il nostro piangere fa male al re
E sempre allegri bisogna stare
ché il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam!
Ero qui seduta a fare delle cose e non mi sono neanche accorta che c’era buio e cominciavo anche ad avere un po’ freddo.
A volte succede che si è così conficcati dentro se stessi da diventare quasi inaccessibili.
Sono piena di cose: le mie settimane irlandesi sono state ricche come non avrei potuto nemmeno lontanamente immaginare.
L’Irlanda ha il potere di togliermi degli strati di pelle, di allargare i miei pori, di moltiplicare le mie percezioni.
È come andare al mare ai Tropici e non mettersi la protezione solare: prima di poter esporre di nuovo la pelle bisogna aspettare che l’effetto dell’overdose si attenui.
Comunque.
Stamattina ho portato dal calzolaio tre paia di scarpe da allargare che avevo da anni e non ho praticamente mai messo. Ho deciso che non ha senso avere scarpe coi tacchi se non le metti mai.
Sono partita con le mie scatole, e mi sono incamminata.
Pensavo a cose mie, non vedevo nemmeno quel che c’era vicino; non sentivo odori.
«È un marrone freddo», sento dire da una donna che sul marciapiede fuori da un negozio pieno di pretese regge un paio di calzoni davanti agli occhi di una cliente. «Lo può accostare con tutto».
Ci sono certe cose che fanno da interruttore.
Ho cominciato ad aprire gli occhi, a guardare e ad ascoltare.
A mano a mano che incrociavo persone, lo spazio intorno a me assumeva la natura di un ambiente nel quale era bene muoversi con cautela.
L’unico atteggiamento collettivo che esprimeva la comunità dei passeggianti era una specie di silenzioso scrutinio in cui veniva sommariamente accertato, su chiunque attraversasse il campo visivo, il tasso di conformità ai canoni esteriori.
Per un istante, il mondo entra nel freezer.
È una valutazione veloce dei requisiti formali di regolarità: i confini del corpo di ciascuno vengono sovrapposti alla mappatura mentale standard misurando l’entità dello scostamento; il range di forme, colori e consistenze collettivamente considerato tollerabile viene comparato alle tinte e ai tessuti che seguono i profili dei corpi.
I luoghi hanno una loro temperatura emotiva, oltre che una temperatura meteorologica. Non importa che la temperatura emotiva non possa essere misurata con strumenti di precisione, né abbia una sua oggettività scientifica.
Anche qui, come in meteorologia, quello che vale veramente è la temperatura percepita. E quel che io percepisco è – ancora, sempre – l’ossessione dell’ortodossia.
Mi raccontava un’amica che un giorno le è capitato di dire che qui in città l’«offerta culturale» estiva non è poi così eclatante come si ama propagandare.
«Eh, no», le ha ribattuto un interlocutore: «D’estate siamo il centro del mondo!».
Lei ha cercato di spiegare che non sempre il numero è potenza, e che avere millantamila concerti e spettacoli può non significare niente; che il centro del mondo uno s’aspetta di trovarlo – boh – a New York…
E così, in quell’istante, ecco scattare l’automatismo indotto dal Genius Loci.
Il mantra.
La formula magica comunemente utilizzata per tacitare qualunque voce eccentrica.
La soluzione finale.
«Ma scusa: se così non ti piace, puoi sempre andare via. Nessuno ti obbliga a stare qua».
A parte – s’intende – il lavoro, la famiglia, il fatto che magari ci sei nato o ci hai passato la più gran parte della tua vita.
Ecco.
Sei come noi? Prego, entra.
Sei diverso e non hai nemmeno il pudore di tacerlo? Vattene, non ti vogliamo: ci serve solo gente allineata.
Un po’ come qualcuno ha detto a me: «Non mi stupisco del fatto che tu ti sia dimessa. Mi stupisco del fatto che non te ne sia andata prima».
In fondo, cosa vuoi che sia rinunciare alla tua fonte di sostentamento?
Nessuno fa niente perché tu ti senta meno isolato, e poi ti vengono pure a dire che – in effetti – te ne saresti dovuto andare prima.
Non per niente: potevi anche avere qualche ragione, eh.
Ma avevi tutta quest’aria così bellicosa, caro mio.
Come potevi pretendere che l’imperatore ti desse benevolmente udienza?
Se anche ti calpestano e ti schiacciano, non è che puoi reagire in modo così scomposto.
In fondo, ci calpestano un po’ tutti: cosa succederebbe se ci mettessimo tutti a fare la guerra? Perché è la guerra quella che tu stai facendo.
Non credere che noi ci caschiamo: non stai reagendo a un sopruso speciale commesso da qualcuno che ha più potere di te, e ha potere su di te. Tu stai facendo la guerra.
Eh già. Come se tu avessi mosso intere armate contro dei poveri cari che non potevano nemmeno difendersi dal tuo potere immensamente più grande del loro.
No, signor protestante, ti dicono loro.
Qui ci vogliono grazia, pazienza, e un tono di voce bassa.
Qui non si strilla.
Non si rivendica niente. I diritti, poi.
Qui si chiede rispettosamente, e sempre per favore.
Come diceva Iannacci nel 1968.
Perché il re, il ricco e il cardinale «diventan tristi se noi piangiam».
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