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ancora sulle donne anti-berlusconiane
«Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale»: questo c’è scritto sull’appello che ha originato la manifestazione.
Io non ho taciuto, e non taccio.
Non ho mai sostenuto né giustificato, né – men che mai – ridotto a vicende private ciò che con troppa genericità viene definito «il presente stato di cose».
Come posso assumermi la «pesante responsabilità» – e, ridicolmente, «davanti alla comunità internazionale» – quando l’unica cosa che ho evitato di fare è stato partecipare alla manifestazione?
La cosa è maledettamente complicata, purtroppo.
È evidente che a me non va bene ciò che chiamano «il presente stato di cose»; né mi piace che le donne si riducano/vengano ridotte a beni mobili trasferibili.
Ma io non penso che questo sia colpa di Berlusconi. Credo che sia un processo storico cominciato prima, anche con il concorso di Berlusconi per il tramite delle sue tv, e accettato per troppo, troppo tempo dalle donne (e dagli uomini, e dai ragazzi, e dagli anziani maschi e femmine: da chiunque).
«Le donne italiane in piazza contro Berlusconi» potrà anche sembrare un bel titolo sulla stampa nazionale o internazionale, ma non ha alcun significato reale, politico, concreto.
Non perché le manifestazioni non servano a niente. Servono, eccome.
Ma se si situano in un qualche punto di una strada di condivisione politica di qualcosa, credo.
E qui? Qui cosa c’è? Ci sono donne che dicono basta a cosa, esattamente?
A che alcune ragazze si regalino ai vecchi?
A che alcuni vecchi acquistino delle ragazze?
Chiedono che un vecchio se ne vada dal governo perché acquista ragazze?
E sentiamo un po’: è l’acquisto delle fidanzate minorenni e avventizie che «ci rende ridicoli davanti alla comunità internazionale»?
A me sembra che la nostra politica offra quotidianamente spunti drammatici agli occhi di qualunque osservatore straniero.
Se poi i giornali stranieri decidono di prenderci in giro per la faccenda di Ruby, sono forse obbligata a pensare che essi hanno ragione per forza?
E se invece anche loro non stessero facendo altro che un’operazione di marketing? Mi spiego: non potrebbe essere che loro parlino di queste cose non perché siano le più gravi ma perché son quelle che fanno vendere più copie?
E se fosse così, in quale considerazione posso tenere, io, la «comunità internazionale» rappresentata dall’«opinione pubblica internazionale» dei giornali?
Io mi vergogno del mio Paese perché è un Paese razzista, perché i diritti dei lavoratori sono calpestati, perché Marchionne ha stravinto, perché l’Alitalia è stata regalata agli amici degli amici, perché il nord vuole uccidere il sud, perché le città sono diventate feroci…
Per mille motivi sui quali – chiedo scusa per l’urlo – non ho MAI taciuto.
Certo: mi vergogno del mio Paese anche perché il mio presidente del Consiglio non mi consente di andare fiera di lui (e non sono sicura che il valore di un presidente del Consiglio si misuri in termini di «fierezza»; ma questa è un’altra cosa).
Però a me interessa di più la sua laida politica; il fatto che non c’è una sola cosa che, fra quelle volute dal suo governo, io senta di poter appoggiare.
Ora: se le donne hanno voglia di trovare una «piattaforma» comune da cui partire, non sarebbe fantastico che non se la prendessero con quelle che non sono sicure di avere abbastanza motivi per andare a una manifestazione le cui promotrici propagandano un modello sacrificale di femminilità?
Io sono un po’ stanca di «anni zero».
Ogni volta è l’anno zero di qualcosa.
Ogni tanto si sveglia qualcuno e dice «se non ora quando?».
Pri-ma.
Pri-ma, ca***.
Non adesso che tutto è già successo.
Ma cosa pensano, queste donne (che peraltro in moltissimi casi stimo in modo sincero e appassionato; e in altri casi no)? Che quando se ne sarà andato Berlusconi il Paese tornerà lindo, libero e bello?
Ma hanno capito sì o no che il percorso da fare è lunghissimo, e non ce ne avvantaggeremo né noi né i nostri figli, ma forse i nostri nipoti?
Hanno capito che bisogna ripartire dal piccolo, dal minimo, dal concreto?
Che bisogna ricominciare?
Che c’è bisogno di par-la-re, di di-scu-te-re, di trovare punti di aggregazione e di rappresentanza intermedi?
