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«il paese dei…» (una dottoressa mi mette al mio posto)
Questa è una storia nella quale si capisce perché «Il paese dei buoni e dei cattivi» dice delle cose che hanno profondamente senso.
Bum.
Sì.
Proprio così.
Questa storia è uno splendido esempio, e mi va di raccontarla.
Parto da qui: io ho scritto un libro nel quale in estrema sintesi contesto la semplificazione dualistica bene-male come coppia di concetti capace di esaurire e spiegare la realtà e di mettere in moto azioni autenticamente politiche e non semplicemente dichiarativo-identitarie.
Ho scritto che il giornalismo è l’agenzia principale della polarizzazione del mondo in opposte tifoserie (buoni/cattivi).
Ho scritto che il «brand» è una delle «scorciatoie» commercial-identitarie che il giornalismo che si fa show percorre per fare manutenzione della comunità di lettori che vuole/sa/pretende di render omogenea.
Ho scritto che ciò che va sotto il nome di «meritocrazia», guardato da vicino, rivela una natura decisamente meno incontestabile e pacifica di quanto ci fa piacere ritenere, e che «meritocrazia» – contrapponendosi all’egualitarismo – è un concetto sul quale avrebbe senso che la sinistra si interrogasse.
Bene.
Poi mi capita di leggere che il Corriere della Sera presenta con le fanfare l’iniziativa delle grandi inchieste di Milena Gabanelli e del suo gruppo.
E allora scrivo un post dicendo una cosa alla quale ora vorrei aggiungere una seconda considerazione.
La cosa che dicevo nel post, qui, era questa:
[…] ma veramente, dentro il Corriere della Sera, assunto a libro paga, nessuno dei giornalisti è in grado di svolgere un lavoro d’inchiesta come quello del marchio in franchising Gabanelli (&figli)?
Veramente c’è bisogno di ricorrere a uno di quei «service» che fino a un paio di contratti nazionali fa erano vietati?Qui emerge in tutta la sua enormità di marketing la questione del «brand».
Il «brand» Gabanelli tira, evidentemente.
A tal punto da umiliare chi, al Corriere, ha competenze e passione sufficienti a fare «team», oh yeah.
La cosa che voglio aggiungere è questa: se il valore aggiunto – poniamo – dei giornalisti che lavorano insieme al gruppo di Milena Gabanelli è la – attenzione – libertà (dalle pressioni, dai potenti…), quale conseguenza io ne posso mai trarre?
Questa: che se ricorre a giornalisti che portano il valore aggiunto della loro «libertà», il Corriere rischia implicitamente di sostenere che i suoi giornalisti, coloro che dalla testata sono dipendenti, liberi non sono.
Mi pare un non-detto di qualche peso, anche perché – se così veramente fosse – non si capisce bene il motivo per il quale il Corriere stesso, appaltando la verità al gruppo Gabanelli, affronti il pericolo di farci sapere che al suo interno non esistono giornalisti abbastanza (bravi o) liberi.
E poi leggo, qui, di questa replica.
Allora vado a vedere l’inchiesta che di questa replica sta alla base.
E leggo l’attacco:
Paolo Macchiarini, il primo chirurgo al mondo in grado di effettuare un trapianto di trachea bioingegnerizzata, ci conferma che in Italia essere i numeri uno non basta, anzi complica tutto.
E scrivo un altro post.
Nel quale dico
Non ho alcun dubbio sull’eccellenza del professore delle cui sorti accademico-professionali si occupa l’inchiesta.
E ancora:
[…] ho già ammesso che il professor Macchiarini ha un grado di eccellenza spaziale.
E poi anche:
non ho alcun problema ad ammettere che il professore sia il numero uno.
Però non rinunciavo ugualmente a domandarmi
[…] quale tipo di specifica competenza professionale possiede un giornalista – anche quando, ipoteticamente, laureato in medicina, per giudicare del merito di un medico?
E poi:
Non sarebbe stato sufficiente che un giornalista si occupasse della vicenda evidenziandone i possibili snodi critici, senza decidere in proprio [?].
E poi:
Ma chi sono io giornalista per giudicare?
