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il minestrone del «tecnico»
Trovo già abbastanza singolare che il governo possa venire invitato ad «ascoltare» – in qualità di «esperti» su mafia e camorra – i magistrati o le sentenze, che non per niente sono espressione di un potere che il nostro ordinamento prevede altro e distinto dal potere legislativo e dal potere esecutivo.
Ma ascoltando il video – qui – scopro che si sta parlando di una cosa ancor più singolare di quel che già mi veniva da pensare guardando i soli titoli riportati qui sopra in foto.
Ezio Mauro, infatti, considera strano il fatto che in questo gran parlare di «tecnici» nessuno abbia pensato a Roberto Saviano.
È vero che il passaggio non è inequivoco, ma sembrerebbe poter alludere all’opportunità di nominare ministro o sottosegretario o viceministro o consulente a qualche titolo del governo un uomo che, se in una simile avventura dobbiamo immaginare coinvolto per ragioni di competenza, siamo costretti a ipotizzare «tecnico» in quanto «giornalista» e «presenza civile» (più che come scrittore, direi).
Il che mi porta a interrogarmi una volta di più sul significato del sostantivo «tecnico», e sul senso del marchio nella nostra vita pubblica; e, naturalmente, sull’importanza del «brand».
Seguendo la linea di ragionamento di Ezio Mauro, fama è competenza. Nel senso che se uno è competente diventa famoso. E se diventa famoso (e noi lo possiamo considerare – come potrei dire? – «dei nostri») è competente, ovviamente. E se è competente, deve essere ascoltato in quanto «tecnico».
Insomma: ruolo, funzioni, significati, segni, simboli, istituzioni: tutto mescolato in un minestrone nel quale chiunque è intercambiabile con chiunque altro, purché – oltre a rispondere agli interessi legittimi che ci piacciono di più – sia abbastanza famoso da poter essere un brand.
Tutto rimescolato nella retorica dell’«esperto».
Come se la politica non avesse alcuna specificità; alcun linguaggio, alcuna modalità che le sono propri ed esclusivi.
In un suo modo, è sconcertante.
Se tieni conto che il termine “competenza” è oramai in continua ri-definizione nel mondo privato del lavoro con l’obiettivo di farne un criterio sempre più oggettivo di valutazione della performance e se tieni conto che nel mondo politico proprio qando si reclama meritocrazia la competenza diviene terreno di saccheggio dell’approssimazione, direi che il cerchio si chiude.
Sull’«oggettività» dei criteri di «valutazione» della «performance» e sulla «meritocrazia» io rimango sempre enormemente scettica.
😉