pezzo, ho chiesto alle persone che erano con me di dirmi cos’avevano capito dalla mia lettura.
Il fatto che la strage resterà impunita, mi hanno detto.
Che non ci sono colpevoli.
Ma qual è la notizia?, ho chiesto.
Che non c’è stata giustizia.
Sì, ma cos’è successo?
Ahhhh.
Era questo che volevi che ti dicessimo…
Ecco. Il fatto che dei lettori, dei cittadini, possano considerare normale leggere un pezzo di cronaca e ricavarne il senso di un’atmosfera, una morale, una parola d’ordine, un’opinione, un’idea, una piattaforma rivendicativa di qualche genere, a me fa capire che è proprio finita.
Quando a un articolo non si chiede di farci acquisire la consapevolezza che qualcosa è avvenuto a una certa ora, in un certo luogo, coinvolgendo certe persone, a proposito di certi specifici eventi diversi da qualunque altro specifico evento, successivamente ad alcuni specifici eventi, per opera di alcune specifiche persone che hanno quando possibile nomi e cognomi; quando si considera normale trovare cose come «polvere killer» e «neve malata», io penso che ci meritiamo non solo Saviano, ma anche tutti i giornalisti che circolano.
Penso che ci meritiamo i commenti scritti dagli scrittori che non sanno come integrare il basso reddito da scrittore e quindi ci spiegano com’è che va il mondo, e lo spiegano anche ai giornalisti interni alle testate.
Penso che ci meritiamo i tg che ci sono, i giornali militanti che fanno le stesse cose dei giornali che fanno finta di farci la cronaca e invece ci fanno sempre la morale, e Report.
Penso che ci meritiamo Renzi, la Moretti, Berlusconi, Alfano, la Cisl, la Madia, i sapientoni, i trentenni che filosofeggiano sullo scippo di diritti – santi numi – che i quarantenni hanno compiuto a loro danno, che ci meritiamo Salvini, e anche Tosi, e Serra, e Gallidellaloggia, e lalittizzetto, e la repubblicaitalianaduepuntozzero.
Ce li meritiamo tutti.
Solo che, a questo punto, vorrei che nessuno rompesse più le scatole con le sue speranze e con la sua fiducia nella politica, e con l’idea che il futuro qua e il futuro là.
Perché, come ho detto mille volte (e non avrei proprio voluto ripetermi), qui non c’è da amministrare la speranza, ma c’è da gestire la disperazione.
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