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gramellini e il diritto di voto
Eccolo lì. Era solo questione di tempo.
Eccolo lì, un Gramellini che – invocando la diseguaglianza come fattore di frizione vitale – ci spiega che
per realizzare una democrazia compiuta occorre avere il coraggio di rimettere in discussione il diritto di voto.
Non posso guidare un aeroplano appellandomi al principio di uguaglianza: devo prima superare un esame di volo.
Potrei cavarmela dicendo che prima di avere il coraggio di rimettere in discussione il diritto di voto, io rimetterei in discussione a questo punto il diritto di parola.
Ma non lo farò.
Mi limiterò a disperarmi, perché l’appello al valore positivo della diseguaglianza come differenziale di capacità necessario e propulsivo, in piena consonanza con la retorica aziendalista, viene accolto qua e là sui social network con orrendi peana di soddisfazione.
«Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dirlo», leggo a commento di queste bestialità scritte da Gramellini.
Perché la questione è questa: se io che ho una rubrica su un giornale letto da molte persone metto in discussione il diritto di voto e l’eguaglianza, dovrò pur farmi qualche domanda intorno alla mia responsabilità.
È troppo comodo, per la miseria, lamentarsi dell’idiozia delle persone che ci stanno intorno (o addirittura – somma prova di coraggio civile – di coloro che governano il Paese) e non rilevare mai che nella loro ascesa c’è il mio zampino; che c’è lo zampino di chi, nelle redazioni, tace davanti a titoli assurdi, a ricostruzioni non veritiere.
C’è lo zampino di chi lascia parlare Calderoli, Bossi, Brunetta, Bersani, Berlusconi, la Gelmini, la Carfagna, Maroni, Sacconi, Tremonti, Scajola, la Marcegaglia, Montezemolo, Prodi, Monti, Rutelli, Casini, Di Pietro, la Mussolini, senza mai – e dico mai – chiedere loro «mi scusi: ma lei – esattamente – cosa intende dire?».
Eh, no, caro Gramellini che vuoi «figure alla Mario Monti».
Sentiamo un po’, Gramellini: e perché io dovrei essere d’accordo con Mario Monti? Solo perché non si porta ad Arcore le ragazze, solo perché non c’entra con la Mondadori, solo perché è elegante e raffinato e parla a bassa voce, e non è tragicamente cafone come quel pover’uomo che si chiama Silvio?
Dimmi un po’, Gramellini: dovrei essere d’accordo con Monti perché è fottutamente chic?
E dovrei essere d’accordo con te che invochi la dittatura perché quando il tuo e il mio vicino di banco al lavoro facevano gli gnorri di fronte alle stronzate noi siamo stati zitti perché tenevamo famiglia?
Mi son stufata di ripeterlo, ma ogni giorno ne ricevo conferma: quando ci libereremo di Berlusconi sarà peggio, infinitamente peggio di adesso.
A demolire i nostri diritti – e pesantemente, e in nome della finanza, e dell’economia, e dei mercati, e della meritocrazia (ommiodio) – saranno quelli charmant, vestiti bene, ben allevati; quelli che conoscono Sant’Agostino; quelli che se te li porti a cena ti fan fare bella figura perché conoscono la differenza fra il lardo di Colonnata e il formaggio di fossa; quelli che amano lo slow-food e sanno tenere le posate e sbucciano la frutta senza prenderla fra le dita.
E così finirà che pure i simboli dell’alterità ci porteranno via.
Quel po’ di lardo; la pancetta…
Viva la dittatura. Sì, come no.
Chiedo scusa: Gramellini la chiama «megliocrazia».
Che bravo, eh?
Inventa parole bellissime!
(Ciao, Laura. Come va?).
Non dire parolacce! 😀
Megliocazzia?
Mi piace moltissimo questo post. Mi piace moltissimo, e purtroppo, il finale. Grazie.
Piace molto anche a me. Ti si potrebbe rispondere che trattasi solo di provocazione e che nessuno seriamente intende mettere in discussione l’eguaglianza nel diritto di voto. Con il problema che in questo paese, a forza di provocazioni e di “diciamoci la verità …”, si va giorno per giorno a minare quel poco di principi condivisi che restano per chiamarci comunità politica (oggi il diritto di voto, ieri quello di riunione, sottoposta a previa polizza assicurativa da parte dei partecipanti). Per poi la domenica, a fronte dell’ennesima porcheria del Governo, richiamarci tutti alla Costituzione.
