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dublin, again
Quasi due ore – un’ora e tre quarti – di coda per prendere la macchina a noleggio all’aeroporto.
Mi domando a che ora dovrò andare, quando si tratterà di riportarla, per evitare che la coda per la riconsegna mi faccia perdere l’aereo.
Notavo una cosa: che anche se voli dall’Italia ne erano arrivati parecchi, io ero l’unica italiana in coda.
Cosa possa voler significare non lo so, ma quando sei in piedi sotto le sciabolate dell’aria condizionata (non gli pare vero, qua, che c’è caldo. A proposito: ho una maglietta senza maniche e non ho freddo, non ci credo neanch’io) ad aspettare che omino Hertz, anche la circostanza più idiota diventa improvvisamente degna di interesse.
In aereo c’era una quantità mostruosa di bambini. D’altra parte, l’aereo portava in Irlanda, dove se una donna non ha il pancione ci sono ottime probabilità che sia in menopausa.
Ce n’erano due o tre che strillavano come ossessi.
Le coppie con due bambini erano due: il resto ne aveva tre oppure quattro.
Un secondo, e poi via a cena.
C’è una brasserie «sorella» di un ristorante dove una volta sono andata a mangiare, poco distante da qua.
Per la verità, c’è anche il ristorante più strafico della città, ma escludo di avvicinarmici.
Stare per aria, oggi, non mi ha fatto bene come invece mi fa di solito.
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