E, quanto alla «meritocrazia» della comunità scientifica internazionale (la comunità che certifica l’eccellenza), scrivevo nel post:
La comunità scientifica.
Ma che senso ha parlare di un medico come di un «numero uno»?
Che idea di mondo è?
Chi fa le graduatorie?
Perché io giornalista non posso tenere una distanza critica?
Arriva un commento.
È di un medico.
In sintesi, dice che il professor Macchiarini (di cui l’inchiesta tratta) è senza dubbio numero uno, perché il suo nome è riconosciuto in questa posizione dalla comunità scientifica internazionale, e i suoi risultati parlano da soli.
Che un giornalista aveva cominciato a occuparsi della storia di «immeritocrazia» del professore, ma
Quando [alla giornalista del gruppo di Milena Gabanelli] ho fatto sapere le falsità che un altro giornalista (Gaggioli, del Corriere Fiorentino) aveva scritto su Macchiarini si è indignata e ha preso particolarmente a cuore la cosa. Io ci ho parlato più volte e a lungo e ho avuto l’impressione di una giornalista che si prende un impegno civile.
Non basta:
La Giannini si è informata bene prima di scrivere il pezzo: lei si è informata prima di criticarla?
Dopo che le ho risposto che
non dico nulla del prestigio del professor Macchiarini, e ci mancherebbe altro; né mi sono permessa di sostenere in alcun modo che la mia collega si sia informata poco, o distrattamente, o in un modo meno che scrupoloso; cosa che a quanto pare lei invece legge nel post,
le dico che tutto quel che mi interessava dire era un giornalista può dire quel che intende dire senza bisogno di schierarsi, e che – quanto alla meritocrazia e alla comunità scientifica – la rimandavo alla lettura del capitolo del mio libro dedicato alla meritocrazia.
Ma non finisce così.
Mi raggiungono altre centinaia di parole.
L’interlocutrice mi dice che «dietro questa storia c’è molto di più di quel che compare nell’articolo»:
c’è una spartizione mafiosa del potere nelle Università, c’è la massoneria, c’è la manipolazione dell’informazione da parte di giornalisti compiacenti che pubblicano falsità e non pubblicano le smentite se non costretti.
E poi, l’apoteosi.
Io preferisco gli schierati (a ragion veduta) agli “equilibrati” incapaci di prendere una posizione decisa e di scaldarsi davanti a un’ingiustizia.
Ed ecco il mondo tagliato in due: buoni e cattivi.
Gli schierati e i vili.
Per essere una che inneggia alla “distanza critica” il suo evidente disprezzo/astio contro i giornalisti di Report suona un po’ sospetto. Non è che lei è prevenuta?
A me, questo pare un capolavoro.
Ho spiegato bene, e più volte, che sul prestigio e sul merito del professor Macchiarini non mi sogno nemmeno lontanamente di avanzare la benché minima riserva.
Ho detto ben chiaro che non dico che la giornalista del gruppo di Milena Gabanelli si sia documentata poco, male, o a tesi.
Ho solo detto che questo tipo di giornalismo affetta in due il mondo, e colloca di qua i buoni e di là – con me, evidentemente; a far compagnia a quelli come me che sono «prevenuti» – i cattivi.
Non so dove si potesse ricavare la nozione che io abbia «astio» o «disprezzo» nei confronti di Report, ma alla mia contraddittrice va bene così: se io ho esposto una tesi critica verso un frammento metodologico di quel che leggo, e se l’ho fatto da giornalista, da «tecnica», diciamo così, io esprimo «disprezzo», «astio» (l’«invidia» di ascendenza savianiana? Chissà), e sono «prevenuta».
La mia interlocutrice non è nemmeno sfiorata dal dubbio che anch’io sappia quel che sto dicendo, che stia sostenendo una posizione che non ha niente a che vedere con la bipartizione del mondo in buoni e cattivi alla quale lei sembra credere (posso sbagliare, ma l’evidenza mi parrebbe deporre in questo senso).
