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le inchieste, la maggioranza, il «cittadino-consumatore»
Leggo qui che
Il federalismo fiscale viene sintetizzato con lo slogan Vedo Pago Voto, io cittadino Vedo come vengono spesi i soldi, Pago le tasse, e con il Voto premio il bravo amministratore, un automatismo tutto da verificare alla prova dei fatti.
Vale per i sindaci ma non ancora per i ministri almeno fino a che non cambia la legge elettorale.
Chi dia al collega che scrive una tale smisurata fiducia nella misurabilità oggettiva dell’azione amministrativa di un sindaco («vale per i sindaci») a me sfugge.
Per capire se un sindaco ha svolto un’azione che si possa genericamente giudicare meritoria, al punto che sia ragionevole che egli speri in una rielezione a titolo – come dire? – premiale, occorre innanzitutto che i giornali facciano il loro mestiere, direi.
Sarebbe necessario, insomma, che se un appalto – faccio per dire – viene concesso in condizioni di scarsa chiarezza, un giornale lo dicesse apertamente; non in modo assertivo-rivendicativo, intendo. Attraverso un’operazione di scrupolosa documentazione esattamente del genere che gli addetti stampa dei sindaci e i portavoce dei sindaci lavorano per rendere impossibile o anche semplicemente insignificante.
Senza contare – ma questa è una parentesi – che un appalto concesso in modo eccessivamente generoso e irregolare potrebbe anche condurre a una sicura rielezione perché di quell’appalto si giovano amici di amici di amici di amici, che nell’incrocio dei favori rendono al candidato sindaco ipoteticamente colpevole sul piano penale un gran favore in termini di voti.
Inoltre, questa specie di concezione dell’elettore come «consumatore» che si documenta sul rapporto costi-benefici di un bene o di un servizio e poi decide in regime di perfetta informazione ciò che è meglio per lui mi lascia non dirò fredda, ma pure un poco seccata; dice: «problema tuo».
Sì, può essere.
Però che nessuno mi venga a dire che ridurre il cittadino a un consumatore sia un’operazione di sinistra.
Obiezione ideologica a parte: il collega che scrive quel pezzo dimostra di credere che, anche quando dettagliatamente conosciute, le azioni politiche del pubblico amministratore locale abbiano una loro giudicabilità per così dire «neutra» che, se essi avranno agito «bene», consentirà loro la rielezione; e se invece avranno agito «male», comporterà la loro sostituzione con altri amministratori.
Questo principio – oltre che essere a mio giudizio economicista, tecnocratico e ottimista – presuppone un’idea di politica di questo tipo: vince chi fa gli interessi della maggioranza; e gli altri, che si fottano.
Se l’idea alla base di questa concezione è che vince chi fa cose buone, voglio sapere per chi le cose son buone.
E, una volta che saputo io l’abbia, vorrei conservare il diritto di domandarmi se l’interesse della maggioranza è, per caso, anche il mio.
Perché se per caso non lo è, per me questo è un altro ottimo motivo non solo per essere contro il federalismo (e per la verità, a me nessuno ha mai spiegato perché dovrei al contrario essere a favore del federalismo), ma anche per essere contro il maggioritario e l’elezione diretta.
Che in effetti mi piacciono, politicamente, come un pugno alla bocca dello stomaco mi piace fisicamente.
La tua obiezione è assolutamente logica. Poichè sono stato consigliere comunale per sei anni e mezzo, posso aggiungere che senza una “formazione” specifica (la quale non si ottiene semplicemente partecipando ai consigli comunali) la maggior parte delle decisioni prese dal consiglio e dalla giunta risultano poco “comprensibili” all’esterno: a questo si aggiunga che non sempre i giornalisti hanno competenza e spazio per spiegare, e non sempre i lettori hanno tempo e voglia di faticare per capire. Il rischio è quindi che la comunicazione “su cosa fa il sindaco” finisca per concentrarsi solo sugli aspetti più “mediaticamente vendibili”, nell’insano labirinto della ricerca del consenso di cui iniziamo a vedere le drammatiche (e spero non irreparabili) conseguenze.