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la violenta (meta)fisica del lavoro
Segnalo – qui – una riflessione portentosa, realmente illuminante, di Massimiliano Nicoli, intitolata «Il fascismo del manager».
Ne cito quattro passaggi, ma per favore: dedicate un po’ di tempo alla lettura integrale dell’articolo, linkato qui sopra.
Ora l’impresa è condannata a realizzare il suo eterno sogno, il sogno (fascista) dello stato di dominio, a partire dall’occupazione della spontanea volontà del lavoratore. E siccome la via di accesso a quella volontà deve aggirare il corpo per attingere direttamente al non-luogo dell’anima, laddove di anima ce n’è poca, come nel lavoro materiale di fabbrica, si tratterà di produrla.
Tanto per cominciare, si squalifica la materialità del lavoro avvolgendolo nella pellicola immateriale della “qualità”, del “miglioramento continuo”, della “comunicazione” e del “lavoro di squadra”, del “problem solving”, dell’“orientamento al risultato” e della “formazione permanente”.
Poi si costruisce una “cultura” aziendale integrata, collaborativa e a-conflittuale, fatta di mission e vision codificate in linguaggi dal registro profetico e suggestivo, per fare appello all’emotività, alla sfera intangibile dei valori, del sogno, delle immagini associate al marchio aziendale o alla merce prodotta.
Il lavoratore diviene un’impresa in sé in una società di unità-imprese, una società in cui il modello manageriale penetra nelle trame più minute, fin dentro il cuore della soggettività, nel foro interiore del rapporto di sé con sé, per fabbricare ciò che è stato definito “enterprising subject”.
Come praticare il rifiuto del dominio della forma-impresa nel lavoro immateriale, senza corpo, in cui il management dell’anima dispiega la propria potenza omologante è la sfida politica da raccogliere per contrastare il fascismo quotidiano del capitale nei luoghi di lavoro.
Esercitare il massimo di sospetto per tutte le metafisiche del lavoro immateriale, guardare di traverso le maschere del desiderio su cui fanno leva le pratiche manageriali di gestione dell’anima, ripartire dalla radicalità dei bisogni sociali, dal corpo vivente, dalla sua fragilità e dai suoi piaceri.
Federica è tutto verissimo. Io ho lavorato in un’azienda occupando la posizione degli ultimi e mi sono sentito proprio così. Quello che vedevo e subivo non tanto io, quanto gli altri psicologicamente stava diventando troppo. Stavano cambiando i loro discorsi, i loro obiettivi, il senso del loro tempo. Mi guardavo dall’alto e guardavo i miei colleghi finché un giorno non mi sono domandato:”Possibile che nessuno si renda conto che questi qui stanno manipolando la vita intera di tutti?”
E allora sono andato via.
Seguo il tuo Blog con interesse, non poteva quindi sfuggirmi il post “La violenta (meta)fisica del lavoro” del 3 ottobre us.
Sono Fascista e, da fascista, ti dico che condividerei ogni singolo concetto espresso da Massimiliano Nicoli nella sua “riflessione”, se solo non fosse, concedimi il termine, “inquinata” alla base da quel consolidato, fuorviante e quanto mai comodo preconcetto in forza del quale si attribuisce il termine fascista, usandolo come aggettivo, a tutto ciò che sa di violenza e prevaricazione. Messaggio non nuovo, che ha servito benissimo allo scopo di delegittimare il Fascismo come soggetto politico, pervicacemente riproposto dai vincitori del secondo conflitto mondiale (per noi la lotta del sangue contro l’oro) con un pressante marketing ben studiato e ben attuato.
Non è per partigianeria che sollevo la questione. Quando voglio vedere condivise le mie idee, ne parlo con chi la pensa come me e ho già risolto.
Se mi permetto di intervenire in questa sede è proprio perché, ritenendoti attenta osservatrice del nostro tempo, pur con idee diverse dalle mie, vorrei poter attirare la tua attenzione su quanto male fa, ha fatto e continuerà a fare questo meltyng pot culturale, del tutto strumentale agli interessi del capitalismo nostrano e internazionale.
Il capitalismo ha sempre visto la coercizione e il dominio sull’uomo come proprio obiettivo.
L’ha perseguito e lo persegue con la violenza, con il ricatto, con la coercizione dello spirito, persino con una parziale cooptazione al privilegio del benessere diffuso.
Tutto questo con il Fascismo cosa centra?
Per il Fascismo il “dominio” non è un’aspirazione, ma una necessità della Storia, perché i rapporti fra le Nazioni sono e saranno sempre rapporti di forza.
Anche i rapporti umani lo sono, ma all’interno di una comunità si può arrivare a sostituire la forza con la coesione; se esiste un comune volere e si stabiliscono gerarchie corrette, questo è possibile.
Per gerarchie corrette intendo quelle accettate e volute dal basso, non imposte dall’alto. Queste non potranno essere ne appiattite né larvate.
Chiudo qui raccomandandoti di non fraintendermi: non cerco una patente di “sinistra”.
Rivendico solo il diritto di un’idea politica alla sua dignità, appunto, di Idea; nella Storia come nel presente.
Ciao
Fulvio Nolli
Matteo, la questione – hai ragione – è proprio il carico psicologico.
Fulvio, grazie per essere passato di qua. Giro la tua opinione a Massimiliano.