Quelle cose che una volta si chiamavano partiti, che adesso ci sembra di aver sostituito efficacemente con il web 2.0, le sue meraviglie, i social network e via così?
Non so.
Io sono sempre più perplessa.
I toni trionfanti di oggi, poi, mi inquietano moltissimo.
Questo post è ripreso da un commento che ho scritto in risposta all’opinione di una ragazza che, sotto il post immediatamente qui sotto, mi sollecitava a non declinare le responsabilità che mi derivano dalla decisione di non aver voluto partecipare alla manifestazione.
Banalmente: meglio tardi che mai. Se le motivazioni populistico-moralistiche sono “minime” rispetto alla laidezza politica del berlusconismo, è già qualcosa di per sé se questo consente di far partire la protesta. Vedi, cara Federica: io penso che tu (ma anche io, anche molti altri) sia una intellettuale che avrebbe criticato la piazza e la massa anche se si fosse radunata a partire da un tuo preciso slogan (o messaggio o, addirittura, post) perché non vorresti poi essere paragonata alle pulsioni di un ben noto Elefantino.
Ripeto: a parte i punti di criticità della manifestazione di ieri, mi sembra che essa abbia avuto il merito di essere nata senza che qualcuno possa rivendicarne il patrocinio.
ma “prima” (o “pri-ma”, suppongo scandito in sillabe per la sordità della massa) non è una categoria politica da fantascienza?
Fatte le dovute proporzioni (molto dovute, e molto proporzioni), si andò in guerra per Danzica, che non era esattamente sto signor motivo, rispetto ai precedenti, possibili, necessari ottimi motivi. Ma qui ancora non si tratta né di Danzica, né di morire per Danzica. che è un vantaggio, se ci pensi bene 😀
Federica no.
C’è un racconto di David Foster Wallace, “Questa è l’acqua” dove lui parla dell’educazione umanistica come della necessaria lente che ci aiuta a mettere in dubbio le nostre stesse certezze. Tu lo fai bene.
Sollevi dei punti cruciali, toccando ferite che nessuno nomina, preferendo sorvolare e mirare a scorciatoie e risparmi cognitivi. Il tuo coraggio di sollevare il velo del senso comune e andare più a fondo nelle cose ti rende più responsabile di tante altre.
MA questo non è tutto. Bene, ti distingui, non ti accontenti di certe banalità, critichi giustamente alcune frasi improbabili dell’appello, ma ti fermi lì. Com’è facile saltare a piedi uniti su quelle ingenuità di alcune organizzatrici ! Ribadisco che hai ragione a precisare che “la nostra politica offra quotidianamente spunti drammatici agli occhi di qualunque osservatore straniero” e che il punto non è la brutta figura che ci fa fare un vecchio pervertito. MA perchè queste cose le dici qui, sul tuo blog, chiamandoti fuori e mantenendo le distanze? La tua perplessità è sacrosanta e condivisibile, ma queste cose potevi dirle a tutti quelli che hanno partecipato alle manifestazioni. Molti a Milano hanno detto cose simili, molti ti avrebbero applaudito, io senza dubbio. Non siamo stati un pavido coro senza stecche. C’erano i distinguo e le critiche, le obiezioni e le sottigliezze. Le tue puntualizzazioni sarebbero state giovevoli e ben accolte. Il potere ci va a nozze con queste separazioni.
Pla-to-ne, la ri-chia-mo all’-or-di-ne!!!
Al-tro-che-Dan-zi-ca!!!
Se è per questo anche Al Capone eccetera eccetera.
Ma se dici così vuol dire che pensi che questa manifestazione può disarcionare il tiranno.
Facciamo che lo possa. E dopo?
Dan-zi-ca!!!
Paolo, sì. Giusto.
Ma io non ho tutta la speranza che ha chi è andato in piazza. Per me è tutto già finito, e bisogna ricostruire da zero.
Il potere va a nozze anche con le manifestazioni, sai. Va a nozze con qualsiasi cosa.
Non mantengo nemmeno le distanze. Mi limito a prenderne atto.
Ciao a tutti, e grazie.