Vero. Resta il fatto che non salirò mai su un aereoplano guidato da te. Per me sei troppo semplicistica. Mettere in discussione l’uguaglianza del voto è abominevole ma NELLA REALTA’, purtoppo, è da prendere in considerazione in una sua qualche variante. Chenneso: un patentino per andare a votare. Mica roba difficile. L’ABC dell’educazione civile. Quella che mi insegnavano alle elementari(!) e poi snobbata completamente. Ho amici che non leggono un giornale che sia uno (UNO), che non leggono mai un libro, che confondo il presidente della Repubblica con quello del Consiglio. Perché dovrei lasciare a queste persone il diritto di votare per cose che dopo adranno a influire me, la mia famiglia, il mio paese? Guarda che mi ci metto dentro anch’io: testatemi. Sarò FELICE di sottopormi ad un esame per vedere se sarò idoneo a votare. Se fallirò allora la prossima volta STUDIERO’ meglio. E vedrai che diventerò più assennato e più sensibile. Perché cazzo l’unico modo per venirne fuori è la CULTURA e lo STUDIO. Sai quale è cosa più triste? E’ quando vedo quelli a CUI NON GLIENE IMPORTA UN CAZZO. Dei problemi del mondo, dei problemi della gente, dei problemi in generale. Quelli che di votare gliene sbatte una cippa. Ma che poi ci vanno, perché fa grandi andare a votare. Che se poi non ci vai cosa pensa la gente? Quindi vanno a votare, ma non gliene frega nulla in realtà. Soprattutto i giovani. Ad una classe di 100 alunni due giorni ho visto il prof chiedere: “Quanti di voi leggono il giornale?” Avranno alzato la mano si e no una decina. E gli altri? NEANCHE FANNO FINTA. La verità è che quando lasci l’uomo agire come CAZZO GLI PARE lui farà merda, fare sempre merda, io, tu, tutti. E li ci vuole qualcuno che dica “NO TESTE DI CAZZO, invece di guardare il GF, o l’ultimo episodio di DEXTER, o di leggere l’ultimo di BARICCO, vi leggete un FOTTUTO GIORNALE. Vi studiate un MINIMO di economia, di diritto, di psicologia. Nulla di (troppo) complicato.
E poi verranno quelli come te, che vivono su un altro pianeta, a darmi del FASCISTA perché voglio obbligare i giovani a INFORMARSI E A SVILUPPARE UN PENSIERO CRITICO. Perché voglio OBBLIGARE ME STESSO A INFORMAMI E A SVILUPPARMI UN PENSIERO CRITICO.
Sei un’ingenua e, dopo aver letto l’ultima parte del post, pure una ragazzina. “Quelli che leggono Agostino e mangiano slowfood”. Si cazzo, come quando ero al liceo e si categorizzava la gente a seconda delle preferenze musicali. Il che va bene quando si scherza ( gli stereotipi sono sempre divertenti). Ma non è il tuo caso no? Madò che tristezza.
Chiedo scusa per l’acidità dell’ultlima parte, mi sono fatto prendere la mano.
Ammazza. Fai sempre tutto da solo in questo modo?
Anzi: IN QUESTO MODOOO?????
C’è una costante nella mia vita: gente nazi che dopo due giorni di nazi starebbe davanti al plotone d’esecuzione.
okkei, ho esagerato. Ma, dico davvero, aiutami a capire dove è l’errore. Scrivi che Gramellini, con ciò che scrive, è come se invocasse la dittatura. Lo capisco. Sono d’accordo. Ora io ho 26 anni e ho studiato psicologia e neuropsicologia. Sono discipline che alla lunga ti gettano nello sconforto. Perché alla fine si arriva sempre alla stessa conclusione: il cervello ci porta – biologicamente – ad agire male. Pensa allo stereotipo: noi non possiamo non essere razzisti. Ci formiamo le leggi sul mondo secondo il principio d’induzione: dal singolo evento ci facciamo una legge generale. Incontro una bionda che è stupida, ne incontro un’altra che è stupida e BAM: le bionde sono stupide. Certo lo so che è sbagliato, ma è il modo che il nostro cervello ha di muoversi nel mondo. Russell faceva l’esempio della gallina: vedi ogni giorno una mano che ti da da mangiare. Quella mano diventerà la fonte del tuo sostentamento fino a quando non ti tirerà il collo. Unisci questo al concetto di “risorsa cognitiva”. Il cervello non può ogni volta giudicare da zero una persona perché ciò comporterebbe un carico cognitivo troppo elevato. Si affida allora alle leggi – sbagliate ma inevitabili – ricavate dall’induzione. Unisci questo a quel principio di economia che permea tutta la natura in generale. La natura agisce in modo da evitare sprechi di energia. Cambiare – il nostro comportamento, il nostro modo di vedere il mondo – richiede un cambiamento sinaptico. Questo richiede energia. Ecco perché cambiare richiede sforzo, il cervello non vuole. Poco importa se stiamo male, al cervello non interessa l’importante è non sprecare energia inutilmente. Davvero ce ne è una vagonata di “cose” che il nostro cervello fa a nostra insaputa e che ci rendono, di fatto, persone peggiori. Per difenderci da noi stessi dobbiamo conoscere le nostre trappole. Pensa all’effetto placebo. Funziona fintanto che non sai. Appena sai che quella pallina è zucchero non funziona più. Chissà quante palline stiamo ora ingoiando senza sapere di cosa si tratta.
