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mentana e le dimissioni: cosa c’è dentro?
In questa faccenda delle quasi-dimissioni di Mentana dalla direzione del telegiornale della tv La7 c’è qualcosa che non mi torna.
I punti che non mi sono chiari sono molti.
Innanzitutto, la questione speciosa della «fiducia».
Si legge su Repubblica.it che Mentana
con un lungo intervento in diretta durante il telegiornale spiega ai telespettatori perché è caduto il rapporto di fiducia con la rappresentanza sindacale della redazione
Ora.
Tra direttore e cdr non sussiste alcun rapporto di fiducia.
Il cdr è la rappresentanza sindacale eletta dall’assemblea dei redattori.
Il direttore è il giornalista a capo della redazione, e all’assemblea dei redattori non partecipa.
Il cdr non ha alcun bisogno della legittimazione né dell’investitura di un direttore, che del cdr non è in nessun caso il capo né il responsabile.
Capisco che di questi tempi le cose siano confuse; ma sostenere che un cdr debba avere la fiducia del direttore è implicare l’esistenza di un sindacato giallo.
Seconda cosa.
Se Mentana ritiene che, una volta denunciato per condotta antisindacale dal cdr (ma l’annuncio della denuncia era stato fatto dall’associazione sindacale territoriale, e non dalla rappresentanza sindacale aziendale), si spezzi il rapporto di fiducia non con il cdr ma con i singoli giornalisti che di quel cdr fanno parte, ha due strade: verificare se sussistano motivi di legge per richiederne il licenziamento per giusta causa, oppure tenerseli fra i piedi.
La terza strada non c’è. O meglio: c’è. Ed è far loro la guerra. Ma questa è tutt’un’altra storia.
Il potere è del direttore, non del cdr.
Che un direttore se ne vada perché in disaccordo coi suoi sottoposti – i singoli componenti del cdr in quanto redattori, e non in quanto sindacalisti – è un comportamento passivo-aggressivo che può solo mettere in moto un meccanismo ricattatorio.
Tra l’altro, la norma è abbastanza chiara. Si tratta dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori:
Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse […]
Non è un cdr che può agire in giudizio contro una presunta condotta antisindacale, ma «gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali».
Dunque, ancora meno capisco come Mentana possa sostenere che sia venuto meno il suo rapporto di fiducia con qualcuno che lavora insieme a lui.
Mentana, poi, dice:
«Non voglio fare la fine di altri direttori dimissionati perché rinviati a giudizio. Oltre alla coscienza limpida vorrei avere la fedina penale pulita».
La condotta antisindacale, per quanto io ne so, non integra un illecito di tipo penale, ma civile.
Sicché nessuna fedina penale ne viene intaccata.
Tra l’altro, a mettere in atto un comportamento antisindacale è, eventualmente, la parte datoriale. È l’azienda a essere eventualmente condannata al reintegro del lavoratore, o alla riparazione della condotta.
Certo: un modo per farla diventare una faccenda penale c’è. Basta non ottemperare all’ordine del giudice.
Ma si tratterà di una vicenda diversa: è questa vicenda qua, trattata dall’articolo 650 del codice penale, che si occupa dell’«inosservanza dei provvedimenti dell’autorità» (Il link rimanda a un testo dell’articolo non aggiornato).
E poi.
L’articolo 34 del Contratto collettivo di lavoro giornalistico vigente – qui – dice che
Nell’ambito della funzione informativa dei giornali quotidiani, dei periodici, delle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa e delle emittenti radiotelevisive private comunque collegate ad aziende editoriali, si consente all’impegno di pubblicare i comunicati ufficiali della Federazione Nazionale della Stampa Italiana [il caso che qui ricorreva, ndr], delle Associazioni regionali di stampa e dei comitati di redazione secondo i seguenti criteri territoriali:
– i comunicati della Federazione Nazionale della Stampa Italiana sui mezzi di
informazione di tutto il territorio nazionale;
– i comunicati delle Associazioni regionali di stampa sui mezzi di informazione delle rispettive giurisdizioni territoriali.
