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i libri e il silenzio
Leggevo in Rete dell’amarezza di Veronica Tomassini, scrittrice umbro-siciliana che ha pubblicato l’anno scorso con la casa editrice Laurana il romanzo «Sangue di cane».
Diceva – se non ho capito male – che a farle male sono stati invidie e silenzi che non si sarebbe mai aspettata.
Non fatico per niente a crederci, purtroppo, soprattutto perché il suo romanzo è stato molto apprezzato da critici e lettori e, giustamente, molto ben recensito.
Allora m’è venuto da pensare che tanti silenzi – e invidie, forse, ma quelle sono di decifrazione più opinabile e complessa; e poi non è che io abbia scritto chissà che (anche se le mie cose a me piacciono) – possono voler dire qualcosa che va oltre il silenzio.
Molti che avrei creduto avrebbero parlato delle cose che ho scritto hanno invece taciuto.
Alcuni avrebbero dovuto per mandato professionale «aiutare» le mie cose e non l’hanno fatto (ma anche qui, forse, ci sono spiegazioni), ma altri avrebbero semplicemente potuto e ugualmente non l’hanno fatto.
Può essere accaduto per tante ragioni, credo.
Un valido motivo è che probabilmente non hanno letto quel che ho scritto (e lascerei anche perdere quanto importante sia far sapere che c’è qualcosa che si potrebbe tentare di leggere).
D’altra parte, leggere non è per niente obbligatorio.
Un’altra ragione potrebbe essere che han letto, ma quel che hanno letto non è piaciuto, e allora invece di stroncare hanno preferito tacere.
L’ho fatto anch’io, con molte cose che ho letto.
Mi sembrava poco gentile. Non sono una critica letteraria: che senso ha che dica che un libro non mi è piaciuto per niente? Quale attendibilità ho?
Che senso ha che io scriva che alcune cose scritte anche da scrittori famosi sono dei miserabili orrori? Che certe frasi trasudano una patetica e insostenibile arroganza? Che in certi libri e in certi atteggiamenti vedo in controluce l’affanno di chi già si vede come una star tv? Che alcune pagine di certi libri sono semplicemente e tragicamente ridicole?
Un’altra possibilità è che, semplicemente, la vita sia maledettamente esigente, soprattutto con chi non vive di letteratura.
Ci sono i soldi da guadagnare per vivere, i progetti di vita, gli amori, i mariti, le mogli, i figli, le madri, i padri, i fratelli, le sorelle, gli amici, i dolori propri e altrui di cui farsi carico, le gioie che esigono presenza.
E poi, c’è un’altra cosa ancora che giustifica il silenzio: il non far parte del giro di coloro che si recensiscono a vicenda, che si amano a vicenda, che sono tributari l’uno dell’altro, che si sostengono qualunque cosa accada.
Ma questa è un’altra storia.
È una storia abbastanza italiana, ma non solo.
Ed è una storia che nessuno vuol sentire.
D’altra parte, hanno argomenti facili, per non sentirla: ti dicono che sei invidioso, e con ciò hanno chiuso le porte.
Come succede quando critichi Saviano, insomma.
Credo che Veronica, parlando dell’invidia, avesse elementi più solidi di coloro che scattano come molle quando ti sentono azzardare un minimo di scetticismo sul senso civile di Saviano.
Però, caspita. Io non so.
Penso che il mondo dei libri sia veramente molto difficile.
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