Tags
Related Posts
Share This
se non ora quando? almeno per la legge 40!
Ho letto.
Ho pensato.
Ho cercato di capire il mio senso di fastidio sulla manifestazione di oggi, quella che è stata intitolata «Se non ora quando?».
Le parole qui sotto, segnatamente, seguono la lettura di questo articolo di Christian Raimo.
Quando ci viene chiesto di stare da una parte, in effetti, bisognerebbe che le ragioni per sentirsi solidali fossero più di una, che tenessero in conto almeno una dose minima di complessità.
So che il manicheismo è un aggregante necessario.
Però ha senso usarlo per riunirsi orgogliosamente quando è sintesi di qualcosa che c’è, e si muove, e si sposta, e cresce, e si alimenta della condivisione di percorsi. Non quando è l’unico modo per fare massa, numero.
Le buone donne (e un po’ di buoni uomini) oggi vanno in piazza per protestare contro le cattive donne e contro i cattivi uomini.
Io, veramente, non so se la mia faccia non rifatta, il mio corpo non rifatto, e il mio sguardo di donna siano degni di Margherita Hack, o compatibili con un «canone alternativo» di donna.
Ma non ho la minima intenzione di cambiare la mia foto-profilo su Facebook, perché io sono io, e non sono né la Minetti né Ipazia.
Sono una che se incontra la Minetti le chiede delle cose, non le dà una botta in testa. Non le dice «troia».
Sono una a cui Berlusconi non piace non perché vede ragazze minorenni – anche, certo – ma perché la sua politica ha devastato l’Italia, cogliendo i frutti di ciò che a lui preesisteva.
Sono una che di fronte alla bipartizione sacrificale delle donne di cui parla l’appello di «se non ora quando?» si fa venir voglia di rivendicare la gioia della rinuncia al sacrificio della propria femminilità.
Ebbene sì: ho peccato.
Ho peccato con soddisfazione, con orgoglio, con piacere, con entusiasmo.
Tutte le volte che potevo, ho mandato a quel paese la «cura delle relazioni affettive e familiari», «di figli, mariti, genitori anziani».
Cerco di non sacrificarmi più «per la professione» che mi sono scelta.
Non sono impegnata nel volontariato «allo scopo di rendere più civile, più ricca e accogliente la società in cui» vivo.
Ho una tale considerazione di me da accettarmi per come sono; da provarci, perlomeno. Nelle mie miserie e nelle mie grandezze.
«Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose», dice l’appello, «lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale».
Ecco: se io non vado in piazza, oggi (e infatti non vado in piazza) non è perché taccio.
Io non taccio, non ho mai taciuto.
E che le firmatarie di un appello in nome della dignità delle donne si permettano di dire che se non firmo né vado in piazza mi assumo una pesante responsabilità mi fa arrabbiare molto.
Non so dove fossero tutte queste Ipazie quando il referendum sulla legge 40 sulla fecondazione assistita non ottenne il quorum.
Ma saperlo mi pare cruciale.
Non posso andare in piazza con chi quel giorno non c’era.
Di questo sì che mi assumo la responsabilità.
Altro che comunità internazionale.
Non posso che sottoscrivere parola per parola. Mi sono sempre sentita irritata e offesa quando hanno cercato di attribuirmi responsabilità o attributi negativi solo perché non faccio quello che qualcuno mi dice che è giusto fare.
Non sono scesa in piazza, come te, ma come te sono andata a votare. E ho votato sempre, anche quando ciò mi causava conati di vomito, non ho mai mancato al mio diritto-dovere di cittadina. E ho sempre cercato di pensare con la mia testa, vedendo ogni volta l’inganno dietro le parole degli affabulatori.
condivido parola per parola. non vado in piazza neanche io, provo un certo fastidio pensando a chi si sarà, donne che non stimo affatto e che usano questo evento solo come vetrina politica. per dire io non voto donna quando si va a votare. voto una PERSONA, punto e basta. questo credo sia il nodo cruciale.
ciao Federica, un abbraccio
Mi rendo conto di dover dire un’altra cosa: che io non mi sento una persona senza attributi di genere, e credo che l’appartenenza di genere sia primigenia e prevalente. Non riesco a pensare in termini di «neutrità» (non uso «neutralità», la parola esistente, perché mi sembra che abbia una sfumatura che non rende il senso di quello che voglio dire).