E poi, con una gentilezza sublime, l’interlocutrice mi dice che non si sogna nemmeno di spendere soldi per me, che sono una cattiva…
Infine, per leggere il suo saggio dovrei andare in libreria e spendere dei soldi (che non so se sarebbero ben spesi) mentre lei può gratuitamente andare sul Web e consultare i siti che le ho suggerito, più fare una piccola ricerca su Macchiarini, e capire perché io mi appassiono tanto alla cosa.
Spendere soldi è male.
Tanto più che non sa se sono ben spesi.
Potrei aver scritto un bel cumulo di cazzate e volermi fare la casa alle Seychelles a spese dei miei incauti stolti lettori, mio dio; e non pretenderò mica che la dottoressa esca di casa, vada in libreria, spenda dei soldi che potrebbe più utilmente spendere per cause assai più meritorie.
Se io non fossi così pelandrona, invece, potrei documentarmi sulla verità delle cose che la mia interlocutrice sostiene semplicemente andando sul web, a costo zero, e senza uscire di casa.
Ora.
Io trovo sconvolgente che esprimere una critica metodologica – giusta o sbagliata, che importa: se ne può discutere serenamente, no? – diventi istantaneamente l’occasione per ascrivere colui (colei, nel mio caso) che critica alla fazione di chi ci fa comodo, indipendentemente dal contenuto delle parole che quel critico ha scritto o pronunciato.
Trovo sconvolgente che per esprimere una critica metodologica mi si chieda di «documentarmi» su contenuti nel merito dei quali non sono mai entrata, dandoli anzi per pacificamente acquisiti esattamente nel modo in cui essi mi sono stati presentati.
Trovo sconvolgente che invece di tenere in conto le cose che dico, mi si replichi che comprare il mio saggio può non valere il denaro che si spende.
In sostanza, trovo sconvolgente che per replicare a me che accetto senza discutere il punto che il professore è eccellente e la giornalista si è documentata come andava fatto e dico solo che il mondo diviso in due fazioni mi sembra ridicolmente poco complesso, si usi l’arma del disprezzo.
Direi che non c’è – finora – esempio nel quale più chiaramente rifulga la legittimità dell’analisi che conduco nel «Paese dei buoni e dei cattivi».
Chi non è con me è contro di me.
E io, per definizione, sono dalla parte del giusto.
E siccome sono dalla parte del giusto, ti insulto pure (sei prevenuta, e il tuo libro magari non vale nemmeno i soldi che spenderei), e se poi tu t’arrabbi, oh, beh, guarda che sei tu che grondi «disprezzo».
Penso che questo Paese sia veramente all’emergenza.
Penso che sia irrecuperabile.
Penso che averci reso tifoserie e non più cittadini sia un processo dal quale non torneremo indietro tanto facilmente.
Penso che questo Paese sia morto.
Finito.
io l’ho ordinato il tuo libro, tiene un mese e più di ritardo, ma li spedisci tu uno per uno da casa tua? 🙂 con i miei soldi potrai pagare il biglietto del bus per andare in un’agenzia di viaggi e chiedere i depliant delle seychelles. ma una volta non avevi cominciato a scrivere di filosofia?
Io sono la dottoressa accusata di non capire, e di trattarla da cattiva. Non dico che sia cattiva, ci mancherebbe, dico che lei sta facendo le pulci a una giornalista che ha fatto un’inchiesta (da lei ironicamente chiamata “inchiestona”) secondo me (che conosco bene i fatti) in maniera assolutamente obiettiva anche se riportata con passione. E dico che a una osservazione si può rispondere a tono direttamente senza invitare a cercare le risposte in un libro che devo andarmi a comprare. In questo e in altri commenti del suo sito i “cattivi” sono sempre quelli di Report. Secondo me il metodo non può sempre essere distinto dal merito. Trattando di questioni gravi, la passione per me è un valore aggiunto.
non so bene come, attraverso quali contatti e rimandi reciproci di sostegno, ma io credo che la fine del nostro paese(una delle sue fini) possa essere rappresentata dallo sprofondamento (non morale) dei pensieri e degli affetti in un linguaggio inadeguato ad esprimere (a permettere che continui ad esistere) una percezione della complessità dell’esistere (e del farlo, da umani, insieme…).
v
Gramsci ha detto che lei dev’essere partigiana, Sgaggio. E lei cosa fa? Mi cerca l'”equilibrio”? Non mi ci mette passione? Non lo sa che noialtri odiamo gli indifferenti? Ahi-ahi-ahi!