Ecco il mio dilemma. E ti chiedo un aiuto. L’uomo IGNORANTE lasciato libero di agire, agirà secondo le leggi del suo cervello che sono male, o meglio, che la nostra società ha stabilito essere male. SE tuttavia imponi degli obblighi e dei limiti al cervello altrui allora sei un FASCISTA. Giustamente. Dunque la soluzione sarebbe che le persone si istruissero di loro scelta. Il problema è che molti non lo fanno. Peggio ancora, non lo vogliono fare. E tu non li puoi costringere perché saresti un dittatore. ma poi costoro, in preda al loro cervello, votano. e il loro voto influenzerà anche me. e di tutto questo discorso abbiamo appena intaccato la psicologia. E l’economia, e il diritto, e la sociologia? E se voto il nucleare, o la fecondazione assistita, o la legalizzazione della marijuna? Dovrei saperne di scienza in generale, di fisica, di chimica, di biologia. La democrazia è irrealizzabile nella realtà siamo seri. C’è troppo sapere specifico che uno deve conoscere per fare scelte assennate. Ma almeno un minimo, un MINIMO di conoscenza sarebbe davvero così male imporla?
Te lo chiedo sul serio: perché non imporre a me, a te, a tutti, un MINIMO di conoscenza su certi temi. Poi se uno non vuole non studia ma però poi non vota. C’è libertà di scelta. Tu mi puoi dire: ma se uno lavora e ha figli dove lo trova il tempo per studiare? Okkei, per questo dico un MINIMO di conoscenza. 3 sarà peggio di 6 ma meglio di 0. A freddo non mi sembra così pessima come idea, dove sbaglio, cosa vedi che io non vedo?
Seriamente, Alessandro.
Sarò brevissima ed ellittica: chiedo scusa.
Un corso non risolve nulla.
C’è stato un tempo in cui la politica ha avuto un senso per le vite di molte persone; c’è stato un tempo nemmeno troppo lontano in cui le persone han creduto che rivolgendosi alla politica – facendo politica – potevano rendere collettivi, affrontare e forse, chissà, perfino cominciare a risolvere i problemi.
Poi, la politica è diventata merda; i politici ladri; le istanze collettive un problema di negoziazione individuale.
I diritti sono usciti di moda, e li abbiamo sostituiti con il simulacro della libertà di scelta.
La politica l’abbiamo sostituita con il petizionismo.
Come puoi pensare che un corso restituisca competenza – e si tratterà veramente di competenza tecnica, poi? – a un cittadino?
Chi insegna?
Un ordinario di diritto pubblico o un economista?
Il direttore del Fondo monetario internazionale o il board della Bce?
Uno storico o un filosofo?
Un «formatore»?
Uno psicologo?
Un giornalista (ahahah)?
E cosa insegna?
Con quale obiettivo?
Io non ho niente di speciale a favore della democrazia, ma penso che le alternative sian peggiori.
Il fatto è che tutto quello che io – ingenua (santa pace), ragazzina (oggesubenedetto!) e incapace di pilotare un aeroplano (cosa alla quale in effetti bastano corsi e pratica) – so è che i processi storici non si invertono con i corsi.
Un mio amico mi ha segnalato questo post in risposta a Gramellini.
Ho letto con piacere la tua opinione e la tua egualitaria captatio benevolentiae verso la democrazia. Mi ha colpito tanto il tuo essere contraria “al valore positivo della diseguaglianza come differenziale di capacità necessario e propulsivo” e ho continuato a leggere il tuo post fino alla fine con grande foga agonistica. Ti ho subito preso sul serio. Mi stavi fregando, insomma. Poi ci ho pensato bene e, purtroppo, devo dire che ti sbagli. Cazzo, non possiamo cadere sulla diseguaglianza. No!
Francès
No, non possiamo cadere sulla diseguaglianza, no.
(Non posso dire di avere capito alla perfezione cosa tu intenda dirmi; ma non è che io mi stupisca delle mie insufficienze, che han dato testimonianza della loro esistenza in un gran numero di occasioni in cui avrei voluto sembrare molto più intelligente.
Va bene: ho torto. Mica ho problemi a dire che ho torto.
