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Il compito [del giornalista] non è più informare, ammesso che mai lo sia stato: è dar forma a un’idea di mondo compatibile con la comunità di lettori a cui fa riferimento il suo giornale; è creare il tabellone sul quale scrivere il nome dei buoni e dei cattivi; è fissare gli argomenti su cui si deve alzare la paletta [del voto].
Nel momento in cui pretende di glorificare la felice capillarità dell’interventismo, finalmente aperto democraticamente a chiunque senza la mediazione del mostruosi partiti o di altre forme di negoziazione degli interessi, la «democrazia della paletta» – l’«io posso» – non mette al mondo l’azione, ma sottoscrive la certificazione dell’impotenza.
(Il paese dei buoni e dei cattivi, pagina 11)
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