Sì, questo Paese è veramente all’emergenza.
Solidarietà.
Consiglio vivamente la lettura del commento in coda a questo post.
È meraviglioso.
http://www.federicasgaggio.it/2011/10/la-premiata-ditta/
Federica, scusa, ma io ho un paio di osservazioni:
Tu scrivi:
“[…] quale tipo di specifica competenza professionale possiede un giornalista – anche quando, ipoteticamente, laureato in medicina, per giudicare del merito di un medico?”
E se la competenza fosse nell’essere in grado di individuare la fonte migliore/più autrevole/imparziale ecc a darci questa informazione? E se quel ‘numero uno’ non fosse un giudizio personale della giornalista, ma una semplice constatazione dei dati rilevati da fonti con competenze specifiche? Un giornalista (che io non sono), non deve forse fare anche questo?
Vorrei dirti, poi, che io – che mai penso tu abbia chissà quali invidie o cose del genere, anzi – in certe tue parole leggo la ricerca di uno scontro più che di un confronto. Ed è un peccato, come dei nei stonati delle tue acute analisi che così perdono qualcosa. Penso tu ci sappia fare,e potresti benissimo farne a meno. Ciao e buon lavoro! mirfet
Ciao, Mirfet.
Il punto sta, forse, nel fatto che io non credo che esista un modo per essere neutrali e imparziali; e che non esistano fonti al di sopra di ogni sospetto.
Che nemmeno la «comunità scientifica internazionale» tagli la testa a tutti i tori del mondo.
Il mio mestiere, la mia vita, mi hanno insegnato che la risorsa più grande che abbiamo è la capacità di sottoporre a vaglio critico le cose che apprendiamo, leggiamo, ascoltiamo.
In fatto di ordine pubblico, per esempio, la polizia o i carabinieri non sono per definizione credibili. E in un processo penale, anche le dichiarazioni degli ufficiali di polizia giudiziaria devono essere verificate.
Alle «agenzie» neutre o neutrali di valutazione del merito, Mirfet, io non credo, e la mia è una posizione forte, su questo punto.
Non assumo per vera nessun’affermazione di nessun’agenzia; nemmeno quando (la) si pretende o certifica neutrale.
Sono scettica di mio, non stronza.
L’atteggiamento di affidamento fideistico agli agenti neutri e pretesamente imparziali mi pare insensato.
Ci ho scritto cose lunghe, articolate, pensate, ragionate, piene di esempi.
Stanno sul libro che ho pubblicato; sono in centinaia di post che ho pubblicato qui.
Ti garantisco che ricominciare daccapo tutte le volte è veramente faticoso.
Se tu pensi che io cerchi lo scontro, credo che tu abbia dello scontro un’idea estremamente estensiva.
La dialettica può anche essere aspra, e io non la chiamerei scontro.
Anche qui, Mirfet: ho scritto decine di volte che «polemica», «scontro», «dialogo» sono parole-feticcio usate dal giornalismo per certificare una verità imbarazzante: che tutto ciò che è minimamente eccentrico rispetto alla necessità dell’ortodossia del pensiero unico e maggioritario non ha diritto di cittadinanza, deve essere espunto dal discorso pubblico, perché se viene espresso corrisponde all’innesco di una «polemica» o di uno «scontro».
No.
È semplicemente un’opinione diversa, magari espressa con passione.
Siccome non c’è una sola delle cose che io scrivo che non sia in grado di argomentare diffusamente – se non altro perché sono abituata a pensare prima di scrivere – credo che sia arrivato un momento nel quale nella mia biografia posso anche, finalmente, permettermi il lusso di non dialogare con chi ha già deciso da che parte sto io.
Chi mi colloca dalla parte che vuole lui senza conoscermi mi irrita, perché rappresenta l’esemplificazione più chiara di ciò che mi ha reso difficile la vita di cittadina e di giornalista.
