Tags
Related Posts
Share This
le parole sono importanti
Da Repubblica.it. Si parla dell’annunciata nuova manifestazione degli studenti. Manco a dirlo, per la Gelmini è una «strumentalizzazione» (che poi: io vorrei veramente sapere cos’è, per lei, la «purezza», l’assenza di strumentalizzazione; e, soprattutto, perché strumentalizzare è male, visto che la politica è l’arte del rendere ciò che accade strumentale a ciò che si vorrebbe accadesse).
E alla domanda: davvero lei crede che nella scuola pubblica ci siano professori che vogliono inculcare principi contrari alla famiglia? il ministro ha risposto: “La stragrande maggioranza dei professori assolutamente no sappiamo quale è il valore della scuola pubblica e quello degli insegnanti, ma è anche vero che in una piccola parte dei docenti prevale la strumentalizzazione politica”.
Ora.
Non so se la domanda che è stata rivolta alla Gelmini sia stata effettivamente questa, o se invece chi ne ha riportato il testo abbia equivocato sul contenuto.
Però a me risulta che Berlusconi abbia detto (fonte: qui) che gli insegnanti delle scuole pubbliche
«inculcano idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie».
Non mi passa nemmeno per la testa di dargli ragione.
Voglio però dire che una cosa è sostenere che le scuole pubbliche diffondano tra gli studenti princìpi contrari a o diversi da quelli che le famiglie vorrebbero venissero insegnati ai ragazzi (posto, naturalmente, che si possa stabilire – e io non credo – che le famiglie siano un soggetto sociologicamente omogeneo); altra cosa è chiedere al ministro se anche lei ritenga, come Berlusconi (la manifestazione è contro le sue parole), che le scuole inculchino principi contrari alla famiglia, cioè all’idea di famiglia.
È questo, esattamente questo, il modo attraverso il quale i giornali fanno continuamente slittare il senso delle affermazioni, delle prese di posizione.
È proprio questa la strada percorrendo la quale il giornalismo viene reso strumentale (ora sì!) a interessi non connaturati al suo statuto.
Lavorando un tanto al chilo, non faremo mai capire niente a nessuno. O meglio: faremo capire a ciascuno quel che a ciascuno più conviene capire. Alimenteremo dicerie, convinzioni radicate nel nulla, leggende metropolitane.
In tre parole assai brutali: sosterremo il berlusconismo.
È chiaro che si tratta di un equivoco facile: questo governo difende moltissimo, al puro livello della propaganda, naturalmente, l’idea di famiglia.
Ma sant’iddio: cos’è che ci impedisce di capire che c’è una differenza fra quel che ha senso dire e quel che diciamo?
Sembra che si stia giocando al vecchio gioco del telefono senza fili, quello in cui il primo personaggio di una catena sussurra all’orecchio del secondo, che poi la risussurrerà al terzo e così via, una frasetta qualunque.
Il gioco consiste nel misurare la differenza tra la frase originariamente pronunciata dal primo della fila e quella riferita infine dall’ultimo della fila, che l’ha ricevuta dopo la mediazione di tutti gli altri.
Funziona proprio così.
E la cosa che non riesco a capire è per quale motivo in nessun punto intermedio del percorso esista un qualunque meccanismo di controllo e decodifica delle informazioni.
posso provare a dare una risposta? Perche’ e’ piu’ facile che cercare di capire quello che le persone davvero dicono o pensano. E anche perche’ a molti fa comodo non prendersi mai la responsabilita’ di cio’ che dicono o pensano. Non penso che questo abbia a che fare direttamente col Berlusconismo, secondo me e’ un’attitudine piu’ generale di diffidenza verso la precisione che nel nostro paese ha grande presa.
Sono d’accordo sul fatto che il berlusconismo non è la causa, ma una delle manifestazioni di questo modo di considerare il linguaggio e i significati, anche se penso che siamo avvitati in una di quelle spirali in cui non riusciremmo più a decidere se è nato prima l’uovo o la gallina.
Però non sono sicura che si possa parlare di una generale attitudine diffidente verso la precisione; non è che io voglia negare l’ampiezza dell’increscioso fenomeno. È che penso sia strettamente correlato più a un risvolto politico che a una configurazione antropologica.
Nel senso che l’alimentarla, l’imprecisione, è utile a qualcuno.
Non è semplicemente il vantaggio che si trae da qualcosa che si è rinunciato a contrastare: è proprio alimentare un fenomeno per avvantaggiarsene.
Nei giornali, per esempio, la linea che collega l’evento-imprecisione al vantaggio interno o esterno è evidente come se fosse segnata con una traccia fosforescente.