camminare
A mano a mano che mi rendo più disponibile a lasciare spazio alla mia fragilità, mi rendo conto che divento sempre più inaccessibile.
È un paradosso solo apparente, però.
Siccome non ho più voglia di nascondere le mie debolezze, è moderatamente opportuno che io tenti di proteggere me stessa selezionando le persone che a quella fragilità possono avere accesso.
C’è spazio solo per le persone che sono gentili.
Essendo più permeabile, finisce che l’interazione sociale me la gioco indossando corazze.
La corazza non mi ripara dal disagio, ma mi consente – almeno – la possibilità di tenere al coperto quello che mi succede dentro.
Questo non è molto bello, perché toglie gusti e sensi.
La stanza delle mie emozioni resta il più possibile protetta, in questa situazione. E finché quella stanza resta protetta la mia massima temperatura è un debole tepore.
Da un altro punto di vista, la necessità di essere selettiva mi mette in una condizione ambigua.
Tengo alla larga con grande scrupolo coloro che penso possano farmi male, e questa capacità è un grande dono. Ma d’altro lato mi rendo conto che la mia intolleranza è aumentata moltissimo.
Sono fragile, ma perdono meno volentieri.
Non sono diventata (troppo) maleducata, ma non mi faccio grandi scrupoli a dire quel che penso, a esprimere in modo diretto e tempestivo il mio parere su persone e situazioni.
Credo che i cialtroni, i cattivi, gli stupidi, le bestie, gli imbecilli portino la responsabilità di quel che sono.
Pur concesse tutte le possibili scusanti, resta che persone così non le voglio vedere.
Il numero di persone che giudico insopportabili è aumentato vertiginosamente, così come la quantità di parametri che incrocio per farmi un’opinione degli esseri umani che incontro.
I giudizi sono molto più veloci e pertinenti.
È strano, in un certo senso, che questa apertura ai segnali in entrata non corrisponda all’aumento degli output.
Entrano tante cose, ma al momento restano dentro.
È strano che io non stia ingrassando… Sono convinta che il corpo non si nutre di solo cibo, e che lo sbilanciamento fra quel che si introietta e quel che si eietta, lo squilibrio fra il dentro e il fuori, non una faccenda solo alimentare.
Probabilmente arriverà il momento in cui tutto questo produrrà un senso che spero di essere capace di tradurre in parole.
Mi piacerebbe che fosse così; e a momenti riesco a essere ottimista, almeno su questo.
Per il momento, siamo alle solite: la gestione del quotidiano esige comportamenti emergenziali e richiede che io attinga alle scorte di riserva.
Quindi, per favore: se vi rendete conto che mi state mandando un messaggio perché io sappia quanto vi sentite soddisfatti di voi stessi, o perché volete tirarvela, o perché pensate che io possa aiutarvi a magnificare la vostra grandezza; se mi contattate perché pensate che io possa darvi qualche vantaggio anche minimo; se pensate che io debba essere coinvolta nel numero dei rappresentanti del vostro pubblico; se vi sembra che abbiate da lanciarmi messaggi sibillini…
Se volete avvicinarvi a me in qualità di personaggi e non di persone – soprattutto questo, direi; sì. Soprattuto questo – ecco, sappiate che se io non rispondo è solo perché non ho voglia di mandarvi a quel paese a maleparole.
Potrebbe anche darsi che io non risponda perché non ho abbastanza tempo.
Ma scommetto che, anche se il mio silenzio è uguale, voi capite la differenza.
Per favore, astenetevi.
Per favore, lasciatemi in pace.
Non ho bisogno di voi; non vi voglio.
Non voglio le polemiche da social network, non voglio gli scazzi fra personcine che fanno a gara a chi ce l’ha più lungo.
Non mi piace il dibbbattito presenzialista.
Non mi piacciono le figate mainstream. Non mi piacciono neanche gli Alternativi Per Professione, gli Ideologici.
Non mi piacciono i Politically Correct.
Non mi piacciono i New Age, i Neopasoliniani, gli Intellettuali pluristellati Michelin.
Mi piacciono le persone, e neanche tutte.
Mi piacciono quelli che parlano partendo da sé.
Gli altri, per favore, stiano alla larga.
Loro possono non avere idea di quanto male possa farmi un loro messaggio su Facebook. Ma io lo so, e se un giorno si vedranno mandati affanculo sappiano che l’avrò fatto perché non avevo alternativa.
Capisco. E rispetto profondamente.
Ti stimo, perchè a volte si possono stimare anche le persone che non si conoscono se non attraverso un blog.
E, stimandoti, ti auguro un gigantesco in bocca al lupo, per tutto e per qualsiasi cosa ti serva.
Grazie.
Crepi il lupo.
Cercavo un modo per dire quel che penso, epurato da qualsiasi velleità personaggistica. Poi mi sono ricordato che non lo sono, che mi tengo alla larga da tutto ciò, da sempre.
Per cui la mia presenza si manifesta in una sola parola: capisco.