Ma nemmeno posso dirmi d’accordo con quelli e quelle che dicono che se il mondo fosse in mano alle donne sarebbe migliore.
Non è che non sono andata alla manifestazione per cinismo, per qualunquismo, per distanza dalla politica.
Al contrario, mi sembra che la manifestazione contenga elementi di cinismo (la pretesa di istituire una collettività omogenea, e dunque di rendere riconoscibile un soggetto collettivo «mediatizzabile»), di qualunquismo (l’idea che non esista rappresentanza politica al di là della collettività fittizia inventata dalla manifestazione) e di grande distanza dalla politica (quali mattoncini mettere insieme, e per costruire cosa, in vista di quale epilogo, e con quali mezzi? Forse – non so, mi domando – abolire il meretricio e il lenocinio? Wow, che termini).
sono perplesso
lo aono perché da un lato mi vien voglia di credere e sperare che un movimento simil nordafricano possa fare qualcosa, ottenre quello che un Parlamento a dir poco ridicolo e un presidente incerto non riescono a ottenere, ma poi?
Siamo sicuri che eliminato politicamente Berlu la dignità delle donne sarà integra? Mi si vuol dire che eliminato Silvio non ci sarà più prostituzione minorile? Nè prostituzione in genere? Che gli uomini laidi spariranno?
In questo sono concorde con te Federica, tuttavia è pur vero che s’è superato un limite, Toqueville sosteneva che i governi cadano per indegnità morale, non aveva tutti i torti se ci pensi. Il problema è che le istituzioni italiche sono come ingessate nel timore che possa accadere qualcosa di nuovo.
Che poi qualcuno me lo trovi ‘sto nuovo…
Io sono andato, nonostante all’epoca avessi anch’io la mia buona dose di incazzatura per il referendum. Dov’erano queste “Ipazie” all’epoca? Nonostante il grande numero visto oggi in piazza, temo che in linea di massima chi c’era oggi ci fosse anche per il referendum. Una piazza, per quanto piena è sempre un nulla di fronte ai numeri delle urne. Ma appunto, qualche limite si è oltrepassato, e se non ci si prova a mostrare adesso in qualche modo diverso, veramente vien da chiedere quando farlo.
Sulla stupida retorica di certe dichiarazioni, non mi dica niente, signora mia, che già frequento i sindacati e mi incazzo già abbastanza così…
Sono piuttosto in linea su quanto scrive Raimo.
Pur con il timore della strumentalizzazione politica sono andata alla manifestazione organizzata nella mia città.
Ci sono andata, anche se non ne condivido tutti gli argomenti che l’hanno originata, perchè volevo che sb si ricordasse di essere ANCHE il mio Presidente del Consiglio e non solo di coloro che l’hanno votato, ci sono andata perchè volevo che sapesse che conosco i miei diritti e doveri, che sono una cittadina consapevole delle proprie scelte e deploro il suo modo di rappresentarmi. Inoltre non capisco chi dice che i comportamenti riprovevoli di sb sono comuni a molti italiani e quindi tollerabili, poichè mi è stato insegnato che il rappresentante, di una classe, di una squadra o di una nazione è scelto in base alle migliori qualità e non per i suoi peggiori difetti. Questo mi hanno insegnato i miei genitori, questo ho insegnato a mio figlio, anche se le cose vanno come vanno.
Federca, il mondo sarebbe migliore se tutti e, anche tu, pensassimo – che noi siamo nelle mani del mondo-, e non -che il mondo è nelle nostre mani-, maschili o femminili che siano, è l’approccio utilitaristico nei confronti di quanto ci circonda ad essere sbagliato secondo me. l.
Ma al presente no?
Veramente tutto questo questo manicheismo io non l’ho visto, almeno nelle intenzioni. Sul sito ufficiale della manifestazione si leggeva (e si legge): “La manifestazione non è fatta per giudicare altre donne, contro altre donne, o per dividere le donne in buone e cattive. I cartelli o striscioni ne terranno conto.”
