il paese del non si può (hey, you bastards)
«Hey, you bastards, I’m still here».
«Chi pensa di essere così piccolo da non poter fare la differenza, evidentemente non ha mai passato la notte in compagnia di una zanzara», dice un proverbio che ho letto da qualche parte e mi pare sia africano.
Il mio Paese mi sembra il luogo del «non si può».
Mi sembra un posto in cui il mandato principale delle organizzazioni e delle istituzioni è trasmettere il messaggio che tu, chiunque tu sia e qualunque cosa faccia, sei un frammento impotente di pulviscolo atmosferico.
Fin da quando siamo piccoli, di fronte a ogni nostro sogno la risposta di mamma e papà è perlopiù scettica, raggelante: un invito al buon senso, al piede sul freno.
Non parlo di qualcosa che ha a che vedere col «pensiero positivo» o con gli argomenti new age.
Sto pensando al riconoscimento del diritto di realizzare i propri sogni; di renderli progetti.
Tempo fa, un collega mi confermava per esempio che questo continuo martellare, nei luoghi di lavoro, intorno all’irrilevanza della tua esistenza produce seri problemi non solo all’immagine e al senso di sé, ma anche alla fiducia che un uomo ripone nella propria virilità, con la conseguenza che le relazioni di coppia diventano sempre più impervie.
Impotenti, spaventati, in balia di chi detiene il potere e dei loro troppo spesso immorali manutengoli: è così che siamo tenuti in scacco. È così che siamo isolati, resi fragili, intimiditi dalla minaccia non necessariamente esplicita di rappresaglie.
È stando a testa bassa che pensiamo di riuscire a non farci notare dai radar di chi ha il potere di distruggerci.
La percezione della propria impotenza, però, incontra un limite – o perlomeno: dovrebbe incontrare un limite – nel momento in cui essa si trasforma da strumento autolesionistico (una faccenda di interesse psicoanalitico o psichiatrico) in strategia di sopravvivenza.
In una parola: quando cozza contro la vigliaccheria.
Il fatto è che se al mondo esiste una cosa su cui abbiamo qualche potere, quella «cosa» siamo noi stessi.
E la sovranità su noi stessi è un bene non cedibile a terzi.
Chiunque può fare la differenza.
E se non la può fare per il mondo, può farla per se stesso.
Rispettare se stessi e la propria dignità è un (piacevole e) faticoso dovere al quale molti servi non sono capaci di riconoscere senso.
I servi si illudono – o forse sono così stupidi da credere veramente – che la loro condizione di schiavitù sia volontaria, e perciò non abbia niente a che vedere con la schiavitù ma sia una testimonianza di grande intelligenza strategica.
Io, però, non ho mai conosciuto nessun servo del quale – venuta meno per i motivi più imprevedibili e diversi l’utilità – il potere non si sia liberato come di un cadavere putrescente.
Qualunque servo incontra questa sorte.
E in più, è destinato a non essere rispettato nemmeno dai propri figli, che avranno verso di lui lo stesso atteggiamento che egli tiene verso il potere: gli saranno deferenti, ma cercheranno sempre di fregarlo.
Il servo merita di essere collocato nelle discariche dei cadaveri putrescenti, esattamente come l’uomo di potere del quale s’è reso servo.
Perché anche quell’uomo di potere risponde a qualcuno di cui è servo.
Se non fosse così, nessuno avrebbe bisogno dell’impotenza di nessun altro; e – anzi – tutti avrebbero bisogno dell’esplosione di idee e di creatività che nascono solo quando un essere umano sa che nelle sue mani c’è un potere; o meglio, che nelle sue mani c’è il potere più grande di tutti: quello su se stesso.
È tragicamente miserabile colui che, fingendosi fiaccato e impotente, infligge sofferenze agli altri, chiedendo loro anche la sua assoluzione, in ragione della sua impotenza.
Questa si chiama viltà.
Non bisognerebbe mai sottovalutare il potere di qualcuno che si vuole ridurre all’impotenza.
Chi non si presta a farsi rendere impotente è una scheggia che nessuno potrà mai tenere sotto controllo.
