«nonnina» un corno
Nonnina. Nonna.
La tridimensionalità di una persona che per ragioni di età si suppone definitivamente privata della dimensione della sua sessualità viene appiattita con grande leggerezza in definizioni che la riducono a parte per il tutto.
Non è sufficiente dirne l’età: bisogna anche sottolineare che, come se non bastasse, a quell’età è destinato lo slot inoffensivo della «nonna», o – peggio ancora – della «nonnina».
Non faccio sesso, non vedo uomini, ho perso qualunque altra caratteristica relativa al mio genere: l’unica cosa che mi resta di femminile è la finale in «a».
In «nonna» e «nonnina» c’è un paternalismo che a me dà enorme fastidio.
C’è l’idea che chi scrive si senta giovane e sessuato, che il mondo sia abitato da persone giovani e sessuate; c’è l’idea che io che scrivo posso, e tu – persona di cui io scrivo – non puoi più.
La cosa più fastidiosa è che chi scrive «nonnina» e «nonnino» pensa di essere tenero e gentile; di dare una pacca complice sulla spalla; di essere uomo, o donna, di mondo.
Eppure, nessuno scrive che una «donnetta» o un «omino» hanno messo in fuga un ladro.
Certe libertà ce le prendiamo solo con i vecchi, e con coloro che immaginiamo debbano esserci grati per il semplice fatto che, scrivendo di loro, li rendiamo «personaggi» per un giorno.
Pensiamo di poter cambiare la loro vita regalando loro la celebrità al prezzo della dignità. Noi possiamo. Noi siamo dei. Noi siamo giornalisti.
Il fatto è che se togli “nonnina” – con quella sua implicazione di tenera inoffensività – la notizia evapora. Non c’è più. Puf!
Che racconti? “Una donna fa fuggire il rapinatore”? Embè?
Invece così è il bene che vince, è il debole che ha la meglio. Vuoi mettere?
clap clap clap (anche a nome di tante nonnine o nonnini che non ci vedrebbero niente di male, che ho conosciuto molto bene, ma che lo subiscono)
anche con i giovani. Perso all’uso abbastanza deprimente del termine “fidanzatini”
Comunque, hai ragione in pieno.
“Penso”