Essendo Mentana un giornalista, avrebbe dovuto onorare «l’impegno» di cui all’articolo 34 del contratto nazionale.
Franco Abruzzo sostiene che non si tratti di un comunicato sindacale stricto sensu.
Non sono sicura di essere d’accordo, ma se anche fosse, perché non confidare nella capacità del giudice di dichiarare insussistente la condotta antisindacale (potendo a quel punto perfino spingersi fino a sbertucciare con buona ragione cdr, associazione territoriale e sindacato nazionale), prima di sollevare il caso con tanta forza?
E non basta ancora.
Mentana dice di non avere voluto pubblicare il comunicato della Fnsi – solidarietà ai poligrafici che scioperavano contro la manovra Monti – per motivi «professionali», di valutazione della notizia:
«Della solidarietà ai poligrafici da parte dei giornalisti si poteva e si doveva fare a meno».
La mia opinione professionale è opposta (per me è notizia), ma questo non conta.
Conta che Mentana non spiega perché «si poteva» e anzi addirittura «si doveva» evitare che i telespettatori sapessero di una comunanza di interessi sindacali fra giornalisti e poligrafici.
Mi è inspiegabile – devo proprio essere sincera – anche la difesa che di Mentana fanno colleghi come Formigli e Lerner, per esempio.
Scrive qui Gad Lerner:
Invito l’Associazione Stampa Romana a recedere dall’annunciata denuncia di Enrico Mentana alla magistratura, atto di cui rilevo l’evidente sproporzione rispetto a una normale dialettica sindacale, quand’anche possa verificarsi un serio contenzioso.
Enrico Mentana ha dato vita con il TgLa7 a un prodotto di grande valore per la libera informazione di questo paese. È dunque interesse, non solo di La7, ma di tutti, ripristinare nel rapporto con Mentana un clima di confronto che non è certo compatibile con iniziative di tipo giudiziario.
Lerner tratta due aspetti: la sproporzione fra asserita violazione e annunciata denuncia (che a questo punto sarebbe però bene chiamare «ricorso»), e la qualità professionale del collega, che rende «interesse non solo di La7 ma di tutti» la ripresa di un clima di confronto.
Cosa vuol dire?
Che venir meno a una prescrizione del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico è piccola cosa?
Che rivendicare la necessità di un inaudito rapporto di fiducia fra direttore e cdr è un comportamento su cui si può tacere?
Che se un direttore è bravo è meglio evitare di far valere i diritti che la legge ci consente di far valere?
Che «una normale dialettica sindacale» non comprende la minaccia di un ricorso al giudice del lavoro per comportamento antisindacale?
Che qualunque «iniziativa di carattere giudiziario» venga legittimamente intrapresa da parte sindacale rende impossibile il confronto?
Non riesco a credere che Gad Lerner intendesse questo.
E molto strana mi pare anche la preghiera che in serata l’assemblea di redazione e il cdr hanno rivolto a Mentana affinché restasse al suo posto e all’Associazione stampa romana affinché non procedesse col ricorso.
A conti fatti, quel che Mentana ha fatto è stato questo: dimostrare che rifiutare di leggere un comunicato della Fnsi è possibile, e non succede niente. Anzi: un direttore si può perfino incazzare perché qualcuno gli chiede di agire come spiega il contratto, e ottenere che proprio quelli che gli chiedevano di pubblicare il comunicato alla fine si ammansiscano e lo preghino di rimanere al suo posto per l’amor di dio.
In fondo, a Mentana – forse – bastava introdurre surrettiziamente l’argomento che quel che dice il contratto nazionale è puramente indicativo, un suggerimento bonario.
E allora mi domando: perché i colleghi accettano la forzatura sul contratto?
Cosa si sta muovendo che noi non sappiamo?
Perché «perdere» Mentana sarebbe così grave?