Non si può mai sapere dove quella scheggia si infila.
Non si volerà mai abbastanza basso, per quella scheggia.
Né mai si volerà abbastanza alto.
Ci son schegge minuscole, più piccole della zanzara e del moscerino, che volano più in alto dei jet e riescono a entrare nel cuore della terra.
Ps: Vergògnati, vile.
Ti voglio bene
Sentirselo dire per questo post è meraviglioso: significa che hai sentito cosa c’è dentro.
Grazie.
Ti voglio bene anch’io.
Pensiero ad altissimo livello. Brava Federica, tra poco ti conoscerà e ti stimerà il mondo dei coraggiosi.
Ci sono virus, microorganismi che producono epidemie. L’energia nucleare scaturisce dall’atomo. Io penso che questa vita ci sia data come opportunità di capire che siamo poco più di scoreggine, e che al tempo stesso, senza di noi, cambia l’equilibrio di tutto. Preso atto di questa contraddizione, il nostro valore ha solo bisogno di un minimo di intelligenza.
Hai ragione, Cristiano.
Ne basta un minimo.
Ciao, bentornato qui.
buongiorno, Federica. leggo sempre con estremo interesse i tuoi post da quando sono “inciampato” nel tuo saggio alla feltrinelli di latina. questo m’ha evocato momenti “antichi”, roba da prima repubblica, quando negli uffici pubblici imperava la regola “non si può fare un c…, ma visto che sei tu vediamo che si può fare”. già allora trovavo questi atteggiamenti devastanti perchè erano già sistema, seppur coperti da un “sano” velo di ipocrisia perbenista.
ma quanto mi piace e quanto mi è necessario questo post!:-)
Grazie, Marco.
A me è necessario il tuo commento.
🙂
Grazie.
io/altro/mondo sono luoghi mentali che possiamo immaginare in molti modi.chi sono io?dove confino?verso chi o cosa mi dirigo?chepiacere ho,non ho,vorrei?come preservarmi?poi,altrove la pressione depressione della società.ovvio,il mio io/mentale ne viene sempre depresso.io non posso essere ciò che “vedo” dentro perchè mi “dicono” di no.il linguaggio stesso è un discorso del padrone,o una struttura di potere senza andare nei materialismi di varia natura.oscuro,metafore,metonimie.sono contratti,il linguaggio.in italia gli altrove cui dare preghiere e potere sono troppi.verticali e orizzontali.tribù e mafie che con la crisi serrano i ranghi.si va sempre per inclusione ed esclusione,è la struttura costruita così.premoderna,barocca,seicentesca,decadente.abbiamo fallito il premoderno,anche a cartesio non siamo.inutile scrivere di servi e padroni.gli italiani vivono(non tutti,troppissimi) per circoli e per mafie.leccano,sviolinano,smazzano,adulterano.la crisi non fa altro che acuire il picco di servilismo.i media?mafie,connivenze,storture.non ci salveremo e la g’s già 10 anni fa ci dava come una disneyland barocca.
(senza interiorizzare il discorso con edipizzazione fallita o troppo presente o con richiami fetali o familiari)si adeguano,non si ribellano e cercano solo posti sicuri.qui bambi obama sarebbe un fattorino per pizze,senza amici…
L’unico “rimedio” sembra essere la cura si sé, soprattutto culturale, così da (ri) scoprire l’irripetibile valenza di ciascuno. Consiglio irrealistico: gli strumenti per coltivarsi sono ormai sviliti o poco fruibili per il cittadino anche “medio”
WOW! Assolutamente vero, precisa rappresentazione della realtà. Sono molto felice di aver essermi imbattuta in questo post e aver ‘incontrato’ la sua autrice. Grazie!
Erika, grazie a te!
Ciao, Virginia e Umby: benvenuti.
a me scheggia fa venire in mente la locuzione scheggia impazzita che non so se è una cosa positiva o no. Comunque a me questo fatto dei coraggiosi che non si piegano di fronte a niente non mi sconfiffera: siamo tutti, più o meno, una manica di vigliacchi, a seconda delle occasioni. Quanto al mantenere il proprio libero pensiero ne noto due possibili effetti: un dannato isolazionismo e l’anarchia. Comunque, in linea di principio, so’ d’accordo!