Non cerco lo scontro; è che sono esausta dalla necessità di ripetere nei più diversi contesti ogni volta sempre le stesse cose affrontando sempre le medesime reazioni.
Io non sono un’insegnante, e ci mancherebbe altro. Mi manca la pazienza di stare a spiegare duecento volte che se ho detto una cosa non ne ho detto un’altra.
In ogni caso, se tu scrivi una cosa e un commento ti rimprovera per cose che non hai detto, e poi diventa anche offensivo, io penso che lo scontro non l’ho cercato io, che – in fondo – qui sono a casa mia, e apro le porte a chiunque.
Nessun commento è mai stato censurato a meno che non fosse diffamatorio o calunnioso.
Qualunque critica è sempre stata pubblicata.
Però quando senza prendere minimamente in considerazione ciò che dico mi si attribuiscono pensieri, intenzioni, giudizi e affermazioni che non ho fatto, io ritengo di avere il diritto di replicare, e anche di arrabbiarmi.
Può essere che il mondo senza scontri sarebbe più bello.
Però se mi vengono a pestare i piedi a casa mia, cercando lo scontro, io tendo a reagire.
Grazie per il «penso che tu ci sappia fare».
Devo dirti la santa verità, Mirfet: dopo anni e anni in cui avevo molti dubbi su di me, sul valore delle mie analisi e sul senso del mio punto di vista, ora sono arrivata anch’io alla stessa conclusione.
Nel mio lavoro, e nell’analizzare testi e contesti, ci so fare.
Buon lavoro anche a te, qualunque sia; e grazie per essere passato di qua.
La cosa grottesca di tutta questa storia è che io sono perfettamente d’accordo con alcune delle affermazioni della Sgaggio, e che sono anch’io molto diffidente delle “classificazioni di merito” (soprattutto in medicina). Chi non ci crede vada a leggere una lettera che ho scritto l’anno scorso all’Unità in risposta a uno dei cattedratici di Firenze che dicevano che Macchiarini non era un grande scienziato perché aveva un punteggio in pubblicazioni più basso di altri professori di Careggi (notavo che il punteggio in pubblicazioni dipende dall’area di azione visto che dipende dal numero di volte che un articolo viene citato). Si trova sul sito che suggerivo di consultare: http://www.amicidimacchiarini.it dove sono riportati vari articoli di vari giornali e una mia corrispondenza con un giornalista del Corriere Fiorentino. In letteratura chiunque può valutare le capacità di uno scrittore, in medicina c’è tanta gente che vende fumo, che gode di fama immeritata (e se ne accorgono solo quelli che si trovano ad avere a che fare con loro). In Italia, purtroppo, c’è un sistema di clientelismo per cui uno consiglia un suo amico specialista di altra disciplina ai suoi pazienti, quello ricambia il favore e si cresce in simbiosi (può valere per i pazienti in libera professione, ma a nche per gli inviti a convegni, per le pubblicazioni sulle riviste scientifiche ecc.). C’è del marcio in danimarca! E’ molto difficile restare equilibrati. Io non mi fido ciecamente di nessun collega, per quanto famoso, se non ho verificato di persona il suo operato. Sono abituata -se devo consigliare un paziente- a chiedermi SEMPRE che cosa farei se fosse mio figlio o mio fratello. Vista la frequenza di “voti di scambio” o di appoggi acritici da parte di amici e amici degli amici che c’è anche -purtroppo- in campo medico, una delle regole che seguo in genere è di vedere come una persona lavora e come si pone (se il campo non è di mia competenza). Oppure di chiedere giudizi a persone di