stalkers
Google mi chiede il numero di telefono così da potermi avvertire – sostiene – nel caso in cui qualcuno vìoli il mio account.
La rete tiene memoria delle ultime mie ricerche sui siti di turismo (sul pc viaggio parecchio) e mi manda pubblicità che immagina tagliate su misura sui miei viaggi verso ovest.
I titoli dei giornali online sono fatti sulle cose che vengono scritte su Twitter o su Facebook.
Ogni homepage di giornale online è il trionfo dei festival, degli «eventi», della manutenzione della comunità di riferimento.
I titoli su Formigoni – che, sulla fecondazione eterologa resa praticamente impossibile in Lombardia, dice che «non passa la deriva gay», come se la legge non dicesse chiaramente che alla fecondazione anche solo omologa sono ammesse solo le coppie sposate o stabilmente conviventi – sono l’ennesima prova di come la pigrizia faccia tanto male quanto la deliberata intenzione di nuocere.
In un modo o nell’altro – nei contenuti o nei modi – la rete si comporta come uno stalker che ti toglie l’aria che respiri.
Quando leggo idiozie giornalistiche, quando mi rendo conto che i giornalisti non sono neanche in grado di fare una domanda pertinente e chiarificatrice a chi sta dicendo o scrivendo confuse assurdità ideologiche, io mi sento aggredita come cittadina (e come giornalista).
Sento beffata la mia inutile capacità critica.
Sento derisa la mia minorità.
Nessuno è obbligato a stare connesso, certo.
La disintossicazione è un processo lungo, però. E non sono sicura che sia possibile liberarsi anche della posta elettronica e di un’occhiata casuale ai giornali online.
Sono in fase di terapia a scalare…
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