Sì e no, paopasc.
Non so se siamo tutti una manica di vigliacchi, a seconda delle occasioni.
Se mi è permesso parlare di me, ecco cosa mi è successo oggi.
Mi sono dimessa da un posto di lavoro come giornalista a tempo indeterminato, rifiutando la cifra che l’azienda mi aveva offerto per chiudere «tombalmente» il ricorso d’urgenza che avevo intrapreso dopo l’ultimo atto di un percorso professionale che mi ha procurato anche, e non per mia scelta, danni alla salute.
Non ho accettato i soldi, e ho conservato – come mi ha giustamente ricordato stamattina in udienza il giudice del lavoro – la facoltà di far valere i miei diritti in qualunque sede.
La mia è una storia come tante, in un mondo che considera il lavoratore alla stregua di un water.
È una storia come quelle che vivono tanti giornalisti.
Molti mi dicono «beata te: io non posso permettermi di dimettermi, perché devo pagare il mutuo», o per altri motivi di questo tenore.
Io non ho nessun altro lavoro, vivo in affitto, non ho una casa di proprietà, non posso «permettermi» quello che ho fatto.
Ho progetti, però.
Idee.
Cose che si stanno incamminando.
Ho fiducia, ho accanto le persone che voglio avere.
In tutta onestà, non credo di essere stata vigliacca.
Tu mi potresti dire «chissà in quante altre occasioni sei stata vigliacca».
A mia memoria, paopasc, direi abbastanza di no.
Credo di avere moltissimi difetti ma non questo.
Benvenuto da queste parti, e grazie per il commento.
Ciao!
Bisogna anche non condannare a priori chi non se la sente di rischiare tanto, magari perché è responsabile di altre persone, eccetera. Credo che il punto sia questo: conoscere se stessi e assegnare un limite alla propria sopportazione, prima che diventi viltà e comprometta gravemente l’autostima. Inutile dire che se un numero consistente di cittadini contrastasse in concreto le logiche clientelari e “mafiose” il contesto generale sarebbe diverso…
Tu parli di condanna, io preferisco pensare al giudizio.
Il giudizio è uno dei diritti elementari dell’essere umano.
Le persone senza coraggio per strategia fanno devastazioni nelle vite degli altri.
Sono arrivato qui seguendo la scia delle mie passioni e interessi (Vibrisse Blog). Sentirsi piccolo e trovare altri che sembrano tali, ma solo perché non rispettano valori che sembrano importanti a darci significati per un ruolo condiviso. Non c’è prezzo ad avere dignità per se stessi e rispetto per quello che si fa. Un giorno un mio allievo mi gratificò con “vorrei essere come lei!” – avevo appena richiamato un dirigente: credeva che il ruolo autorizzasse alla mancanza di rispetto verso gli altri. Gli risposi: “Allora studia, poi professionalità e umiltà, ma sappi che poi non sarà facile. Puoi chiedere elemosina ai potenti per il tuo quotidiano. Non sarai così un vigliacco, ma solo nulla o quello che gli altri ti permetteranno d’essere”. Se si ha coraggio ogni giorno, a volte si può essere stanchi, non è vigliaccheria è solo il riposo del moscerino. Ti sono solidale! In bocca al lupo! … ah! Quel mio allievo è diventato, anche lui, un fastidioso moscerino!
Crepi il lupo, Enrico. E grazie dal cuore
Complimenti per quello che hai fatto riguardo il tuo datore di lavoro! Hai la mia stima e solidarietà. Auguri per i tuoi nuovi progetti.
Grazie, Al.
È stata una decisione molto complessa!
Lo immagino. Ah, e poi si comprende anche meglio la tua durezza nei confronti dei codardi 🙂
Questi pensieri sono molto veri ed interessanti, li condivido in pieno e capisco come chi pensa in questo modo possa essere considerato “pericoloso”. Fra l’altro, ho l’impressione che chi detiene il potere goda generalmente molto di più a far sentire una donna impotente, più che un uomo. O forse no? A rileggerci!