Però come si permette Gramellini di argomentare con tanta nonchalance sull’esistenza di un così grande quantitativo di imbecilli senza domandarsi quanta parte di responsabilità nell’averli resi imbecilli sia da addebitare a chi, come lui e come me, svolge il mestiere di giornalista?
L’ultima parte del post, poi, intendeva solo dire questo, e con ironia (ah, la mia incapacità di essere chiara, di scrivere bene!): che lo slow food – per dire – era la «nostra» (brutalizzo, lo so: «nostro» non esiste, ma mi pare che ci si possa capire) risposta terragna alle ostriche celestiali dei potentoni; o all’enorme cultura dei tipi raffinatissimi «alla Monti» che ci fan fare bellissime figure perché hanno studiato Sant’Agostino e non si portano a casa le ragazzine.
Ora, a toglierci i diritti saranno quelli che hanno pedigree e buona educazione: mica dei parvenù come Berlusconi; mica dei «cumènda»; mica dei satiri.
Avranno belle faccine educate, parleranno a bassa voce.
E noi non potremo neanche consolarci pensando che tutto sommato sono un po’ rivoltanti.
E se andremo in cerca di «alterità», ci toccherà costruirci un pantheon di simboli e santi nuovo di zecca).
Faccio una proposta costruttiva. In base al principio prettamente liberale “no taxation without representation”, si potrebbe condere agli esclusi dal voto – così, come contentino – l’esenzione totale dalle tasse.
Io invece sono assolutamente d’accordo con Gramellini, anche se non ho mai sopportato slow food. Spostando in là l’assicella del discorso credo i diritti uno se li debba guadagnare e, in un mondo ideale, maggiori diritti significa anche avere maggiori responsabilità (e di conseguenza pagare molto di più per i propri errori). Non è vero che siamo tutti uguali. Il poveraccio che ruba non è uguale al primario di un ospedale (o un politico, o un magistrato, o un professore universitario) che ruba. Il politico è più colpevole perché ha maggiori responsabilità (giusto per fare una semplificazione estrema). Noi stiamo assistendo proprio al contrario: con la scusa che siamo tutti uguali davanti alla legge finisce che ci sono quelli più uguali degli altri e che se un poveraccio ruba viene messo alla gogna, se un politico (o una qualsiasi altra delle figure che ho citato prima) riesce sempre a cavarsela in qualche modo. Dove sta l’uguaglianza in questo?
manch’io ho’letto su consiglio di un amico. Ma quanti sofismi in questi commenti! Consiglio di rileggersi un evergreen, Rousseau: basteeebbe per non farsi passare per l’anticamera del cervello l’idea del minimo distinguo sul concetto di uguaglianza. Magari farebbe bene anche rileggere l’art. 3 della Costituzione: l’unico distinguo è fra formale e sostanziale, ma per rimuoverlo!
I diritti non si acquistano né si guadagnano. Ci appartengono in quanto cittadini. E i processi storici – la supposta ‘impreparazione” e il disinteresse civile dei cittadini – non si invertono con i corsi o con i test nei quali saremmo chiamati a dimostrare la legittimità del nostro status di cittadini.
E in più: se a favorire nei cittadini la supposta “impreparazione” politica siamo stati anche noi giornalisti, pudore esigerebbe il silenzio, o almeno il riconoscimento della complessità del reale.
Facciamo che un uomo – estremizzo – picchia la donna con cui sta (e vale allo stesso modo se il caso è simmetrico e opposto) facendole ogni giorno nuovi piccoli lividi, e ogni tanto dandole un pugno in un occhio.
Facciamo che quell’uomo, guardando quella donna, le dica un giorno “ma quanto sei brutta; mi sembri repellente. Credo che ti caccerò di casa e porterò qui una donna più bella”.
Ecco.
L’idea di Gramellini somiglia a quella di quell’uomo che vuole una donna più bella.
L’analisi è, almeno in parte, giusta; la donna piena di lividi è brutta, probabilmente triste.
Ma chi l’ha resa così?
E se il processo è stato lungo, perché nessuno dei vicini di casa, dei parenti o degli amici è intervenuto?
Sono molto colpita dalla leggerezza con la quale l’argomento della “meritocrazia” – perché è di questo che parliamo, no? Di togliere il voto a chi secondo noi non se lo merita – abbia eroso il concetto-base di diritto.
Ma non dovrei stupirmi, lo so: se nella percezione collettiva i diritti fossero rimasti diritti, Berlusconi non sarebbe più presidente del Consiglio dei ministri, e la sinistra non sarebbe il Pd.
Dell’ultimo pezzo del post ho già scritto in qualche commento, ma evidentemente – insieme al diritto da guadagnare – c’è anche la libertà di criticare ciò che non si è letto e ciononostante considerarsi legittimati a commentare. Che, per carità, è perfettamente legittimo. Io nei diritti credo e crederò fino in fondo, e non penso che i diritti vadano meritati.
