pigrizia sudista
Cosa si capisce da questo titolo della home page del Corriere?
In primo luogo, che l’argomento è la salute. Lo dice l’occhiello.
In secondo luogo, che gli italiani non si curano.
In terzo luogo, che a non curarsi sono perlopiù le persone che vivono al sud.
Niente nel titolo fa riferimento alla crisi o alle difficoltà economiche.
Sembra che sia una scelta un po’ pigra di gente che, non badando alla propria salute quand’è il momento, finisce per gravare sul Servizio sanitario nazionale in modo più pesante quando arriverà il momento in cui la pigrizia presenterà il suo conto, e a pagare sarà Pantalone.
E fra tutti gli italiani, quali saranno mai i più pigri?
Semplice: le persone che vivono al sud, che «trascurano la salute».
Non «non riescono a farsi carico della salute», ma «trascurano la salute».
Basta leggere il pezzo all’interno per scoprire che la storia è un po’ diversa.
L’occhiello dell’articolo all’interno è «Gli effetti della crisi».
[…] Sono circa 9 milioni i connazionali che hanno dovuto rinunciare alle cure sanitarie per motivi economici nell’ultimo anno.
La metà dei medici di base afferma di avere l’impressione che siano molti i propri assistiti che hanno perso il posto di lavoro a causa della crisi (la percentuale sale al 63,5% al Sud e nelle Isole) e il 43% evidenzia che molti pazienti non riescono ad arrivare con i soldi a fine mese (il 60,3% al Sud).
Nove medici su dieci, inoltre, dicono che i loro assistiti esprimono disappunto per la spesa dei ticket sanitari e secondo il 67,6% i pazienti, a causa delle ristrettezze, non vanno dal dentista.
Ancora: il 64,7% ha l’impressione che, per timore di mettersi in cattiva luce con il datore di lavoro, in molti rinunciano ad assentarsi qualche ora per effettuare accertamenti medici, anche se necessari.
L’88% dei medici vede, poi, i propri pazienti stressati.
[…]
Tra chi rinuncia alle cure, rileva ancora il Censis, uno su 4 ha più di 65 anni, il 61% è di sesso femminile e in 4 milioni di casi vive al Sud.
Io non sono in grado di valutare l’attendibilità dello studio, e mi fido volentieri.
Però mi fa molta impressione – come al solito – l’antimeridionalismo noncurante del titolo impaginato nella homepage.
Che bel mondo viene fuori, eh?, dalle parole dei medici di base.
È esattamente il contrario di quel che il titolo in home page aveva fatto pensare.
Non ci si può permettere il lusso di stare male, perché gli «imprenditori» fanno paura a chi dipende da loro.
I lavoratori pensano che una malattia potrà provocare il loro licenziamento.
Magari il timore è eccessivo, chissà.
Ma come si fa a considerare normale una cosa del genere?
Davvero lieto, comunque, di aver scoperto questo blog: l’assenza di commenti non significa mancanza di apprezzamento.
😉
No, non è affatto eccessivo. I contratti a tempo determinato e quelli in regime di somministrazione sono il vero nervo scoperto del sindacato nella tutela dei diritti del lavoratore. E in uno stato di tutela debole, capita che dopo una settimana di malattia l’HRM chiami in ufficio il lavoratore per “assicurarsi che si sia completamente ristabilito”. In ogni caso il precario è tenuto ad essere “più partecipe” e “flessibile” in ambito produttivo, pena il mancato rinnovo. Non lo si dice, ma lo si attua: se non ti dimostri collaborativo, e con collaborativo intendo assolutamente adeso alle esigenze aziendali nonostante la tua vita sia anche al di fuori del perimetro contrattuale, sei fuori.
Relativamente al pezzo segnalato, mi risulta che titolo e occhiello condividano le stesse intenzioni della reclame pubblicitaria: stimolare il ventre dell’ego. Personalmente non mi piace, ma capito il trucco…
Già la scelta dell’acronimo HRM fa capire in che razza di logica siamo.
Grazie, Fabrizio.