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mr. monti e l’editoria (o dell’ideologia neutrale)
Nel gran numero di parole pronunciate da Mario Monti nella conferenza stampa di oggi, c’è una frasetta che mi piace proprio.
Questa (da qui):
I contributi all’editoria «verranno mantenuti ma stiamo lavorando a criteri obiettivi per scegliere e selezionare ciò che da un punto di vista generale ci parrà più meritevole del contributo».
«Criteri obiettivi» vuol dire che se interrogano me, e un altro, e un altro ancora, siamo tutti d’accordo.
Non scegliamo niente, insomma. La gerarchia fra le cose è in re ipsa; non la istituiamo noi.
Il nostro lavoro consiste nello scegliere fra tutti i possibili criteri di ponderazione quelli che siano «obiettivi» e non opinabili; quelli che nessuno possa contestare.
Ne consegue che noi saremo:
a) giusti; e
b) neutri, nel senso che con la nostra azione non produrremo conseguenze diverse da quelle che legittimamente e inevitabilmente producono azioni svolte secondo «criteri obiettivi».
Noi siamo il braccio operativo di un dio tecnico e buono.
Eppure, subito dopo, ecco la giravolta.
Ci avvarremo di «criteri obiettivi», dice Monti, per:
a) scegliere; e
b) selezionare
non – attenzione – ciò che i «criteri obiettivi» ci avranno indicato; ma (sublime) «ciò che […] ci parrà più meritevole del contributo».
Ora, a meno che io non abbia capito male, l’atto dello «scegliere e selezionare» non ciò che il dio neutrale del «criterio obiettivo» ci indica dall’alto della sua onniscienza, ma ciò che «a noi parrà più meritevole» a me pare un’azione tutt’altro che neutra.
Poiché l’economia non è una scienza ma un’ideologia (lo so: l’affermazione sembra apodittica ma è purtroppo confortata da un enorme numero di evidenze), la frase di Monti potrebbe anche essere tradotta così:
«Per distribuire i contributi all’editoria giudicheremo secondo criteri ideologici chi siano coloro che ci sembreranno meritare i soldi».
C’è qualcuno in giro che si sente tranquillizzato da un’affermazione simile?
Non mi sembra una interpretazione corretta. “Criteri obiettivi” non vuole dire automaticamente criteri neutri. Nella scelta dei criteri c’è una scelta di merito che chi fa si assume.
Si può ad esempio dire: valuteremo sulla base del numero di copie vendute. E’ un criterio obiettivo, che privilegia, in un certo senso, la quantità. Oppure: valuteremo sulla base del numero di giornalisti assunti a tempo indeterminato dal giornale. Un criterio sempre obiettivo che privilegia un merito di natura diversa. O ancora valuteremo secondo quanta parte delle spese il giornale è in grado di coprire autonomamente e via così. Sono criteri obiettivi, ciascuno dei quali individua una scelta di merito.
Diverso sarebbe dire: creeremo una commissione di nomina ministeriale che fa una insindacabile scelta. Legittimo ma probabilmente ancor meno tranquillizzante.
Io mi sento tranquillizzato ma vigile. In vigile attesa dei criteri: la scelta dei quali sarà il vero atto politico.
Mi sembra un modo corretto di rendere l’atto più politico e ugualmente neutrale (nel senso di non partigiano, il che, quando si va a toccare la stampa mi sembra buona cosa).
Sono del parere che privilegiare un “criterio obiettivo” a un altro sia un’azione non neutra che produce conseguenze non neutre.
Decidere che contano di più le copie vendute o la parte di spese che una testata può autonomamente coprire è il risultato di una valutazione che considera ugualmente “obiettivi” il numero di copie vendute o la parte di spese coperte da una testata; considera, insomma, che esiste Babbo Natale.
Privilegiare questo o quel criterio – formalmente di certo obiettivo – è stato esattamente ciò che s’è fatto fino ad ora.
In cosa consiste la differenza?