provenienza diversa. Se di un chirurgo di Milano parlano bene colleghi della stessa e di altre città (e magari anche qualcuno di scuola avversaria) e tutti indipendentemente danno lo stesso tipo di valutazione, io tendo a fidarmi. Se uno viene invitato a operare e a insegnare in Inghilterra, in Germania, in Russia e in vari posti degli USA, e viene invitato anche da persone già molto famose nel suo stesso campo, e se gli inviti (intervento dopo intervento) aumentano di numero mi sembra logico pensare che non saranno tutti ammaliati da un venditore di fumo. Do pienamente ragione a Mirfet su questo punto: un giornalista può documentarsi e valutare l’attendibilità delle fonti, e poi farsi un giudizio. E il mio invito a leggere la documentazione sul web non era un insulto come è stato letto, bensì una cosa che si poteva fare facilmente per capire (come ho ben scritto) “perché mi appassiono tanto al caso”. Non ho mai scritto che “non mi sogno di comprare il libro”. Ma quando ho letto il blog e nei giorni seguenti ero tappata dentro a sale convegni lontane da qualsivoglia libreria e occupata a lavorare o in qualche aereoporto. Quindi non avevo alcuna possibilità di leggere quel che è scritto nel famoso capitolo. Forse anche comprerò il libro, se ci riesco, ma in cambio la Sgaggia avrà la gentilezza di leggere quello che ho scritto io? Non le costa nulla, solo una mezz’ora del suo tempo. Non mi sembra di essere stata offensiva, né di aver attribuito all’autrice pensieri diversi da quelli espressi. Avevo le traveggole quando ho colto un atteggiamento ostile nei confronti del gruppo di report? Chiamare un servizio “inchiestona” e il gruppo “la premiata ditta” non è pesante ironia? Scandalizzarsi perché la giornalista parla dei “pazienti” e non dei “cittadini” privati dell’opportunità di avere a disposizione un medico che -unico al mondo- sa fare certi interventi non è dare un giudizio negativo? La giornalista di Report ha fatto a chi di dovere (preside Gensini) una domanda facile facile: come mai il curriculum del medico che LUI aveva invitato a lasciare la cattedra che già aveva a Barcellona per rientrare in Italia gli è bastato a prendere un posto da Honorary Professor all’Università di Londra, uno di Invited professor ad Harvard e uno fa Visiting professor al Karolinska Institutet (tutti l’hanno letto e valutato in poche settimane) e l’Università di Firenze in quasi due anni non è riuscita dare la sua valutazione? Non era mica la Divina Commedia! Ma lui non ha saputo rispondere. Guardate il video e ditemi sinceramente se vi sembra un servizio troppo di parte. E’ stata data voce sia a Macchiarini che al suo attuale nemico: quale dei due secondo voi ha risposto nel modo più convincente? Poi, in un post successivo, il Prof. Romagnani afferma che la commissione il giudizio l’ha dato -e all’unanimità- mesi fa. Però questo giudizio (e non l’ha scritto la giornalista di Report, l’ha scritto -mai smentito- il Corriere Fiorentino) non è ancora stato reso pubblico. Perché secondo voi? Scusate se entro ancora nel merito della storia, ma qui non si tratta di decidere se il prof. Macchiarini è il più bravo chirurgo del mondo, ma solo trasparenza sul perché -dopo averlo chiamato- lo hanno boicottato. Ammettiamo pure che non sia bravo, che non abbia i titoli: perché non viene dichiarato pubblicamente? Su questo im realtà verteva il servizio, se uno lo guarda senza pregiudizi. Che -ripeto- io non ho.
