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dublino, il bignè e l’ora blu
Come un bignè. Mi sento come un bignè.
Sono così stipata di sollecitazioni, connessioni e pensieri che se io per prima tentassi in questo momento di far uscire qualche filo coerente e pretendessi di dipanarne lo sviluppo, seguendolo dall’estremità per ora in luce a quella che invece si aggancia in oscuro al mio paesaggio interiore, semplicemente non ci riuscirei.
Dopo tre mesi di Irlanda occidentale – silenzi, parole scritte, incontri, esperienze, sensazioni, immagini bevute – e dopo i primissimi incontri di questo seminario dublinese, sono un bignè che non si può nemmeno cominciare a mordere, perché la crema ne uscirebbe dolce e irraggiungibile, e mi toccherebbe rincorrerla giù per il mento, sul collo, addosso ai vestiti.
Ci sono momenti in cui, nella vita, le cose hanno contorni così nitidi che sembra di essere nell’ora blu. Eppure, in quei momenti le parole non si trovano, restano dentro perché sono la crema; perché «significano», e non si limitano a «dire».
Sento e percepisco le cose con intensità fisica e sensuale.
Sono connessa al giù e al su di me, al dentro e al fuori.
Oggi all’Ireland literature exchange abbiamo visto una realtà aperta e stimolante. E gli attori di stamattina erano splendidi, lì a venti centimetri da noi a recitare Beckett e Wilde e altri autori teatrali che non conoscevo.
E quando alla ex farmacia di Leopold Bloom, tra le ampolline e i libri, a turno abbiamo letto tutti – Catherine Dunne compresa – un pezzo dai «Dubliners» immersi nel profumo della saponetta al limone, ho avuto la sensazione che quel che non ha materia è l’unica verità alla quale riesco ad avere accesso quando mi sento come un bignè alla crema.
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