Nel fatto che io devo essere convinta che Monti saprà capire meglio quali siano i “criteri obiettivi”?
Grazie della risposta.
Anche io sono del parere che privilegiare un criterio piuttosto che un altro sia un’azione non neutra. Proprio per questo trovo che dire Non scegliamo niente, insomma. sia una interpretazione non corretta. E’ compatibile il fatto di basarsi su criteri obiettivi e scegliere. E’ la scelta dei criteri.
Non sovraporrei due fasi:
metodo: scelgo di privilegiare i criteri obiettivi su quelli soggettivi (non è scontato, come dico tutte le volte che si fa decidere una commissione si privilegia il soggettivo. E non c’è un meglio e un peggio in assoluto. Dipende da cosa si deve scegliere)
merito: enuncio quali sono i criteri sui cui mi baserò.
Monti per ora ha enunciato due cose:
1. ci sarà ancora un finanziamento pubblico all’editoria (di questo io sono contento, altri no).
2. il metodo che seguirà si basa su criteri oggettivi più che soggettivi (io ne do un giudizio positivo perchè reputo che sia in linea di principio un metodo più neutrale rispetto ai condizionamenti partitici).
Dopo di che, fino a che non dice 3, cioè quali saranno i criteri, trovo difficile dare un giudizio complessivo su questo annuncio. Non si tratta di essere convinti che lui sarà meglio di altri, si tratta di attendere il contenuto dei suoi atti.
Penso che si tratti di sapere che il criterio non è neutro e la scelta nemmeno. E penso che voler sostenere – come implicitamente fa Monti – che esista un metodo tecnico che prescinda dalla valutazione politica sia o ingenuo o ingannevole, se deliberatamente o no non saprei.
E penso che i condizionamenti partitici non siano il demonio. In fondo, bene o no che essi funzionino, i partiti restano pur sempre l’unico sistema fino ad ora escogitato per la negoziazione delle istanze collettive e per la loro traduzione in politica.
Inoltre, io non credo che esista il mercato editoriale. Non perché sono radicale, ma perché i giornali non esistono necessariamente per guadagnare dalla vendita di copie, ma assai spesso per controllare il consenso del territorio nel quale vivono e per dar risposte al potere economico e politico. In altri termini: possono anche perdere copie, ma resteranno in piedi finché servono. Senza aver beneficiato dei contributi all’editoria, magari; ma scaricando sulle spalle dei lavoratori, con cigs, licenziamenti o contratti di solidarieta, il costo delle “ristrutturazioni” o anche delle scelte del loro management.
Pensare che in questo quadro esistano criteri oggettivi è consolatorio, o tecnocratico.
Per dire: il Manifesto? Lo “salviamo” perché è un pezzo della cultura politica di questo Paese o no?
Non è un quotidiano che io ami particolarmente. Però credo che nascondere un ipotetico no al finanziamento del Manifesto dietro il paludamento dei “criteri oggettivi” significhi semplicemente attestare che si crede nella religione del mercato e si rifiuta di fare i conti con la realtà, che – nello specifico – è per esempio il fatto che dal Parlamento è scomparsa qualunque cosa fosse appena più a sinistra del Pd, e che quindi un luogo di elaborazione di ciò che è stato estromesso dalla rappresentatività può avere un senso politico anche se non economico.
Si tratta di capire qual è il senso che si annette all’informazione.
Non è che abbia il diritto di esistere solo chi – per usare un “criterio oggettivo” – vende molto, ma anche chi rappresenta un pezzo di storia politica. Il che è tutt’altro che un “criterio oggettivo”.
In realtà, poi, c’è un altro punto fondamentale: Monti dice “ci parrà”, che è un elemento necessariamente soggettivo.
Ma nel momento in cui parla di “criteri oggettivi”, egli implica che a quel punto può scegliere – faccio per dire – anche una macchina. Alla quale non “parrà” assolutamente niente. La macchina viene impostata secondo criteri oggettivi e sceglie. Stop.