Ciao Federica, sono andata alla manifestazione, nn perchè aderisca all’appello (il primo che è girato su internet), ma perchè penso che sia un modo efficace in questo particolare momento storico per far sentire il proprio dissenso. Con il riferimento al momento storico non parlo ne di Ruby nel di Berlusconi, le Ruby sono sempre esistite e magari portavano i pantaloni e un titolo di AVV/Prof/Ing. La prostituzione non è certo esclusiva femminile e non implica solo la vendita del corpo. Non sono scesa in piazza perchè mi sento in dovere di moralizzare o raddrizzare donne o uomini. Sono scesa in piazza perchè non ne posso più. Non ne posso più di un sistema culturale e sociale che ho ereditato, sul quale non ho mai avuto la possibilità di dire la mia. Sono scesa in piazza perchè penso che questo sistema economico e politico sia alla frutta. Chi pensa che la piazza fosse li per Berlusconi o non c’era o non ha capito. Certo la piazza era li ANCHE per Berlusconi, perchè lui è la punta di un iceberg che non è più ignorabile, è troppo visibile. Ma questo come giustamente dici è un SISTEMA che va avanti da troppo. E’ il momento di cambiare le cose e se continuamo a permettere alla classe dirigente di zittirci non potremo mai sperare che i nostri figli abbiano maggiore possibilità di scelta rispetto a noi. L’urlo DI MIS SIO NI era rivolto a questi signori che decidono quanti ovulipossono stare nel nostro utero, se possiamo o no utilizzare la pillola del giorno dopo, se possiamo o no decidere di rischiare di avere figli e perdere il posto di lavoro, se possiamo o no pretendere di avere accesso agli stessi stipendi dei nostri colleghi maschi, a parità di competence e performance.
Vorrei stare in Europa con gli stessi diritti e delle donne che abitano nelle altre nazioni che la compongono senza per forza dovermi confrontare con chi sta peggio. Vorrei non sentire nessun uomo dire che ci sono donne pazzerelle che si vogliono divertire e donne che sono brave mogli e madri… Gli uomini li alleviamo noi in un contesto culturale e sociale, le prime a dover cambiare siamo noi. La strada è lunghissima
Che poi ci sta anche un sano “I will not serve that in which I no longer believe, whether it calls itself my home, my fatherland, or my church” per dirla con le parole del buon Joyce. Insomma, ‘sta cosa che se non manifesti sei complice era vecchia già nel 1916.
Anch’io credo che il ‘non collaborare’ dovrebbe essere un’azione quotidiana, non un atto che si esaurisce in un giorno di protesta.
Senza voler offender nessuno.
Neppure io concordo col messaggio su cui è stata convocata la manifestazione di domenica. Penso però che quella giornata abbia assunto contenuti e significati molto più complessi e articolati, che l’attuale governo non intende riconoscere e che invece minimizza e denigra. Sono contenta di esserci andata. Mi sono ritrovata completamente nel testo del volantino che riporto qui sotto (grazie ad Andrea per averlo trovato ed elaborato da un pdf).
Un abbraccio
“13 Febbraio: Le Donne Scendono In Piazza!
ln questa fase di profonda crisi, politica ed economica, il tema della sessualità assume una nuova centralità; in questo contesto il ruolo delle donne viene nuovamente determinato e strumentalizzato da dinamiche di potere e ordini discorsivi ideologici e tradizionalisti.
Sicuramente da tempo c’è bisogno di una mobilitazione di donne contro il governo e il suo premier e non di certo solo per gli scandali sessuali. Le donne italiane si collocano tra gli ultimi posti in Europa per liberta e condizioni di vita, soprattutto in un quadro in cui il governo combina l’adesione incondizionata all’integralismo cattolico con quella ai dogmi del liberalismo sfrenato.
La direzione politica di Berlusconi e stata artefice di feroci leggi che agiscono sul corpo delle donne, vittimizzandolo e stigmatizzandolo: la 40 sulla fecondazione assistita, l’abrogazione della legge contro la pratica delle dimissioni in bianco, che consente il licenziamento delle lavoratrici in gravidanza, l’aumento delI’età pensionabile, sono solo alcuni esempi eclatanti delle politiche messe in campo dal Governo.
A questi si aggiungono i ripetuti attacchi alla legge sull’aborto; la dequalificazione e privatizzazione delle strutture sanitarie come, ad esempio, i consultori (vedi la proposta di legge Tarzia per la regione Lazio), l’ostracismo contro la diffusione della pillola RU486. Tutto questo in un paese che disinveste completamente sulle/i giovani e sul futuro, tagliando i finanziamenti all’università e precarizzando selvaggiamente il lavoro. Donne e migranti sono i soggetti che subiscono le maggiori conseguenze di questo sistema politico, vedendo negate le garanzie fondamentali ad un’esistenza libera e dignitosa. Non da ultimo, l’istituzione dei CIE (Centri di identificazione ed Espulsione), veri e propri Lager; in cui le donne sono costantemente esposte alla violenza e all‘arbitrio.