Se fosse solo un problema di qualità del giornale, i colleghi avrebbero tenuto «bassa» la loro posizione ufficiale e avrebbero cercato una mediazione il più possibile interna, credo.
A cosa serve (o anche: per quale motivo si è resa necessaria) questa presa di posizione a voce alta dell’assemblea di redazione e del cdr, che sconfessa peraltro il sindacato territoriale?
Dice il presidente della Fnsi Roberto Natale che
Da mesi […] Mentana non aveva rapporti col cdr.
Non dà, questa dichiarazione, una possibile chiave di lettura dei fatti?
Non dà una spiegazione alla delegittimazione di cdr, sindacato e contratto che le parole e il gran rumore di Mentana hanno prodotto?
Non spiega molto bene che questa è solo l’ultima puntata di una lunga storia di cui non conosciamo gli episodi precedenti?
Eppure – anche se so che siamo noi giornalisti per primi, di questi tempi, a fare carta straccia del nostro contratto nazionale, dei nostri stessi diritti (che barattiamo per una fettina di polenta ammuffita con la gratitudine dei servi cresciuti in catene a pane e acqua) e perfino della nostra forza contrattuale (della quale ci fa piacere non avvederci nemmeno nelle occasioni in cui essa è evidente e ci metterebbe in situazione di vantaggio) – c’è in questa storia, nella sua dinamica, nella qualità e nella velocità degli interventi che si sono succeduti, e nel suo apparente finale a tarallucci e vino, qualcosa che mi sfugge e sento che dovrei sapere per giudicare meglio i fatti.
In fondo, è sempre la solita storia.
Quando si tratta di noi, non esce niente.
Della democrazia interna alle nostre redazioni nessuno sa niente. Ci limitiamo a bofonchiare a mezza bocca e ad alimentare mitologie sul tale direttore o sul talaltro (certo: non tutti hanno stature tali da poter accedere al rango mitologico, questo è vero), ma notizie serie su di noi non ne diamo mai.
E così, quel che resterà agli annali sarà la memoria di un direttore estremamente volitivo e virile, di un cdr che ha fatto marcia indietro sconfessando il sindacato provinciale, e di un sindacato che per difendere il contratto ha ormai solo l’arma dei comunicati stampa, perché i grandi nomi della professione – come i cdr e le redazioni – sconsigliano vivamente il ricorso al giudice.
Lesson number one: mai alzare troppo la testa.
Mentana, quel furbastro che ammalia tutti, non è che sta già pensando al Tg1?
Grazie di questa utile e puntuale analisi!
Sono d’accordo con molte delle cose che dici riguardo alla vicenda. Però mi piacerebbe sapere, al di là delle norme e contratti vigenti, se quanto disposto dall’articolo 34 del contratto collettivo ti sembra giusto. A me, devo dire la verità, per niente. Mi sembra un classico caso in cui una corporazione sfrutta la sua posizione per dare una risonanza ingiustificata ad una questione che riguarda i suoi specifici interessi (parlo in generale, magari nel caso specifico il comunicato era anche una notizia interessante, anche se non mi sembra). Che la FNSI per contratto automaticamente imponga lo status di “notizia interessante” ai suoi comunicati, sfruttando la sua posizione di organo di rappresentanza degli erogatori di notizie, mi pare una forzatura nella e buona.
In via teorica, Francesco, chiunque voglia fare sentire la propria voce può contare sul giornale: presidenti del Consiglio, sindacati, parlamentari, cittadini.
Quale altro mezzo di comunicare le sue ragioni potrebbe mai avere il sindacato dei giornalisti, se non il giornale?
Manifesti? Megafoni al mercato?
Di comunicati sindacali ne uscirànno, se è tanto, tre all’anno.
