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ipocrisia moralista
Leggo sulla homepage di Repubblica.it – ma se ne parla diffusamente qui – che il nostro Parlamento conta 84 persone che hanno – viene detto – «pendenze con la giustizia».
A parte il fatto che mi pare eccessivo definire «il Parlamento degli inquisiti» un’assemblea che, complessivamente composta da 945 persone, ha meno del dieci per cento di indagati, mi domandavo questo: chi usa questi toni «anti-casta» si rende conto che l’azione penale è obbligatoria?
Sarebbe forse più bello che sui parlamentari fosse proibito indagare?
Ora. So anch’io che sarebbe bello se nessuno di coloro che stanno al Parlamento avesse mai avuto alcun problema giudiziario. Però non è che essere indagati equivalga a essere condannati con sentenza definitiva: in queste condizioni, che valore indicativo può avere il numero?
Che scopo, se non quello di suscitare un moto di disgusto in chi legge?
Sembra quasi che a portare in Parlamento persone con «pendenze con la giustizia» siano stati i soliti alieni, quelli che scendono sulla terra, in Italia, tutte le volte che c’è un’elezione per votare al posto nostro.
Capisco che con questa legge elettorale non possiamo esprimere preferenze, ma mi pare di ricordare che quando scoppiò ciò che venne definito «tangentopoli» le preferenze c’erano ancora.
C’è chi continua a ripetere che i condannati con sentenza di primo grado, o i condannati con sentenza di secondo grado, o addirittura gli indagati dovrebbero essere ineleggibili.
Ma non sarebbe meglio che non venissero votati?
E se invece arrivano al Parlamento, non sarà che a chi li vota conviene?
Dice: ma perché – almeno – non c’è una norma che li obblighi a dimettersi?
Perché essere indagati non equivale ad essere stati condannati con sentenza definitiva, direi.
E perché se i partiti non son capaci di espellere coloro che ritengono incompatibili con la loro pratica politica, ma cionondimeno continuano ad avere elettori, vorrà ben dire qualcosa.
Quand’è che la finiremo di supporre, verginelle che non siamo altro, che gli elettori siano piccoli angeli soavi, e i loro rappresentanti delle specie di diavoli che hanno mostrato il loro ghigno satanico solo una volta eletti?
“perché se i partiti non son capaci di espellere coloro che ritengono incompatibili con la loro pratica politica, ma cionondimeno continuano ad avere elettori, vorrà ben dire qualcosa”. Questo “qualcosa” io l’avrei indagato. Per esempio: che cosa dovrebbero fare, questi elettori, secondo te? che cosa pensi di fare tu, se sei convinta di ciò? (sono domande aperte, sia chiaro)
Il problema, almeno secondo me, in riferimento a ciò che scrivi, non è tanto nell’essere indagati. Come dici tu, c’è obbligatorietà dell’azione penale, essere indagati è conseguenza di una denuncia: è giustamente strumentale scrivere articoli di giudiziaria omettendo questo dettaglio, e dando giù con l’enfasi. Ma il problema nasce, per esempio, con il rinvio a giudizio. Per reati di mafia si arriva a situazioni veramente ignobili, avallate istituzionalmente (vedi Romano). E che dovrei fare, io? riabilitare Bresci? (domanda ovviamente provocatoria) vorrei delle alternative, tra questo e l’impotenza.
c’è secondo me un’esasperazione del fatto che non c’è alcun interesse, da parte della classe dirigente, a mostrare assunzione di responsabilità, a dare una testimonianza politica diversa da “la carica che ricopro è roba mia”. Tu mi dirai: fosse solo la classe dirigente: sì, certo, ma devo ancora capire chi è l’uovo e chi la gallina, tra classe dirigente e classe non dirigente, e chi è nato prima.
nella pubblica amministrazione se si ha carico pendente bisogna specificarlo, quando si partecipa ad un concorso, e ciò è propedeutico in linea di massima a una bocciatura (difficile che essere rinviato a giudizio non venga considerato, in questo caso), ma ci si può candidare in parlamento. e ciò, come minimo, è assurdo da un punto di vista legislativo.
Sì. Per citare me stessa (da Fb), possiamo inventarci una leggetta che vieta la candidatura a chi – faccio per dire – sia stato condannato con sentenza passata in giudicato.
Ma anche qui, si tratta di un palliativo, evidentemente; di un’azione simbolica: possono esserci, infatti, mafiosi pienamente attivi e misconosciuti, oppure persone condannate con sentenza non definitiva ma effettivamente colpevoli, e per reati magari tremendi.
Per dirla tutta: se mio figlio vorrà sposarsi con una deficiente, non ho nessun’arma per fermarlo. Tutto quel che potevo fare andava fatto prima.
E infine: il mio problema non è che il Parlamento non abbia nessun indagato. È che ce ne sia il minor numero possibile, e che – porca paletta – la politica che viene condotta corrisponda ad alcune mie aspettative.
Ora: non è che io mi senta impotente. Io mi sento tutto il potere di fare ciò che è in mio potere: posso dire, scrivere, parlare. Posso fare cose piccole, minuscole; posso creare relazioni fra persone che dialogano fra loro; posso costruire piccole reti in cui funzionano per quanto si può il rispetto e lo scambio; posso negare la mia complicità in ciò che non approvo; posso sottrarmi; posso agire esponendomi personalmente tutte le volte che è possibile; posso tentare di capire cosa posso costruire, con chi, e entro quali limiti; posso rifiutare di farmi tappare la bocca; posso scegliere i miei interlocutori, per quanto possibile.
Ma devo sapere che per fare qualcosa di più grande – di dimensioni più grandi, intendo – occorre tempo, e forse potranno riuscirci, da grandi, i ragazzini che hanno l’età di mio figlio.
Chi pensa di poter fare qualcosa di più grande ed efficace solo perché il suo nome è noto e perché alle spalle del suo nobile volo di ape regina arriva una nuvola di api operaie affascinate dallo scintillio delle sue ali è solo uno sciocco che confonde l’appagamento del suo ego con la dimensione collettiva.
Quanto alle api operaie, il gregarismo svolazzante è per loro sufficiente a soddisfare il loro bisogno di attivismo.