Gli scandali degli ultimi mesi che hanno avuto al centro la condotta sessuale del presidente del Consiglio fanno emergere un quadro di relazioni torbide e corrotte, in cui il ruolo della donna viene relegato ai peggiori stereotipi, espressione di un sessismo arcaico e volgare.
D’altra parte, gli appelli che in questi ultimi giorni hanno chiamato a manifestare si rivolgono alle donne “per bene”, madri, moglie lavoratrici, assumendo di fatto come prospettiva la separazione tra donne rispettabili e non rispettabili, invocando la difesa di una moralità univoca e astratta. Il rischio in cui incorrono queste posizioni è di colpire e stigmatizzare indiscriminatamente chi “vende il proprio corpo”, ma non i discorsi e le pratiche sessiste responsabili della dinamica complessiva. Invece di opporsi realmente ad una certa idea retrograda e tradizionale della sessualità, non fanno che riproporne, in modo simmetrico, i contenuti.
Crediamo invece che i nodi politici da rimettere al centro siano di tutt’altra natura. Centrale è la questione della redistribuzione delle ricchezze tra chi fa i profitti e chi sta pagando questa crisi, tra chi possiede palazzi e chi non ha casa, tra chi si giova di stipendi milionari e chi non ha un lavoro.
Ma crediamo soprattutto che sia giunto il momento che le donne prendano in prima persona parola ed esprimano la propria posizione su temi che le coinvolgono direttamente. Da tempo la sessualità delle donne viene controllata e disciplinata, ricondotta alla mera riproduzione e all’uso del piacere maschile, in un quadro ambiguo in cui se da un lato le prostitute vengono criminalizzate ed emarginate dalla società attraverso i pacchetti sicurezza e le campagne moraliste, dall’altro, nei palazzi politici, se ne fa uso e consumo.
E’ significativo che il momento di maggiore difficoltà del governo Berlusconi sia prodotto da una questione di rapporti sociali che hanno al centro la questione di genere. Questa volta sarebbe davvero una straordinaria occasione per suscitare una rivolta delle donne, che affermi l’importanza di una sessualità libera e consapevole svincolata dalla mercificazione e dalle norme imposte, in cui decisivi siano il riconoscimento dei desideri, la liberazione dagli stereotipi, e l’esercizio dell’autodeterminazione.
E’ con questo sentimento che attraverseremo la giornata del 13, perché pensiamo che sia imprescindibile una presa di parola pubblica e determinata da parte di tutte, per costruire un nuovo immaginario che affermi di nuovo la vera libertà delle donne.
Ci vogliono addomesticate. NOI SAREMO INDISPONIBILI E RIBELLI!
Centro Donna L.i.s.a., Donne Da Sud, Infosex-esc, Le Facinorosse, Le Malefiche, La Mela Di Eva, Le Ribellule, Lucha y Siesta, Action-A, Chicas En Revuelta, Collettivo Femminista Sinistra Critica”
Il fatto è che da anni ci dicono che il futuro è mettersi insieme perché ci si riconosce in due o tre idee concrete, al di là delle ideologie. E’ il maggioritario, bellezza. I buoni e i cattivi, i santi e i peccatori.
Così adesso sono importanti i festini e le mignotte perché lì uno straccio di denominatore comune apparente lo si trova.
No che le feste di Arcore non sono la cosa più grave. Sono solo la cosa che permette di aggregare abbastanza buone ragioni da portare in piazza un po’ di gente (dalla piaga della prostituzione alla piaga di Berlusconi, con tutto quello che si sceglie di far passare in mezzo).
Scusa il mio chiodo fisso, ma sono tornato stanotte da L’Aquila: cosa vuoi, mettere insieme un milione di persone perché una delle città d’arte d’Italia si sta sbriciolando e decine di migliaia di abitanti non hanno casa né futuro?
Forse abbiamo perso di vista il punto cruciale da cui si snoda in mille rivoli il berlusconismo e su cui molti possono e devono trovare dei punti di contatto per porre fine a questo scempio.
Se è vero che il sistema di raccomandazioni e nomine non nasce con il berlusconismo è però vero che prima del suo avvento tali pratiche erano considerate deplorevoli e problematiche,adesso invece si vuole sdoganare lo sputtanamento come un normale criterio di scelta, che inoltre porta con se un implicito ricatto.
