free giorgi, di corsa
C’è un ragazzo; c’è un carcere; c’è una donna – sua madre – che chiede aiuto; ci sono due amici di questa donna che la sostengono nella sua battaglia.
Una delle due persone che stanno cercando insieme alla donna di fare uscire dal carcere Giorgi Gigauri – è questo il nome del ragazzo, 25 anni – è un amico anche mio: si chiama Pierfrancesco Marsiaj, e nella mia vita è stato una presenza importante. È attraverso di lui che ho conosciuto questa storia.
Non ho alcun elemento per dubitare di quel che mi viene detto né di quel che leggo; ma mi sento in dovere di dire – da giornalista, e non da essere umano – che non sono in condizione di verificare personalmente nessuna delle affermazioni.
La storia è questa: Giorgi, atleta georgiano di un certo peso, è stato condannato da un tribunale del suo Paese a 14 anni e mezzo di reclusione per essere stato ritenuto colpevole di avere ferito a colpi di pistola un vicino di casa che stava minacciando il padre con un forcone.
Di certo, però, non gli rese un buon servizio il suo tentativo di fuga in Ucraina, motivato dal terrore di finire incarcerato per un reato che – come dice la madre Donar – non aveva commesso.
Molti sostengono che l’indagine sia stata corriva e che il processo sia stato ingiusto; che le prove siano state assai più che semplicemente dubbie. Ma soprattutto raccontano che Giorgi ha tentato tre volte il suicidio, che è stato oggetto di violenze pesantissime che ne hanno minato gravemente il corpo e la tenuta psicologica.
Un resoconto delle vicende si trova anche qui, sull’Avvenire del 18 novembre.
Come si legge su questa pagina del sito Internet creato per Giorgi,
non possiamo accettare che una condanna, giusta o ingiusta, equivalga ad una condanna a morte.
Le scene di violenza, tortura fisica e psicologica viste sui canali TV e internet dalle carceri della Georgia, fanno temere per la vita di Giorgi e dei suoi compagni di prigione.
Per venerdì 23 novembre il governo da poco insediato ha promesso un’amnistia (leggi qui), anche in considerazione delle violenze carcerarie che (vedi anche qui e qui), ritenute responsabilità del governo precedente, hanno condotto alla rimozione di un certo numero di direttori penitenziari.
Quello che per Giorgi si chiede è che egli sia ammesso ai benefici di questa amnistia, che gli venga riconosciuto il diritto di avere un altro processo, e che a margine del suo caso venga promossa un’inchiesta sulle violenze e sulle torture subite dai prigionieri delle carceri georgiane.
Quali sono gli strumenti per farlo?
Il primo strumento che è stato scelto è quello della petizione al ministro delle prigioni, ma anche al direttore della prigione in cui Giorgi è recluso e al nuovo ministro dell’energia Kaladze, ovvero l’atleta che in Italia moltissimi conoscono per essere egli stato difensore del Milan.
Anche Giorgi è stato un calciatore, riconosciuto il miglior portiere della Georgia.
Le firme dovrebbero essere mandate in Georgia mercoledì, dopodomani.
Manca un’altra ottantina di firme, leggo sul sito di change.
Il secondo strumento è l’apposizione di un «like» sulla pagina Facebook «Free Giorgi Gigauri».
Il terzo strumento è la spedizione di una cartolina a Giorgi – qui l’indirizzo – di modo che egli possa sentirsi meno solo, e possa capire che un gruppo di persone all’esterno del carcere e al di fuori del suo Paese sta lavorando per lui.
Il quarto strumento è una lettera spedita direttamente a Kaladze (qui indirizzo e testo).
Quando Giorgi sarà fuori dalla cella gli chiederò di raccontare – se ne avrà voglia – la sua storia.
Grazie per l’articolo, bello e coinvolgente dall’altra amica che sta lottando per la liberazione di Giorgi.
Marina Marcolini
Speriamo che serva, Marina.
Grazie a voi.
Questa mattina 21 Novembre sono partiti i plichi con le prime 2183 firme per #freeGiorgi, diretti all’Ambasciata Georgiana a Roma e all’Ambasciata Italiana a Tbilisi, con preghiera di inoltrare alle autorità Georgiane. Ma non restiamo in attesa. Continuiamo le azioni di raccolta firme e di diffusione sulla stampa.