È vero, ma (come dici giustamente), solo in via teorica. La FNSI con quella norma reclama *automaticamente* (in via di fatto, altro che teorica) come un diritto il rendere noto a tutti i suoi punti di vista. Un povero mortale questo diritto non ce l’ha, e se il suo punto di vista non “buca,” non “fa notizia,” la sua voce non esiste. E infatti esistono un sacco di persone che vanno con i megafoni al mercato (a spese loro), o stampano manifesti (a spese loro). Potrebbe farlo anche l’FNSI, o no? Ma non lo fa perché la visibilità gli viene gratis grazie al contratto. Mi dispiace, ma continuo a pensare che sia una norma corporativa.
Io non capisco proprio cosa ci sia successo, cosa ci abbia convinti di tutto questo, che cosa ci abbia educati a questa assurda rincorsa all’indietro.
Mi viene in mente mia mamma quando si incacchiava di un’ingiustizia che subivo da piccolo e poi si raccomandava che non facessi qualcosa che avrebbe potuto farli vergognare con gli altri.
Francesco, non c’è un altro mezzo attraverso il quale il sindacato giornalisti possa far sentire la sua voce.
I sindacati confederali e autonomi entrano puntualmente nei notiziari. E il loro punto di vista esce come una notizia con un titolo, un catenaccio e un occhiello.
I comunicati sindacali escono senza titolo, con l’etichettatura di «comunicato sindacale».
Dopodiché, indipendentemente dal parere che si abbia sulla questione del corporativismo, qui si tratta comunque di una prescrizione contrattuale disattesa.
Chiunque voglia modificare un contratto ha il dovere di percorrere le vie istituzionalmente deputate.
Non va bene che il sindacato dei giornalisti sia unitario (e unico)? Se ne fondi un altro.
Non va bene che il sindacato abbia un contratto che difende il suo diritto di vedersi pubblicati i comunicati? Ci si assuma la responsabilità di NON pubblicarli, esponendosi – eccheddiavolo – al ricorso per condotta antisindacale: davanti al giudice si vedrà di portare le proprie ragioni.
Non si può contravvenire ad una norma solo perché non la si condivide, e pretendere perfino che, stando in una posizione di forza, la propria violazione venga accettata e archiviata senza sanzione in quanto «normale» e legittima, e non – invece – la forzatura che è e rimane, comunque la si pensi.
L’obiezione di coscienza per motivi sindacali non è ancora entrata nel nostro paesaggio politico.
Vuoi non dare il comunicato?
Fantastico. Fallo pure.
Io ricorro per comportamento antisindacale, e vediamo chi ha ragione.
Ritieni sbagliato che il contratto dia questa possibilità al sindacato?
Ti dai da fare per cambiarlo.
Non vedo terze vie che non siano forzature della dialettica «istituzionale».
(Dopodiché, su quanto perlomeno strambo – mio dio, che eufemismo!!! – sia il modo dei giornalisti di affrontare le notizie ho scritto più di trecento pagine sotto una copertina azzurra, e avrei potuto scriverne dieci volte tante… Ma è tutta un’altra storis; completamente un’altra storia, e ha a che vedere con il potere e il servilismo, con la pigrizia e la stupidità, con l’opportunismo e l’idiozia, più che con il corporativismo).
Ti do completamente ragione sulla questione specifica: se il contratto c’è, va rispettato. Dico solo che quella norma specifica non mi sembra giusta. Tu dici che non c’è altro mezzo per far sentire la propria voce. Il mio punto è proprio questo: un sacco di categorie non hanno questo mezzo, e quindi la loro voce, semplicemente, non esiste. Quella del sindacato giornalisti esiste solo perché i giornalisti controllano il mezzo.
I giornalisti non controllano il mezzo.
La proprietà controlla il mezzo.
E il contratto nazionale è negoziato fra le parti.
Ti ripeto che sul modo in cui i giornalisti svolgono il loro lavoro, dando voce a chi e come, ho da dir cose anch’io, e l’ho pure fatto.
Però a fissar l’agenda, a decidere a chi dar voce, sono rarissimamente i giornalisti, e solo quando la loro gerarchia di priorità coincide con quella dell’editore, il quale è dominus del discorso pubblico che attraverso i giornali si rende visibile e decodifica il mondo.
Altro che corporativismo.