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un paese pulito
Adesso l’immagine comincia un po’ a cambiare. Sorride. Sorride e sceglie le liste della felicità.
Sorride e dice «Lo specchio di un’Italia allegra e pulita» (il mio alato vaticinio di qualche giorno fa è stato confermato…).
Elenchi banali, diranno i cinici, pieni di ipocrisia e di falso buonismo, diranno i saccenti.
Ma chiunque abbia ascolto sincero delle parole sa che sono loro a banalizzare, impauriti dalla semplicità quando diviene senso della vita e soprattutto punto fermo di felicità.
Perché la ricerca della felicità, che si fa corpo in questi elenchi coincide anche con la necessità di un nuovo inizio, di un nuovo paese, di un nuovo orizzonte.
Scrivono i loro decaloghi uomini e donne che non hanno perso la fiducia in se stessi e nei loro simili, ma hanno voglia di allargare lo sguardo e di scoprire.
Chi è scettico, è «cinico» o «saccente».
Mi domando una cosa: ma perché quest’uomo, anche quando parla di felicità e ride, si sente in guerra contro qualcuno?
Perché si sente sempre il corno di un’alternativa?
Non ha esattamente detto «questa è la vera Italia, e questa è l’Italia di cui c’è bisogno. Quella delle emozioni semplici, quella che sa gioire di poco, quella che sa quant’è importante rimanere uniti, guardare il volto dei suoi bambini, pensare al futuro del Paese».
L’ha messa giù così.
un coro immenso che dà voce a un’Italia diversa, diversissima da come ci viene rappresentata tutti i giorni.
Un paese che ha sviluppato una propria bussola, non solo interna: perché la dimensione privata di molti messa insieme può divenire pubblica.
È da qui che mi piace pensare l’inizio di una possibile e necessario percorso, un insieme di desideri di felicità che si uniscono.
Non il paese incattivito, egoista, in fondo disperato in cui ciascuno bada solo ai fatti propri, dove tutti sono ugualmente sporchi, compromessi, piegati, e quindi tutti uguali nella meschinità.
Dove non resta che tacere e far vincere il più furbo.
Ma un’Italia integra, pulita, allegra e colma di rispetto in cui possiamo riconoscere la nostra speranza e la nostra forza – a partire dai punti fermi delle nostre vite che nulla riuscirà mai a scardinare.
Certo.
Partire da qui.
Grazie per il consiglio.
Adesso sì che mi sento meglio.
Dalla bussola privata che si fa pubblica, certo. Echissenefrega se con quei decaloghi non c’è in comune che – a esagerare – una dimensione privata.
Che sarà mai.
Speranza, ragazzi.
Speranza e fiducia.
Siamo un grande Paese con una bellissima bandiera.
Un Paese «pulito».
Ma è davvero la sporcizia che ci ammazza? La sporcizia morale, intendo.
O non è anche la semplificazione del reale ciò che ci fa sentire soli?
Non è forse vero che chiunque non sia in grado di accodarsi al coro delle facili speranze intorno a un’Italia pulita si sente ancora più solo?
Non è forse vero che spendere tutte queste energie nel ripeterci «sì, ripartiamo da qui! Ripartiamo dall’Italia pulita! Ripartiamo dal sorriso dei bimbi! Ripartiamo dall’unità!» è devastante per chiunque pensi che sul sorriso dei bimbi, sull’Italia «pulita» e sull’unità non si costruisce niente che non sia declamatorio, plastificato, vuoto, simbolico, emotivo, spettacolare?
I casi della vita!
Ho da poco finito di leggere “La scuola dei dittatori” di Silone, un saggio scritto in forma di dialogo che spiega come, nelle società di massa, attraverso il culto del capo, la propaganda e la sistematica mistificazione si possa arrivare a mutare la democrazia in dittatura.
e come si chiama l’alter ego di Silone, nel libro? Tommaso il “cinico”. Cinico in quanto l’etimo rimanda a “cane” (il personaggio è un randagio, un esule), e per richiamare quei filosofi post socratici che si interrogavano sulla virtù.
Un cinico (uno vero, non la cazzata scritta da Saviano), direbbe probabilmente che questi elenchi sono ottimi e perfetti strumenti per creare un immaginario di riferimento entro cui stabilire una identificazione emotiva tra massa e capo. Un cinico probabilmente farebbe notare che, in questo procedimento, Saviano ha un ruolo paragonabile, nello specifico, ai demagoghi che nell’antica Atene spianavano la strada ai tiranni.
Matteo, che tristezza.
valutando le persone come storie, e non come idee assolute, oggi come oggi costui è un demagogo che diffonde un immaginario entro cui un aspirante dittatore può stabilire una connessione emotiva con il capo-idolo. Oltre tutto il suo lessico e la sua retorica (in senso classico), rispetto a qualche anno fa, sono pesantamente involuti.
La componente di demagogia e di manipolazione evocativa dell’immaginario mi è chiara da tempo, purtroppo.
La logica binaria della sua retorica potrebbe essere liquidata con un sorriso, se non fosse pericolosa. E non solo per la teorica volata all’ipotetico tiranno, ma soprattutto perché fintantoché le energie si tengono impegnate in queste azioni dichiarative non si potrà sperare di muovere la riflessione di un solo centimetro più avanti.
concordo, e apprezzo la tua sensibilità antiretorica
ti leggo spesso volentieri
(solo non approvo il tuo sfondo, tanto nero è troppo per i miei occhi, faccio davvero fatica, sarà un problema solo mio ma un grigio chiaro sarebbe pià sano…)
ciao