E l’antiegualitarismo forcaiolo mi mancava. Come argomento “di sinistra”, perlomeno.
Come argomento di destra lo capisco.
Se invece è una di quelle considerazioni che nascono a margine dell’ardita scuola di pensiero che destra e sinistra sono, nel ventunesimo secolo, concetti obsoleti, allora mi taccio. È domenica pure per me…
Il mio è il classico e forse banale discorso dei talenti: sarai giudicato in base ai talenti che il Signore ti ha dato. L’ugualitarismo cieco e fideistico non mi ha mai convinto.
Sulla talentocrazia fideistica denuncio la mia incompetenza (territoriale e non solo).
Alessandro, io qualche libro di psicologia l’ho letto ma devo averlo letto distrattamente perché ancora non ha sortito l’effetto di farmi stare così sulle palle il prossimo. Ripasserò con più attenzione.
Solo: che tipo di formazione dovrebbe avere il tuo esaminatore ideale, per essere sicuri che dopo aver esaminato due bionde stupide, BAM, non decida di togliere il diritto di voto a tutte le altre, naturali o ossigenate?
Giacomo, ti faccio notare che alla tua affermazione (“credo i diritti uno se li debba guadagnare”) segue un’esemplificazione che non concerne i diritti.
Faccio un esempio io. Mettiamo che sia vero che “i diritti uno se li deve guadagnare”. Facciamo il caso di un neonato. Sicuramente non ha avuto modo di guadagnarsi alcunché. Vogliamo sostenere che non abbia alcun diritto?
Ne dubito.
La mejo gioventù, come no: la mejo raccomandata!
Hai ragione Giulio, mi sono espresso male, intendevo dire alcuni diritti che, proprio per questo motivo, probabilmente non dovrebbero essere chiamati diritti. Ecco, il punto della questione è proprio questo: capire cosa sia diritto e cosa no. Chiaro che io parlo di una società ideale, e mi rendo perfettamente conto che ciò non è di fatto attuabile.
Ma credo comunque che non sia un’eresia dire che la democrazia intesa come mero calcolo numerico, e cioè che a decidere è chi è in numero maggiore, non sia sinonimo di giustizia nè tantomeno di scelta migliore a priori.
Giacomo, ora parli di – brutalizziamo, va’ – di “dittatura” della maggioranza. A me non pare la stessa cosa di cui parlavi prima.
Sono d’accordo sul fatto, del tutto ovvio,che i pareri e le opinioni non sono tutte eguali ed egualmente rispettabili. Ci sono anche le opinioni deliranti, quelle in malafede, quelle da incompetenti. Io so e molto di certi argomenti, poco di altri niente di moltissimi altri. Mi chiedo però come si faccia ed in base a quale criterio, a selezionare quelli che possono esprimere il voto. Uno potrebbe ignorare per esempio le funzioni del capo dello stato, ma essere preparatissimo sui programmi elettoralia, viceversa uno potrebbe sapere la costituzione a memoria (almeno le leggi fondamentali) ed ignoare chi sono i leader contrapposti.
Il problema è, mi pare di capire, che Gramellini pensa che se non votassero gli ignoranti ( o supposti tai) allora il governo sarebbe migliore. Grave ingenuità. Berlusconi è il prodotto della società italiana, e le ricerche provano che se avessero votato solo gli imprenditori maschi, avrebbe vinto lui e forse con margine più ampio. D’altro canto al tempo di Giolitti governava appunto Giolitti, mica Turati…
Io sbaglierò, ma le parole di Gramellini mi paiono indicare un cambiamento nella percezione di cose dovrebbe essere la democrazia. Solo i migliori dovrebbero poter votare? E in base a quali criteri gli scegliamo? Io vorrei evitare che a votare il governo del mio paese siano persone scelte con criteri elaborati, chessò, dal ministro della semplificazione Calderoli. Chi cazzo ve lo dice che i migliori siamo per forza noi che leggiamo i giornali, i libri, capiamo Melancholia, andiamo alle mostre e ci commuoviamo di fronte a un muro di Pompei che crolla? Chi? Spiegatemelo perché non capisco.
Questo è il classico paradosso della Nutella: mi piace la Nutella e sono di sinistra, ergo la Nutella è di sinistra.
Flavio, ciao.
A me, più che una questione che ha a che videre con una specie di elitarismo snob, pare un punto di vista antidemoctratico.
Io sono d’accordo con te. Mi sembra solo un’ingiustizia che per smontare una cazzata di 1500 caratteri (l’articolo di Gramellini) ne occorrano più del doppio, i 3323 del tuo articolo.
