verona città aperta
Oggi sono stata alla libreria Feltrinelli di Verona alla presentazione del libro «Ludwig» (Dalai editore) della collega trevigiana Monica Zornetta.
A introdurre e moderare l’incontro, con mano sicura, è stato il mio collega (e amico da vent’anni) Giampaolo Chavan.
Con lui e l’autrice c’erano Guariente Guarienti, uno dei legali di parte civile nel processo contro Marco Furlan (ora libero) e Wolfgang Abel (in libertà vigilata), e l’attuale procuratore generale di Brescia ed ex procuratore di Verona Guido Papalia.
Ed è stato proprio alla fine della serata che è venuta fuori la notizia. L’ha data Monica Zornetta in persona; non l’ho verificata, ma non ho motivo di dubitarne.
Ecco cos’ha detto.
«Il libro è uscito un anno fa, ma non sono mai riuscita a presentarlo a Verona, perché all’ultimo momento saltava sempre fuori qualcosa. A volte mi dicevano che non era il loro genere di libro…».
E così, poiché più volte durante l’incontro era emersa la consapevolezza che in questa città un unico filo ideologico sembra legare eventi del passato, come Ludwig, a eventi del presente, ho trovato moralmente inevitabile fare una domanda che mi tormentava da quando avevo cominciato ad ascoltare: quale sia il rapporto che dovrebbe legare il giornalismo al territorio. Quale sia il senso della mia professione, dunque. Senza giornalismo nessuno avrebbe saputo niente di Ludwig, e di un’infinità di altre cose; come in effetti, purtroppo, accade spesso.
Quale rapporto debba esserci fra giornalismo e territorio l’ho chiesto al «nemico»; l’ho chiesto a colui che durante gli anni di «tangentopoli» impersonava la pubblica accusa; a colui che ai giornalisti – e dunque nemmeno a me, che all’epoca lavoravo alla Cronaca e seguivo la giudiziaria – le notizie non le dava se non nei tempi, nei limiti e nei modi in cui il codice lo consentiva, checché ne dicano e ne abbiano detto tutti coloro che accusavano noi giornalisti di essere subalterni se non proni alla visione accusatoria. A darci le notizie erano altri, però; non i pm. E se avessimo voluto essere proni a chi ci dava le notizie, sarebbero usciti pezzi decisamente sbilanciati sulla versione innocentista.
La risposta del procuratore generale Papalia ha strappato l’unico applauso per così dire a scena aperta di tutta la serata:
«Il giornalismo deve dar notizia di quel che accade, anche evidenziando la continuità dei fenomeni. E un giornalismo che non riferisce, occulta, dimentica, minimizza, sottovaluta o giustifica le motivazioni di coloro che compiono azioni che si richiamano all’ideologia di cui abbiamo parlato stasera* è un giornalismo che non fa del bene alla sua città. È un giornalismo che non ama la sua città».
Io vorrei sapere perché per sentir dire una cosa del genere in pubblico nella mia città, e per sentirla applaudire, ho dovuto aspettare così tanto.
E non si può certo dire che questi siano anni in cui i magistrati riscuotono le simpatie dei cittadini.
*Va detto che nei suoi interventi Papalia ha ricordato con precisione e dovizia tutto ciò che andava ricordato a proposito delle Br, dei Pac, e delle altre trame che negli anni passati si sono intrecciate a Verona sul fronte ideologico opposto.
Grande titolo, complimenti
Be’, grazie!
Da Wikipedia:
Città aperta
Con il termine città aperta ci si riferisce ad una città ceduta, per accordo esplicito o tacito tra le parti belligeranti, alle forze nemiche senza combattimenti con lo scopo di evitarne la distruzione.
Verona è una città che si è arricchita rimanendo contadina. Non vuole conoscere, approfondire. Galleggia come l’olio, è votata all’apparenza e all’ipocrisia. Ragiona per censo e casta. Deride le menti aperte e lucide e si affida ai capi spirituali che solleticano la pancia. Non voglio morire qui.
Sottoscrivo il tuo commento, Paola.
Non morirai qui, ne sono sicura.