la premiata ditta

Con squilli di trombe e rulli di tamburi, la joint-venture tra la premiata ditta Milena Gabanelli e il Corriere della Sera era stata annunciata da Ferruccio de Bortoli qui (sotto uno stralcio) e ripresa qui.

«Un esperimento di web tv che trae giovamento dalla grande esperienza e dai grandi successi di Milena Gabanelli e di tutta la sua squadra» commenta Ferruccio de Bortoli. Ma anche «un’evoluzione straordinaria» per il Corriere della Sera. Anticipa infatti il direttore che Reportime rappresenta un primo «tentativo di dar vita a inchieste pensate esclusivamente per il web, un nucleo originario di un nuovo filone di videoinchieste di Corriere tv».

Ed ecco qui l’inchiesta, dunque. La foto del titolo illustra questo post.
Occhiello tematico: «ReporTime, le inchieste del team Gabanelli».

Mi domando: ma veramente, dentro il Corriere della Sera, assunto a libro paga, nessuno dei giornalisti è in grado di svolgere un lavoro d’inchiesta come quello del marchio in franchising Gabanelli (&figli)?
Veramente c’è bisogno di ricorrere a uno di quei «service» che fino a un paio di contratti nazionali fa erano vietati?

Qui emerge in tutta la sua enormità di marketing la questione del «brand».
Il «brand» Gabanelli tira, evidentemente.
A tal punto da umiliare chi, al Corriere, ha competenze e passione sufficienti a fare «team», oh yeah.

E il bello è che non c’è chi non veda quest’iniziativa come un’idea modernissima, meritoria, al passo con i tempi.

Un po’ come Renzi, direi, il quale qui proclama:

«Piaccia o non piaccia, ormai tocca alla nostra generazione. Non sappiamo quando, chi e come, ma i fatti di questi mesi dicono che tocca a noi. Tocca a noi, che veniamo da storie diverse ma siamo uniti dall’idea che l’Italia debba tornare a scommettere sul merito, sull’innovazione, sulle qualità.

Un paio di paroline magiche, e abbiamo fatto.
Il «merito» e l’«innovazione», eccheddiavolo.

Ogni tanto mi domando perché fra i capitoli di «Il paese dei buoni e dei cattivi» ho inserito, tra gli altri, il tema della meritocrazia e il tema del «brand»; mi domando se non esistesse qualcosa di più impellente, di più – come posso dire? – rappresentativo.
No.
Non c’era.

È la moda, sono le parole d’ordine della finta sinistra.
Sono le parole d’ordine di chi non crede più nei «diritti», ma alla «libertà».