Se del manicheismo c’è poi stato nella persona di singoli manifestanti, non è stato certo programmatico: non si può garantire per tutti, in nessun evento pubblico.
Inoltre, se certo indispettisce parecchio constatare l’assenza di ieri di tante presenti di oggi, puntando i piedi a suon di “Voi no: perché dove siete state sinora?!”, non saremo mai tante, non saremo mai tutte. E domani, tra quelle che non c’erano oggi, ci sarà anche lei, e qualcuna potrà imputarle le medesime colpe che lei oggi chiama in causa.
Sì, cara/o Perché? (benvenuta/o qui). Potranno accusarmi di non esserci stata.
Ma io so perché non ci sono stata.
Come m’è capitato di commentare su Fb, comunque, non ritengo ammissibile svegliarsi (dipingendosi come le brave cittadine che addossano a quelle che stanno a casa le «pesanti responsabilità») solamente a distruzione avvenuta.
Cara “Perchè?” (Grazie del benvenuto).
Se conosce i motivi della sua assenza ed è in grado di sostenerli (come mi sembra), tanto meglio: con essi saprà anche sostenere le sue responsabilità. Ma non può pretendere che queste non esistano. Attribuendo responsabilità a chi ha scelto di non esserci in occasione del referendum (o a chi ha scelto di non scegliere) dimostra di essere una donna che crede nel peso di ogni decisione e che “non perdona” quelle sbagliate (dal suo punto di vista). Perché nel suo caso si dovrebbe fare eccezione? Giusta o sbagliata che sia la sua scelta di starsene a casa (e non sto qui discutendo questo, anche se è chiaro che dal punto di vista delle organizzatrici di “se non ora quando?” la scelta giusta è una) non trovo inammissibile la richiesta di assumersene ogni responsabilità.
Cordialmente.
Il problema è cosa discende dall’assunzione della responsabilità.
Io la assumo volentieri.
Ma il fatto è che non sono d’accordo con le conseguenze che dalla mia decisione vengono fatte discendere da coloro che mi rimproverano di non esserci stata.
Quando si hanno opinioni differenti funziona così.
(«Perché» è la tua/sua firma, non la mia!)
Lo so, rispondevo soltanto alla domanda “caro o cara?”.
Scusi, quali sarebbero le conseguenze della sua decisione a proposito delle quali non è d’accordo? (non è domanda retorica o provocatoria, davvero, mi interessa).
Le sole conseguenze che mi vengono alla mente pensando alla mancata partecipazione a una manifestazione pubblica riguardano l’identificazione di chi non vi ha partecipato con qualcuno che non abbraccia le ragioni che quella manifestazione hanno mosso. E questo credo sia innegabile: un sillogismo. Queste conseguenze mi sembra debbano essere accettate e mi sembra abbiano un valore simbolico e, soltanto in seconda istanza, pratico, e che riguardino la coscienza del singolo; mentre nel caso della legge 40 avevano un valore pratico più immediato e riguardavano comunque la coscienza del singolo. Potrei ovviamente sbagliarmi.
Quanto ai riferimenti a quel che scrive in fb: lei è “amica feisbuc” del mio ragazzo, e ogni volta che ne ho l’occasione piagnucolo perché lui mi mostri il suo profilo (ma mi ha accontentata soltanto un paio di volte) perché trovo proponga spesso spunti di riflesione interessanti e altrettanto spesso (come nel caso delle foto di donne su Repubblica) sono d’accordissimo con lei (non però in questo caso: nonostante anche io abbia tutubato molto prima di parteciapare a “se non ora, quando?”, sono alla fine contenta e convinta di quanto ho fatto). Ma non ho modo, evidentemente, di leggere la sua bacheca con frequenza, mi spiace.
«Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale»: questo c’è scritto sull’appello che ha originato la manifestazione.
Io non ho taciuto, e non taccio.
Non ho mai sostenuto né giustificato, né – men che mai – ridotto a vicende private ciò che con troppa genericità viene definito «il presente stato di cose».
