addio cgil
Ma che titolo curioso.
E tanto più curioso considerato che viene pubblicato da un giornale che si pretende di sinistra…
Sarà forse un adorabile lapsus?
Ok dei sindacati, no della Camusso
si dice in quel titolo.
Ma Susanna Camusso non è il segretario generale (o la segretaria generale, non so) di un sindacato, e probabilmente anche molto rappresentativo?
Come mai il titolo lascia credere che la Camusso sia un’entità sospesa e indefinibile di cui non si conosce la relazione con i «sindacati» (quelli veri?) che hanno detto sì?
A volte mi domando se le persone si rendono conto di quanto le parole trasformano e ricreano la realtà, di quanta responsabilità hanno nel modificare il mondo.
I giornalisti portano un peso, ma non se ne accorgono, o decidono di sgravarsene.
Ma non è questione di dire la verità, di essere obiettivi, di deformare le affermazioni delle fonti, di alterare i fatti.
O perlomeno: non è solo questo, che pure avviene, ma non direi che è l’aspetto più grave del giornalismo, se non altro perché risponde a inevitabili e inemendabili dinamiche di potere.
La questione è dimenticare il senso delle parole, dei costrutti; la questione è fingere ingenuità o esibire orgogliosa ignoranza (penso che sia la stessa cosa).
E se poi c’è davvero qualcuno che non capisce che dire
«Ok dei sindacati, no della Camusso»
significa implicare che la Camusso non abbia niente a che vedere coi sindacati; se c’è qualcuno che pensa, come diceva fieramente qualche mio collega, che cercare di vedere dentro i discorsi è fare «un giochetto di parole», mi pare che il problema sia ancora più grave, perché implica la rivendicazione della propria irresponsabilità nei confronti delle parole che si usano.
E per contribuire alla nebbia dei significati cosa mai decide di dire il presidente della Repubblica?
Il presidente giudica positivamente l’accordo sulla produttività e auspica un “riavvicinamento” della Cgil, che non lo ha firmato
In sintesi (ma questo è il sottotesto, ciò che viene dato per scontato e «passa» implicitamente, definendo il piano cartesiano su cui si agisce):
1. l’accordo separato è positivo, garantisco io;
2. il cambiamento di scenario auspicabile non comporta una modifica dell’accordo, né un cambiamento nell’atteggiamento di chi ha firmato l’intesa, ma un’azione di «riavvicinamento» della Cgil.
Il che significa che ad allontanarsi è stata la Cgil, e non che la Cgil sia stata allontanata da qualcuno, magari attraverso il ricorso ad argomenti negoziali che la Cgil aveva il diritto di non condividere.
È una ricostruzione del contesto profondamente ideologica e «normativa».
È una ricostruzione in cui viene fissata un’ortodossia, un’interpretazione autentica dei fatti.
Tutto viene dato per scontato.
E chiunque è condotto a pensare che una tale apparentemente inoffensiva lettura dei fatti dev’essere per forza condivisibile.
Parla di «riavvicinamento», che è una parola positiva, ha un’area di senso pacificante.
Parla di «produttività», che è una parola di moda, «meritocratica» (e dunque antiegualitaria, ma pare che questo non conti più molto…).
È come se un nonno invitasse un cucciolo riottoso a uscire dal cantuccio nel quale si è rintanato solo per fare un dispetto ai grandi.
In fondo, di acquattarsi nell’angolino non c’era nessun autentico bisogno; accovacciarsi per terra è una bizza infantile che non si può condividere facendo ricorso a un argomento che ne spiega il significato..
Si può solo pensare «sono bambini, son fatti così».
Le guerre non si giocano solo sul campo.
Io sono più che convinto che queste frasi da “e vabbè dài, è lo stesso” son messe lì perché vogliono comunicare proprio quello che potrebbe sembrare.
I sindacati sono una cosa, la Camusso che non rappresenta che sé stessa (nelle parole di Repubblica) è solo una rompiballe alla quale non va mai bene nulla ed è contro tutto per hobby o per usare una frase che piace a tanti “perché non ha di meglio da fare”.
Chi ama l’Italia accetterebbe senza battere ciglio queste faaaavolose proposte (diciamo dictat salvo complicazioni, dove le complicazioni sono gli interessi dei vari partiti) che il governo sta cercando di farci digerire. Dalle manovre economiche ad una forma di società dove i diritti dovranno azzerarsi per poi potersi acquisire come si acquisisce un euro tramite il carrello del supermercato.
Sì.
E questo mi rende infinitamente pessimista.
In questi giorni sto leggendo molte cose su questo famoso “accordo per la produttività”, e me ne sto facendo un’idea terribile.
Mi piacerebbe che chi lo ha firmato, tra i sindacati, venisse a spiegarlo nelle assemblee, visto che avrà impatti profondi (sempre nella direzione della rimozione neoliberisti dei diritti e delle protezioni sociali) sulla vita dei lavoratori che si dice di rappresentare.
Anche perchè, da poco, gli stessi sindacati che ora criticano la CGIL hanno firmato piattaforme di rinnovi sindacali che vengono di fatto azzerate dalla possibile attuazione del nuovo accordo.
La comunicazione mainstream, invece di spiegare cosa contiene l’accordo (leggendo gli articoli ben di rado si capisce cosa è stato firmato), si limita a proporre lo stesso format “Parti sociali buone e pronte a salvare il paese, CGIL cattiva, conservatrice, contro l’innovazione” che già venne usato nei confronti della Fiom.
Mentre la notizia vera è che l’accordo è di nuovo un tentativo di far pagare la crisi ai più deboli, in cambio di improbabili vantaggi economici.
errata corrige:
leggasi piattaforme di rinnovi contrattuali invece di sindacali;
leggasi neoliberista invece di neoliberisti…