Detto questo, Mario Monti mi terrorizza, forse anche più di Gramellini. In generale tutti quelli che promettono Marii e Monti mi terrorizzano. La parola “tecnico” avvicinata a “governo” è una combinazione da brividi. A me sembra il default della democrazia. Chiamare un macellaio sociale e socievole beneducato per fare il lavoro sporco (magari proprio perché non ci si vuol sporcare le mani) mi sembra una porcata, cioè un porcellum molto più imbarazzante dell’attuale.
a me lo studiare il diritto pubblico e internazionale, l’economia e la scienza politica ha creato una certa coscienza istituzionale, mi ha reso più critico e consapevole, nonché immune alla demagogia.
per quanto mi riguarda, gramellini, nella sua provocazione, ha ragione da vendere, e così pure alessandro curcu (che comunque dovrebbe cavare il caps lock dalla sua tastiera e inghiottirlo per punizione).
Q, non so che idea tu abbia della demagogia alla quale ti dichiari convintamente immune.
La mia idea di demagogia è questa presa di posizione di Gramellini.
E aggiungerò che sono scandalizzata dalla facilità con la quale ci adattiamo all’idea che il concetto “lo stronzo” (per semplificare) “non deve avere il diritto di votare” sia un’idea che possiamo far uscire dalle bettole.
Ciao Federica, ti ho letto svariate volte ma credo sia la prima che ti commento.
Tu associ il concetto di non diritto di voto al concetto di diseguaglianza, ma fai un salto logico che forse (dico forse perché non ho letto Gram) non è così scontato.
Cioè se il diritto di voto l’avessero potenzialmente tutti i maggiorenni, ma previo test di accesso (qua sta un nodo importante. Meglio qualcosa di elementare, tipo “chi è il presidente della repubblica” o qualcosa di complesso per un accesso più qualificato?”), secondo te sarebbe così sbagliato? Ne lede il diritto di uguaglianza? Per me no. Per me il voto consapevole è dovere del cittadino.
Ops, vedo che avevi già risposto. Ho letto i commenti troppo tardi.
“I diritti non si acquistano né si guadagnano. Ci appartengono in quanto cittadini. E i processi storici – la supposta ‘impreparazione” e il disinteresse civile dei cittadini – non si invertono con i corsi o con i test nei quali saremmo chiamati a dimostrare la legittimità del nostro status di cittadini.”
Mi pare una posizione non condivisibile. Nel senso che il diritto non è detto che esista solo ed esclusivamente in quanto tale. Esiste anche il diritto acquisito previo ruolo attivo. E capisco che in qualche misura la necessità di un’imposizione derivi dal fallimento da parte dello stato ad istruire ed educare i cittadini alla democrazia, ma insomma, se ammettere questa responsabilità può servire a far tornare le cose sul giusto binario, non vedo perché non farlo. Oltre al fatto che non mi piace che i cittadini vengano sempre considerati popolo bue da imboccare e da deresponsabilizzare.
Dire che a un cittadino spetta il diritto di voto in quanto è un cittadino è trattare i cittadini come popolo bue?
Che interpretazione singolare!
No Federica, non ho scritto questo, mi spiace. Lo si tratta come popolo bue se si equipara un test di accesso alla sottrazione di un diritto o addirittura ad un atto di diseguaglianza. Quello sì.
I diritti son diritti e basta, non prevedono il superamento di alcun test.
Noi giornalisti abbiamo gravi responsabilità nell’aver svuotato di senso la dialettica democratica, nell’essere venuti meno ai nostri doveri.
Non possiamo, ora, dire “facciamo un test che dia la patente di cittadino al cittadino” quando ciò che potevamo e dovevamo fare per favorire la chiarezza dei meccanismi istituzionali, per esempio, non l’abbiamo fatto.
Ma, di nuovo, i diritti del cittadino, in democrazia, prevedono il suffragio universale. Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.
Nom c’è alcun “supercittadino”, né alcuna commissione di supercittadini a cui demandare il compito di stabilire chi ha il diritto di votare e chi no.
Chi lo ritiene non solo propaganda la diseguaglianza ma fiancheggia un’idea elitaria, esclusiva e in ultima analisi non democratica della democrazia.
Federica, i diritti sono diritti finché abbiamo coscienza del loro valore, ma non sono eterni. Se smettiamo di curarcene, rischiamo di farceli scippare. Dunque non è vero che uno i diritti se li deve guadagnare, ma è vero che deve stare attento a non farseli rubare.