Le conseguenze di tale “principio” si riflettono poi su tutta la politica italiana anche in campo internazionale, dove i nostri politici, oltre che rappresentarci degnamente, dovrebbero difendere gli interessi italiani. Ma se a contrapporre francia e germania, che in europa cercano legittimamente di far passare provvedimenti a loro favorevoli, mandiamo personaggi dello spettacolo come iva zanicchi che ha dichiarato di non capire niente di politica, come facciamo a far crescere e far rispettare il nostro paese? E’ chiaro che allora passerano leggi come quella che dichiara il succo d’arancia un prodotto fatto senza arance, che innescherà nel nostro paese problemi economici e sociali. E questo è solo un esempio.
Riguardo la figura di berlusconi è che come pdc porta il paese ad uno scontro istituzionale, poiché i suoi comportamenti che vanno visti come dei potenziali reati e non peccatucci obbligano la magistratura ad intervenire, cosa che non avviene in altri paesi democratici dove i premier lasciano prima che ciò accada.
Altra cosa gravissima conseguenza di questo sistema oltre l’inefficacia dei provvedimenti e la paralisi istituzionale, è che le “sue donne” come premio per i servizi privati vengano pagate dalla SOCIETA’ con ottocentomila euro e un posto di consigliere (vedi caso minetti)
Se questo non è abbastanza per andare in piazza almeno come cittadini, non so cosa dobbiamo ancora aspettare. l.
scusa, ma che slogan urlavano in Egitto, o in Tunisia?
me lo sai dire? Che c’era scritto sui loro cartelli? Che motivazioni avevano (hanno)? Non credo che le loro fossero manifestazioni valide, efficaci. Non più di quanto lo siano state le nostre.
“la manifestazione” non disarciona il tiranno. Non l’ho detto, non lo penso, non l’ho scritto in quel commento: mi pare un tuo apriorismo applicato al mio pensiero, se permetti, a giudicare dalle critiche che muovi a queste iniziative. Si può dire che nemmeno le guerre disarcionino il tiranno, se per esempio, morto un Mussolini, sopravvive il fascismo. Se fatta una Costituzione, poi piano piano il lento erodere ne svuota il contenuto materiale, lasciando solo la forma.
Ma in genere i tiranni vanno giù quando si arriva alla violenza, ahimè, e temo profondamente l’arrivo di quel giorno, mentre vedo una classe dirigente attaccata alla carogna nella speranza che funga da zattera. ma capisci, io non posso augurarmi che arrivi la violenza, sarei un folle. Devo impedirmi di pensare “oh, speriamo che si dia fuoco qualcuno, come è successo lì, o che si spari addosso alla folla, come è successo là”: sarebbe una visione intrisa di pragmatismo delirante, idiota, folle. E al contempo, devo scansare le proteste palliative, gli sfogatoi.
Ma per favore, tu dimmi se gli slogan urlati in Egitto e in Tunisia erano slogan giusti.
Francamente, Matteo, io non ho niente contro gli slogan delle manifestazioni.
Non capisco perché la mia desolazione debba essere presa per aggressività.
Io semplicemente credo che si debba ripartire da zero, e fingere di essere tutti d’accordo andando in piazza non mi pare zero, mi pare meno uno.
Quanto all’Egitto e alla Tunisia, credo che nemmeno lì le cose siano così semplici. Mubarak, per dire, non c’è più, e va bene. Ma non c’è più manco il Parlamento – vabbè, uno può dire: capirai che perdita – e in compenso c’è l’esercito.
“Non capisco perché la mia desolazione debba essere presa per aggressività”.
Anche qui: ma dove ti ho dato dell’aggressiva, scusa?
Non ce l’avevo con te, Matteo.
Ragionavo sul fatto che spesso il mio dichiararmi desolata e senza fiducia nel tipo di aggregazione che vedo intorno a me origina una reazione di tipo difensivo, come se stessi aggredendo chi ci crede e non – invece – ritirandomi.
Ok. Mi mandi un mazzo di fiori? 😀
A parte che non ho il tuo indirizzo, signor Platone, a me risultava che i fiori li mandassero gli uomini alle donne. Mi sono persa qualcosa, mi sa…
(Com’è la faccina col sorriso gigante?).
😉
Giusto, ti do le coordinate bancarie, manda un bonifico! 😀