Come posso assumermi la «pesante responsabilità» – e, ridicolmente, «davanti alla comunità internazionale», quando l’unica cosa che ho evitato di fare è stato partecipare alla manifestazione?
La cosa è maledettamente complicata, purtroppo.
È evidente che a me non va bene ciò che chiamano «il presente stato di cose»; né mi piace che le donne si riducano/vengano ridotte a beni mobili trasferibili.
Ma io non penso che questo sia colpa di Berlusconi. Credo che sia un processo storico cominciato prima, anche con il concorso di Berlusconi per il tramite delle sue tv, e accettato per troppo, troppo tempo dalle donne.
Una manifestazione che serve a dire «le dobnne italiane contro Berlusconi» potrà anche sembrare un bel titolo sulla stampa nazionale o internazionale, ma non ha alcun significato reale, politico, concreto.
Non perchè le manifestazioni non servano a niente. Swervono, eccome. ma se si situano in un qualche punto di una strada di condivisione politica di qualcosa, credo.
E qui? Qui cosa c’è?
Ci sono donne che dicono basta a cosa, esattamente?
A che alcune ragazze si regalino ai vecchi?
A che alcuni vecchi acquistino delle ragazze?
A che un vecchio se ne vada dal governo per questo?
E sentiamo un po’: è l’acquisto delle fidanzate minorenni e avventizie che «ci rende ridicoli davanti alla comunità internazionale»?
A me sembra che la nostra politica offra quotidianamente spunti drammatici agli occhi di qualunque osservatore straniero.
se poi i giornali stranieri decidono di prenderci in giro per la faccenda di Ruby, sono forse obbligata a pensare che essi hanno ragione per forza?
E se invece anche loro non stessero facendo altro che un’operazione di marketing? Mi spiego: non potrebbe essere che loro parlino di queste cose non perché siano le più gravi ma perchè son quelle che fanno vendere più copie?
E se fosse così, in quale considerazione posso tenere, io, la «comunità internazionale»?
Io mi vergogno del mio Paese, Perché, perché è un Paese razzista, perché i diritti dei lavoratori sono calpestati, perché Marchionne ha stravinto, perché l’Alitalia è stata regalata agli amici degli amici, perché il nord vuole uccidere il sud, perché le città sono diventate feroci… Per mille motivi sui quali – chiedo scusa per l’urlo – NON HO MAI TACIUTO.
Certo: mi vergogno del mio Paese anche perchè il mio presidente del Consiglio non mi consente di andare fiera di lui.
Ma a me interessa di più la sua laida politica, il fatto che non c’è una sola cosa che, fra quelle volute dal suo governo, io possa appoggiare.
Ora: se le donne hanno voglia di trovare una «piattaforma» comune da cui partire, non sarebbe fantastico che non se la prednessero con quelle che non sono sicure di avere abbastanza motivi per andare a una manifestazione le cui promotrici propagandano un modello sacrificale di femminilità?
Io sono stanca di «anni zero».
Ogni volta è l’anno zero di qualcosa.
ogni tanto si sveglia qualcuno e dice 1se non ora quando?»,.
Pri-ma.
Pri-ma, ca***.
Non adesso che tutto è già successo.
Ma cosa pensano, queste donne (che peraltro in moltissimi casi stimo in modo sincero e appassionato; in altri casi no)? Che quando se ne sarà andato Berlusconi il Paese tornerà lindo, libero e bello?
Ma hanno capito sì o no che il percorso da fare è lunghissimo, e non ce ne avvantaggeremo né noi né i nostri figli, ma forse i nostri nipoti?
hanno capito che bisogna ripartire dal piccolo, dal minimo, dal concreto?
Che bisogna ricominciare?
Che c’è bisogno di par-la-re, di di-scu-te-re, di trovare punti di aggregazione e di rappresentanza intermedi?
Quelle cose che una votla si chiamavano partiti e adesso ci sembra di aver sostituito meravigliosamente con il web 2.0, le sue meraviglie, i social network e via così?
Non so.
Io sono sempre più perplessa.