Ho letto questo post perché ho scambiato sul mio blog alcuni commenti con la dott.ssa Lestuzzi. E mi permetto alcuni commenti anche qui. Mi pare che tutto parta da quella che viene definita un’analisi giornalistica dell’ articolo di videoreport sul Corriere. La critica che mi pare più importante è quella di aver prodotto un “pezzo” manicheo che tende a dividere il mondo in buoni e cattivi. Sinceramente la cosa mi sembra molto discutibile. E’ vero, l’autrice definisce un “numero uno” il medico in questione e dà giudizi molto netti sulla vicenda, ma perché questo dovrebbe categorizzare il tutto? Mi sembrano opinioni esplicite, argomentate, su cui si può ovviamente discutere, ma niente che rimandi ad una visione manichea. Essere manichei significa vedere solo bianco o nero, non considerare le sfumature di grigio. Questo non significa però che se io ritengo che qualcosa sia nero non possa dirlo, se vedo nero non è detto che non possa riconoscere sfumature di grigio altrove. Se poi la giornalista abbia i titoli per esprimere queste opinioni non possono che essere i suoi testi a dimostrarlo. E’ una presa di posizione esplicita, non subdola. La stessa analisi che qui si fa dell’articolo e che vorrebbe essere tecnica utilizza frasi come “premiata ditta”, definisce una squadra di giornalisti un “brand”, insomma questi sono giudizi e una giornalista che lavora con le parole e che sa quanto queste contino, ne è cosciente. Ma anche queste sono opinioni e vivaddio se ci sono. Poi sono arrivati i commenti della dottoressa, forse non proprio pertinenti all’argomento tecnico-giornalistico, ma paradossalmente sono stati giudicati con la stessa rigidità che altrove viene stigmatizzata. La dottoressa ha spiegato il suo coinvolgimento nell’argomento, la storia che c’è dietro, l’atteggiamento che ha riscontrato in certi giornalisti. Si può quindi capire il timore di vedere screditato il racconto fatto da questa giornalista criticando il modo di lavorare della giornalista stessa. E sempre la dottoressa ha mosso delle critiche al modo di proporre questa analisi, e la risposta mi è sembrata anche qui paradossalmente manichea: mi critichi quindi mi consideri dalla parte dei cattivi. Non mi sembra che niente di tutto questo sia stato detto. Se si ritiene (cosa che penso anch’io) che la realtà sia più fluida di come ci viene raccontata, bisogna avere lo stesso atteggiamento fluido nel recepire le altre persone e le critiche mosse al proprio lavoro. Insomma in questo caso mi sembra che non ci siano né buoni né cattivi, ma solo una bella occasione di discutere di argomenti complessi e tremendamente importanti. Cordialmente.
cara federica, quando potrò, se ti fa piacere, ti assicuro che di cosa da dire e da scrivere su questo caso ne avrei parecchie e vorrei anche parlartene. il tuo libro mi è piaciuto molto e ti assicuro che ce ne sarebbe da scrivere un altro. non parlo delle qualità mediche di macchiarini (ma di tutto quello che ci ruota intorno, regole, trasparenza, ruoli, ipocrisie e personaggi a partire dal chirurgo fino alla dottoressa lestuzzi di cui ti invito semplicemente a digitare il suo nome su google per capire quanto sia diciamo appassionata…), ma di come questa storia sia calzante con i concetti che esprimi tu nel tuo libro. (e su tutte le deviazioni ad esso connesso – che non riguardano le qualità del medico macchiarini – ma tutto quello che ci sta intorno, ***)… Ma tutto a suo tempo!!!
(Caro Alessio,
grazie del commento, e delle cose che dici sul mio libro.
Ho tolto una cosa dal tuo commento, che collegava una specifica persona a ciò che chiami “deviazioni”): me ne scuso, ma in coscienza ho sentito di farlo.
Vorrei solo specificare che non ho niente contro la passione civile, della dottoressa o di chiunque altro.
A presto, e grazie ancora
Federica Sgaggio)
dimenticavo sono il tanto vituperato giornalista del corriere fiorentino, definito dal servizio della gabanelli contradoiolo, calunniato in ogni sito internet dalla dottoressa lestuzzi…colpevole di aver fatto una inchiesta. A me a differenza ad esempio di quella del team Gabanelli di smentite o rettifiche non ne è mai arrivata nemmeno una…lestuzzi a parte…
(A questo punto, io faccio un appello:
il mio blog è aperto a chiunque; però non sono felice se diventa un luogo in cui proseguire controversie private.
Quindi, chiedo a Chiara e ad Alessio di scrivere qui – se lo ritengono – quando e come vogliono, ma all’unica condizione di evitare che la loro controversia su una vicenda nel cui merito io non sono nemmeno mai entrata prosegua, appunto, qui.
Questo significa che, se questo accade, non pubblicherò i commenti).
hai ragione federica, ma purtroppo devo declinare l’invito…però una cosa posso farla ti manderò nei prossimi giorni i miei articoli. Capirai che la mia intenzione non era quella di scatenare una controversia privata, ma di avere risposte.