Poi è anche vero che il giornalismo ha la sua parte nel rimbecillimento della gente. Ma non tutti i giornalisti sono uguali. Ce ne sono anche che hanno bastonato da tempo certe derive populiste (che non vuol dire essere elitari), ma non sono stati granché ascoltati. Tu dici “come si permette Gramellini di argomentare con tanta nonchalance sull’esistenza di un così grande quantitativo di imbecilli senza domandarsi quanta parte di responsabilità nell’averli resi imbecilli sia da addebitare a chi, come lui e come me, svolge il mestiere di giornalista?” Ecco, va bene l’egualitarismo, ma qui mi pare che si passi dall’uguaglianza all’identità. “Chi, come lui e me svolge il mestiere di giornalista” è una frase che implica “io e lui siamo uguali”. Bastasse fare lo stesso mestiere per essere uguali, potrei considerare Einstein un collega ? Evidentemente Gramellini pensa di poterselo permettere, tu ritieni che non ne abbia il diritto ed è un parere legittimo. Ma sono anni che leggo autori (e non solo giornalisti) che hanno fatto di tutto per favorire la chiarezza di cui parli. E non erano pubblicati samizdat. Erano nelle edicole, nelle librerie e anche in Internet. Da ciò che ho letto (e non solo in Gramellini) ritengo che ci siano persone possono permettersi giudizi severi e provocazioni anche estreme. Se tu pensi che nessuno possa farlo, non sei la misura di tutte le cose, fattene una ragione.
A volte mi capita di chiedermi perché le persone son cosi sgradevoli. Tu, per esempio: perché di fronte all’espressione di una mia opinione, diffusa peraltro da un blog, ti ritieni in diritto di avvertirmi del fatto che io non sono la misura del mondo e che farei bene a farmene una ragione? Mah, chissà. Chissà che tipo di corda han toccato in te le mie parole.
Anche se quella di Gramellini fosse una provocazione – e non credo – io non penso che lui non potesse farla, ma penso di potere, io, “permettermi giudizi severi”.
O tu hai deciso che io, dal mio blog, non ne ho il diritto?
Quel che a me sembra Gramellini faccia è proprio esplicitare con motivazioni impertinenti lo scippo dei diritti di cui parli tu.
Quanto al resto, essendo io stessa giornalista, so molto bene che non tutti i giornalisti sono uguali.
Collettivamente, però, portano una responsabilità che prescinde dal loro ruolo individuale.
Inoltre, non c’è argomento che possa convincermi del fatto che il diritto di voto sia qualcosa che si deve avere il coraggio – il coraggio – di mettere in discussione. Su base “meritocratica”, poi…
Sono sgradevole quando vedo fare del sarcasmo sul lettore charmant di Sant’Agostino e magari meritocratico quando abbiamo ministri semianalfabeti che parlano alzando il dito medio, ministre che predicano il merito dopo essersi laureate con tre anni di ritardo e aver preso l’abilitazione a Reggio Calabria, “igieniste dentali laureate col massimo dei voti” e una caterva di specialisti in “scienze della comunicazione” che hanno sistematicamente svuotato i cervelli di qualsiasi capacità di ragionamento. Certo, si può essere laureati e mafiosi (come NON ci hanno spiegato i molti giornalisti che hanno definito Dell’Utri un raffinato bibliofilo nonostante resti difficile scambiarlo per un Monti) e qui vengo al nocciolo: ho sempre creduto che le responsabilità fossero individuali e invece scopro che – almeno per i giornalisti – non è così.
Egualitarismo a oltranza, responsabilità collettiva, virgolette sprezzanti verso la meritocrazia. Non so come dirlo senza sembrare ancora più sgradevole, ma se proporre di mettere in discussione il diritto di voto è una fesseria, la “responsabilità collettiva” non è da meno. Offende fare osservare che molta gente tra Mario Monti (o uno Zagrebelsky, o un Sylos Labini quando c’era, o un Rodotà, insomma uno qualsiasi che puzzi di “etica e culturame”) e Alvaro Vitali sceglierebbe il secondo ? E perché, di grazia, visto che abbiamo la fortuna di aver avuto entrambi, anche se in ordine inverso ?