I toni trionfanti di oggi, poii, mi inquietano moltissimo.
domani scendo nella piazza del salotto di Federica a manifestargli al mia solidarietà…
condivido la fatica dello stare nella complessità senza ridurla, senza rimpicciolirla. capisco tutte le ragioni e cerco di non sminuzzarle per fare valere le mie. che poi sono mie? e da quando? e per quanto?
credo che un passaggio fondamentale sia la riduzione della visibilità come valore ed un potenziamento della prossimità dei corpi. questo lo vedo come un ricominciare. non zitti, ma un po’ invisibili…
v
Se sul sito si parla di donne che vogliono “continuare a tacere, sostenere, ridurre ecc.” e lei non crede di aver mai iniziato, perché sentirsi chiamata in causa?
Poi, io sono piuttosto giovane, di manifestazioni non ne ho viste troppe, ma da quelle poche mi pare di aver tratto l’insegnamento che gli slogan utilizzati per la promozione dell’evento, gli spazi sul web dedicati all’illustrazione di obiettivi e ideali siano sempre molto riduttivi rispetto alle sfaccettature reali che si riscontrano poi andando in piazza. Io non credo non sia stata una manifestazione politica, affatto. Io ero a Milano e decine di migliaia di persone hanno più volte invocato, per fare solo un esempio, le dimissioni (a gran voce): non è questo un obiettivo politico? Non è stata una manifestazione partitica, forse.
Se è in grado di dire che anche a lei non va bene “il presente stato di cose” significa che è in grado di attribuire un significato all’espressione “il presente stato di cose”, significa che “il presente stato di cose” non è un concetto così vago e vuoto come si vorrebbe far credere: richiama a tutti una data condizione. E allora, se domanda: “dire basta a cosa, esattamente?” la risposta “al presente stato dicose” non è certo la più precisa, ma è forse l’unica adatta a rintracciare un comune denominatore tanto difficile da individuare in una folla così eterogenea. “La sua [di Colui] laida politica” non credo fosse condivisa da nessuno in piazza ieri: era un grande sottinteso. E’ vero, avrei preferito non fosse un sottinteso, che fosse non soltanto un concetto a più riprese esplicitato, ma addirittura la principale ragione che movesse tutte quelle persone (ed era infatti questo uno dei motivi per cui dicevo di avere un po’ titubato). Ma era ragione sufficiente il fatto che le poche organizzatrici non avessero insistito su questo principio (che pure ho constatato poi essere vivissimo in piazza)ma piuttosto su altri, i quali, peraltro, non posso affatto dire di non condividere, ma di considerare semplicemente collaterali? Così alla fine sono andata, e ci sono andata proprio perché credo che, come lei sostiene, parlare, discutere, confrontarsi siano le uniche strade percorribili e dunque quelle mie perplessità potevano essere dissipate soltanto attraverso queste vie, le quali una manifestazione è più probabile alimenti che inibisca. Perché non c’è soltanto il risvolto “concreto” che si ottiene a livello pubblico, ma anche il risvolto “concreto” che si ottiene a livello personale: appunto partecipando per capire, arricchendosi. Per la cronaca: non tutto quel che ho visto mi è piaciuto e sono rincasata alleggerita di alcuni dubbi e appesantita di altri nuovi: ma tutti estremamente costruttivi per me.
Inoltre: forse è sempre imputabile alla mia giovane età, ma io non ricordo recenti manifestazioni nel nostro Paese che abbiano avuto un significato “reale, politco, concreto”, raramente con la piazza si è concretamente ottenuto qualcosa. Ma il valore simbolico c’è, e io non credo sia nullo. Mi accontenterò di poco, ma il “mezzo gaudio” venutomi dalla presa di coscienza che si tratta di un “mal comune”, mi ha un poco sollevata,come mi hanno sollevata l’atmosfera, lo spirito, la voglia di partecipazione. A me è parso bello, e basta. E comunque sono concorde sul fatto che parlare di “trionfo” sia eccessivo, e sul patetismo di richiami alla “comunità internazionale”.
ups, ma “illustrazione” usato nel senso in cui l’ho usato esiste? bah…