A presto, Alessio.
Grazie.
Non intendo continuare la polemica con Gaggioli, che è già abbastanza chiara nel sito che ho già citato dove riporto lo scambio di corriapondenza tra noi.
Se lei riceverà da Gaggioli copia dei suoi articoli (che anche a me aveva promesso più volte di mandare, ma non l’ha mai fatto. Ho dovuto ripescarli faticosamente dalle rassegne stampa), TUTTI, potrà notare come di Macchiarini abbia parlato bene fino alla fine di luglio 2010 (quando la sua presenza a Careggi era funzionale a dare lustro all’Istituzione) e improvvisamente -subito dopo che Macchiarini ha dichiarato pubblicamente che era stufo di un sistema universitario che non era cambiato e che aveva deciso di andare a Stoccolma- ha cominciato ad attaccarlo e a cercare “chiarimenti” su cose non di sua competenza (si è mai sentito che un giornalista tempesti di telefonate un’Università straniera per chiedere se stanno per assumere un determinato professore? O che faccia titoloni chiedendo di sapere come stanno i pazienti operati -alla faccia della privacy?). Ci sono due storie qui: la prima è quella di un barone universitario (che sta per essere rinviato a giudizio per uno scandalo di cattedre spartite -il cardiogate del 2004) che decide di fare una bella figura offrendo a un famoso medico di rientrare in Italia; che poi-quando trova resistenza in facoltà e quando capisce che l’ex emigrante intende lavorare al meglio, e non è un burattino manipolabile col ricatto della riconoscenza- si rimangia le promesse pubblicamente fatte e lo scarica dicendo “io non gli ho mai promesso niente” e un’Università dove si giustifica il mancato incarico prima con la mancanza di fondi, poi -quando il Ministro si offre di coprire le spese- con la necessità di non precludere la carriera ad altri giovani meritevoli; infatti l’ultrasettantenne ordinario uscente (che per legge dovrebbe essere in pensione) viene riconfermato per 4 (quattro!) anni alla direzione della scuola. La seconda storia è quella appunto di un giornalista che parla bene di un chirurgo finché ha l’appoggio del cattedratico, poi comincia ad attaccarlo e fa domande che esulano dalla sua competenza. Un’altra giornalista, dopo aver valutato tutto (inclusi gli articoli pubblicati dal “nostro” e le motivazioni del rinvio a giudizio) prepara un servizio molto conciso con un incipit ad effetto (essere i numeri uno non basta) e la nostra Federica la riprende per questo incipit, pur precisando “Non ho visto il servizio. Non mi interessa”. Quindi si può giudicare un servizio senza guardarlo, solo facendone una questione di metodo “chi sono io giornalista per decidere…”. Io penso che il servizio della Giannini (e l’incipit ad effetto) fossero il dito che indicava la luna (il problema delle gestione clientelare delle Università, il problema del fatto che -come in Parlamento- basta che uno imputato per i reati più gravi riesca a tirarla per le lunghe fino a prescrizione prima dei tre gradi di giudizio per poter continuare a fare tranquillamente ciò che vuole. Anche Sergio Rizzo -che però ahilui non è un eccellente giornalista, a insindacabile giudizio della Federica- aveva descritto cose del genere avvenute a Messina, catania e altrove), ma la Federica guarda il dito. E si scoccia se le dico di provare a guardare invece la luna; mi accusa di non aver capito che era un problema di principio (di metodo) e mi mette tra i “cattivi” manichei. Poi arriva il giornalista che esordisce con “il tuo libro l’ho letto e mi è piaciuto” -e con cui nasce un feeling immediato- che afferma di non aver ricevuto smentite a parte le mie (che comunque non ha mai pubblicato, benché documentate; Macchiarini ha evitato di smentire perché ha ben altro da fare). Non c’è da chiedersi anche in questo caso (questione di metodo) chi autorizza lui -giornalista laureato in scienze politiche- a fare in modo provocatorio domande tecniche a un medico? O i principi cambiano a seconda degli autori?
Questo che c’è qui sopra è l’ultimo commento che su questa vicenda ospiterò.
Grazie a tutti.