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buon anno
Stanca, sfinita, rabbiosa.
Come quelle volte in cui le palpebre si mangiano il trucco sugli occhi, che esce di casa che le sembra di essere a posto e torna che si sente l’aspetto una vecchia laida e patetica.
Stanca dopo mesi di stupidi combattimenti.
Stanca di pensare che i suoi combattimenti non siano un cazzo, un niente; che non siano che una cazzo di inezia, di fronte ai problemi veri della vita. Cioè, insomma, di fronte alla morte, ecco.
E ancora così, avanti.
Sta male ma non ne ha il diritto, e dunque sta peggio.
Tieni, tieni, tieni.
Respira.
E poi una crisi di pianto mentre sistema la spesa nel bagagliaio, mentre sale in macchina da sola. Qualcuno magari telefona, e lei fa una voce allegra e cristallina: «Ehi, ciao! Tutto bene? Sì, anche qui, tutto bene, sono solo un po’ stanca».
Ma mica può essere stanca, lei.
Nemmeno depressa.
Nemmeno triste, peraltro, se non per pochi istanti.
È ovvio che in capo a qualche minuto il suo volto si illuminerà in un sorriso; ovvio che l’aria sarà mossa da una sua battuta di spirito.
Certo.
Lo sanno tutti che lei è così.
Lei sta anche male, magari, ma sa che non è ancora morta né sta morendo, apparentemente; e dunque, siccome sa quali sono le cose veramente importanti, be’, allora sorriderà di nuovo e si darà della stronza per avere anche solo pensato che stava male.
Stanno male i giovani senza lavoro, stanno male.
O i vecchi; quei vecchi che lei non può più sopportare. Loro, sì. Quelli davanti ai quali tu non conti, perché sei giovane e non sai cos’è sentirsi il fiato della morte addosso.
Quelli che sono soli, immobili e isolati, e tu invece stai bene, sei in contatto con la gente.
Tu fai una bella vita, mica come loro.
Gli occhi sono lucidi da più di un anno.
Liquidi di lacrime bloccate.
Lei non ce l’ha il diritto di stare male.
E punto.
Che altro c’è da dire?
Niente.
Ti sembra di star male, no?, ma non stai male davvero.
Sono tutte paranoie.
Possono veramente quei dieci capelli grigi farti stare male?
Possono, i desideri non realizzati?
Pensa a quelli che hai realizzato, invece.
Pensa a quanti vorrebbero avere le cose che hai tu.
Pensa.
Pensaci, irriconoscente.
Pensa a chi è anziano e depresso e ha paura e ha alle spalle una vita pesante, e difficile, e dolorosa.
Pensaci, no?
No, non piangere, ché piangere non serve a niente.
È stufa di uscire di casa con gli occhi gonfi.
Ma possono, due occhi gonfi, farti stare male? Eh?
Può farti stare male una taglia in più?
Può veramente farti stare male la paura per il futuro?
A te?
A te che porti il mondo degli altri sulle spalle?
A te che non puoi neanche sapere quanto soffrono i vecchi e quanto soffrono i giovani?
Ma quando eri piccola, ragazza, non potevi soffrire perché erano altri quelli che ne avevano il diritto.
Al momento di affidare le parti, il regista ti aveva affidato il ruolo di Bob aggiustatutto, piccolo ridicolo dio di una farsa di periferia, o forse era una patetica tragedia.
Colla, attrezzi, cuore, pazienza, orecchio sordo all’insulto, schiena insensibile alla fatica.
Forse quando sarai vecchia potrai soffrire veramente.
Adesso no.
Quando sarai vecchia potrai trovar qualcuno a cui urlare che STAI MALE E NON NE PUOI PIU’.
Ti prenderanno per una vecchia pazza, allora, e verranno a trovarti il meno possibile, dovunque tu sia.
Darai fastidio.
«Come s’è ridotta», si dirà la gente. «Ti ricordi com’era forte? Quanta energia aveva?».
E tu piangerai, e cercherai di capire se vale la pena ucciderli, quelli che siccome non ti volevano accarezzare quand’eri giovane ti dicevano che eri forte, e siccome non ti vorranno ascoltare diranno che sei troppo debole per potere stare accanto a te per mezz’ora.
No, certo, torna in te, su.
Respira.
Un sorriso.
Pensa alle cose belle che hai.
BASTAAA!!!
Basta.
Basta.
«Le cose belle me le son guadagnate tutte una dopo l’altra, cazzo!», dici tu. «Neanche quelle, eh?, volevate farmi avere? Le ho pagate tutte, una per una!».
Sì, ti spiegano; sì, cara, ma c’è chi non le ha.
E tu dici «che vada affanculo chi non le ha. Non se le sarà stentate, non se le sarà guadagnate, non se le sarà prese!».
Ma certe volte non ragioni, cara.
No, certe volte non ragiona.
Non ragiona proprio.
Il mondo è nero, le persone nauseanti, le relazioni troppo faticose, le aspettative troppo dolorose, i libri troppo pesanti da leggere, il cervello troppo stupido per comandare il cuore.
Pensa ai disoccupati, pensa.
Pensa ai vecchi.
A quelli che non sanno che cosa significhi temere per la vita di qualcuno che ami, eppure vogliono insegnarti cos’è la vita, come si vive, dov’è che sbagli.
A quelli che io-io-io-io-io.
A quelli che «tu non puoi capire».
Pensa a tutti questi.
Ma di pensare ha la nausea.
Della testa sulle spalle ha la nausea.
Degli stupidi ha la nausea, dei giovani ha la nausea, dei vecchi ha la nausea.
Di sé ha la nausea, ma non è mai riuscita a vomitarsi fuori.
Buon anno, pensa.
Buon anno un cazzo.
E pensare che c’è la gente che sta male per davvero.
permesso…ah sì, sono io…no no, vado via subito….ecco…pianto due chiodi nel muro…uno là…ne posso mettere un altro? grazie….ecco lo pianto lì…le metto su qualcosa da mangiare? un ciambellone? al cioccolato? gigante? otto chili di ciambellone? si può fare….adesso però devo andare…grazie per le parole intanto…sì sì ci vediamo…lascio aperto, non si preoccupi…anzi, tolgo la porta e me la porto via…spacco un vetro? no no scusi….facevo lo spiritoso….beh adesso vado eh….stia bene mi raccomando…
v
Grazie per la porta aperta, signore.
E per il ciambellone da otto chili…