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un «profugo»?
Quest’articolo del Corriere (ripreso, si dice in fondo, dall’Ansa) mi lascia piuttosto perplessa.
Il ragazzo che – viene detto – ha violentato una donna è arrivato in maggio.
Sono passati tre mesi. Quattro, se supponessimo che è arrivato all’inizio di maggio.
Il ragazzo è stato «accolto» da Lampedusa, si dice.
Usare il verbo «accogliere» quando si tratta di una prigione, quale in realtà ogni cpt è, a me sembra un azzardo, ma andiamo avanti lo stesso.
[A]rrivato con i barconi della disperazione a Lampedusa nel maggio scorso, era stato trasferito nel centro di accoglienza di Chiavari in base alla risposta di solidarietà che la Liguria ha dato in nome dell’accoglienza.
Il ragazzo è dunque in Italia perché, dopo avere sperimentato la generosa «accoglienza» lampedusana, ha avuto anche a che fare con la «solidarietà» ligure.
Italiani brava gente, insomma
Ora. Se ci sta dicendo che tre mesi, e con le vacanze di mezzo, sono sufficienti a che il nostro Paese conferisca lo status di rifugiato a una persona straniera, il pezzo ci sta dando una grande notizia, perché l’Italia è un Paese in cui le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato richiedono normalmente molto tempo.
Potrebbe ben essere che egli sia solo in fuga – «profugo», appunto – e non ancora un «rifugiato» certificato.
In effetti, a me pare possibile – non ho le prove, ma mi pare possibile; e se mi sbaglio, chiedo scusa – che si sia utilizzata la definizione di «profugo» come una scorciatoia per dire che è «un immigrato che non è venuto qui a pettinare le bambole ma sotto la spinta di una condizione di grave necessità e pericolo che tuttavia nessun’autorità italiana ha ancora certificato», ma anche e soprattutto come un modo per dargli un tipo di dignità speciale, che tuttavia – eh, ecco il punto – egli non «merita».
La morale che percorre il pezzo, alla fine, è questa: il ragazzo è sostanzialmente un delinquente ingrato che con il suo comportamento finisce per dar ragione ai razzisti e alla Lega nord.
E non solo è un ingrato: è anche la prova provata del fatto che non basta essere «profugo» (cioè in fuga da una situazione di grave pericolo) per meritare la nostra generosa «accoglienza».
«Rischia di rendere vani gli sforzi del volontariato», dice l’assessore.
Ma perché la frase dell’assessore abbia un senso, sono costretta a implicare una premessa tacita: che prima di fare qualunque «sforzo», il volontariato dovrebbe essere sempre e in ogni caso assolutamente certo che la persona che sta aiutando non ha mai commesso niente di riprovevole in passato (e questo, forse, si potrebbe anche fare); e – soprattutto – che mai niente di riprovevole farà in futuro.
E questo mi pare impossibile da predire.
(Oltre al fatto, ma questo è tutt’un altro piano, che io non sono sicura che abbiano bisogno di aiuto solo le persone immacolate; e con questo non mi sogno di giustificare nessuna violenza sessuale, che sia chiaro).
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