Non ci sta simpatico Monti ? E’ legittimo Anche io temo la macelleria sociale, ma la temo meno da Monti che da Brunetta. Ma se è arrivato Monti è soprattutto perché chi c’era prima pensava di più alle ragazze, a scippare la Mondadori (non a possederla, ma a RUBARLA con una sentenza comprata), a definire sovietica la costituzione, a piegare la giustizia ai suoi diktat, insomma a fare di TUTTO tranne che pensare al paese che liberissimi elettori hanno votato come presidente del consiglio, e molti con razionalissimi argomenti del tipo “è troppo ricco per rubare” o “Almeno la Carfagna è più gnocca della Bindi”. E mentre succedeva questo, un sacco di giornalisti (tra cui NON Gramellini) continuava a far finta di niente, a invitare al dialogo, a spiegarci che quella era la vera rivoluzione liberale, che “Berlusconi è fatto così” mentre tutto il mondo ci stava prendendo in giro perché ‘sti fessi di stranieri non hanno capito la spontaneità del nostro leader e sono tutti cresciuti a lardo di colonnata. Ma chissà perché non hanno il conflitto d’interessi, la mafia e la nostra corruzione. Sarà mica che oltre che di lardo si nutrono di meritocrazia ? Non sono così ingenuo da credere che altrove sia tutto perfetto, ma quando vedrò un leader di un paese occidentale sghignazzare di Obama o della Merkel, o baciare la mano a Putin (non potendolo più fare con Gheddafi) allora mi ricrederò. Se ora (ora, non prima) al fondo di questo scempio, qualcuno si incavola e inizia a chiedersi che fare per produrre un elettorato migliore è troppo comodo accusarlo di portare una quota di “responsabilità collettiva”, quando per anni eserciti di giornalisti azzerbinati hanno piegato la schiena nei modi più inverecondi. In anni che lo leggo non mi pare lo abbia mai fatto; se questo tocca altre corde in altre persone, non sono in grado di dirlo, e neppure mi interessa, visto che non sono giornalista e non scrivo da nessuna parte. Però so leggere abbastanza bene, e so che certe responsabilità sono ben lungi dall’essere collettive. Il distribuirle indiscriminatamente a un’intera categoria mi sa tanto di coda di paglia, ma se così fosse sarebbe un problema comune a molti vostri colleghi. Per fare un esempio fra i tantissimi, io ricordo perfettamente chi definì “assoluzione” la prescrizione a David Mills. Furono tanti, ma non furono tutti. E Gramellini era fra questi.
E’ il mio un discorso elitario ? Pazienza. Del resto non era Ehrenburg a dire che il comunismo garantiva il diritto all’uguaglianza e non all’intelligenza ? Un altro che si strafocava di formaggio di fossa, manco in Unione Sovietica si riusciva a stare tranquilli.
Saluti
Sono uguale ma non abbastanza intelligente per essere d’accordo con te.
Ovviamente, il mio sarcasmo non poteva essere contro di te, visto che non ti conoscevo né sapevo della tua esistenza (dunque, non attaccavo te, e le tue parole sgradevoli son proprio gratuite); e nemmeno era verso “il lettore charmant di Sant’Agostino” in se stesso: ma verso l’argomento – la maggiore cultura, la maggiore rispettabilità – sulla cui scorta si radica la soddisfazione per il fatto che ad abolire l’articolo 18 sarà Monti e non Berlusconi.
Io dico due cose, ma non ti piacciono, e quindi continui a mulinar sgradevolezze.
Dico che:
a) non c’è argomento (men che mai la “meritocrazia”) che mi possa fare accettare l’idea di ridiscutere il diritto di voto;
b) non è fair dimenticare le responsabilità della propria categoria in un pezzullo in cui con un’arietta yè-yè si pongono le premesse per allargare il campo del dicibile, del politicamente accettabile; e cioè per affermare che in fondo una limitazione del diritto di voto ha un suo senso.
Non si tratta di coda di paglia, come in modo assai antipatico suggerisci; si tratta di sentirsi corresponsabili. Si tratta di sopportarne anche il dolore.
Ma dubito che una cosa di questo genere ti possa interessare.
Sant’Agostino e il formaggio di fossa – temo che Ehrenburg abbia ragione – erano un modo per dire che le cose terragne che pensavamo potessero appartenere a un modo di vivere da non privilegiati sono diventati espressione di un nuovo modo di vivere propagandato dalle riviste del lusso…
Erano un modo per dire che la maggior rispettabilità – che mi guardo bene dal negare, ci mancherebbe altro – di chi sostituirà Berlusconi finirà per renderci digeribili l’indigeribile.
Ma se per te è meglio che a togliere i diritti sia Monti invece che Berlusconi io non ho granché da dire.
Solo, forse, che le virgolette sprezzanti alla parola meritocrazia le ho argomentate in un libro. La signora meritocrazia non mi ha ancora querelato per diffamazione.
Un’altra cosa, in effetti, c’è: l’egualitarismo o è o non è. Non esiste un “egualitarismo a oltranza” che rappresenti un eccesso rispetto a una linea mediana che rappresenterebbe l’equilibrio.
Nell’attribuire agli altri posizioni “estreme” si è consumata una delle operazioni ideologiche più rivoltanti di questi anni: la trasformazione di istanze quelle sì estreme in argomenti propagandati per buon senso.
Comunque, per me basta così.
Se ti piace dirmi ancora che sono uguale ma non intelligente, che ho la coda di paglia, e che non sono la misura del mondo, fallo pure.
Qui c’è spazio.