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ultimo tango a parigi
Ho visto stanotte per la prima volta «Ultimo tango a Parigi».
Il personaggio maschile è splendido, sfaccettato, molteplice, complesso.
È credibile, e autentico, nel dramma e nella farsa, nel dolore dello struggimento e nel faticoso e improbabile dominio di sé e della situazione.
All’inizio, lei è meravigliosa e sensuale, ma a mano a mano che il film procede a me sembra progressivamente più grigia, piatta, monocorde, poco credibile, tanto nella sottomissione quanto nella fuga e nell’omicidio finale, che presuppongono l’insorgere di un terrore che erompe troppo improvviso, alla stregua di un colpo di scena.
È una fuga dalla cravatta rossa del tentativo borghese di redenzione di Paul o è una fuga dalla follia di una cravatta che non può aver senso? È un ritorno alla gioventù? È mai possibile che sia veramente un ritorno alla ridicola figura del fidanzato-regista?
L’idea che il corpo sia tramite per il ritorno alla vita, che sia salvazione e dannazione, è archetipica ed esplosiva.
È consolatoria ma anche tragica: niente è mai sufficiente, da solo, a farci uscire dall’imbuto appuntito di un lutto. Ma tutto ciò a cui ci si può aggrappare per ritrovare la realtà materiale di sé, per dirsi che non ci si è persi nella dissoluzione di una morte altrui, è veramente – credo – il corpo.
Ma insieme alla figura di Paul – stretto fra una moglie impegnativa e traditrice, un universo femminile che tritura e divora il maschile, e la realtà asfittica di un claustrofobico albergo a ore immerso in un’angosciante luce giallo-arancione – questa dimensione è l’unica cosa che salvo del film.
Accetto con difficoltà ciò che è surreale, ellittico, paratattico; e secondo me lì ci sono parecchie cose di questo tipo.
Il regista-fidanzato, per esempio.
Va bene: nei primi anni Settanta ce ne saranno ben stati, di tipi così. E chissà quali sassolini s’è levato dalla scarpa Bertolucci ritraendo una figurina patetica come quella: un «collega» che mancava sempre la scena fondamentale di ciò che voleva riprendere.
L’abito da sposa, con quelle due ancelle-commesse burlesque.
Le donne dell’albergo.
Marcel, l’amante di Rosa.
La cameriera che racconta del suicidio.
La scena dell’ultimo tango.
Capisco, comunque, che il film abbia fatto epoca.
Altro che burro. In quella scena Paul parla di famiglia, della sacralità e della santità della famiglia, e lo fa mentre sodomizza una ventenne in lacrime forse per la vulnerazione, forse per la sorpresa di sé.
È una scena che nasce con l’intenzione di essere profondamente blasfema, empia, forte.
Come la scena in cui parla del porco: iniziazione per lui o per lei? Discesa agli inferi di chi? E chi è strumento di chi?
L’indicibile, l’ambiguo, l’autentico, il profondo, l’umano: salvo il film per questo, per il fatto che è stato girato senza lingua madre, ma in inglese (la lingua di lui) e francese (la lingua di lei: e cosa c’è di meglio della mancanza di un linguaggio condiviso per significare il bisogno di superare o di respingere le parole?), e per il rifiuto dei nomi (e quando il nome viene pronunciato, niente è più possibile: si muore).
L’esasperazione espressionistica dell’atmosfera; la debolezza dell’innesco e dei nessi narrativi; l’esilità – lo so: pare assurdo – della tensione erotica; l’intensità discontinua: questo no, non mi è piaciuto.
(Nella mia pochezza, eh).
Fatico spesso, è un mio limite, a discernere il ridicolo percepito da quello volutamente espresso. Ho detestato Tom. Ma in ciò è piuttosto la grandezza di sceneggiatore, regista ed attore nel rendere così vivido un personaggio.
Brando è un dio distaccato dal mondo. Eppure sceglie una donna, cercando di renderla sua pari. Ma tentando, finisce egli stesso per diventare mortale, e morirne. Perché aveva scelto la donna sbagliata. O perché, forse, non è davvero possibile divinizzare qualcuno. Non tutti, non la maggior parte, perlomeno.
Per questo è un film molto più drammatico che erotico. E l’unica figura positiva, pur nel disastro e a maggior ragione nel disastro, è lui. Tutti gli altri sono di contorno, spenti, innocui.
Sul fatto che il film sia infinitamente più drammatico che erotico sono completamente d’accordo con te, anche perché mette il dito su ferite tragicamente ineluttabili e umane.
Non ho avuto invece l’impressione che Paul abbia scelto la donna sbagliata, e che abbia cercato di renderla sua pari.
Nessuna donna poteva essere giusta, per tanti motivi: le donne sue se ne vanno (la madre), tradiscono e si uccidono, oppure uccidono lui. È il femminile che uccide quel maschile, è quel maschile che si lascia frantumare e uccidere dal femminile; Paul sconta l’assenza di una radura nel bosco fitto di insidie delle relazioni fra lui e le donne.
Quanto a Tom, gesù. È intollerabile, davvero.
Io credo esista almeno una donna giusta (un uomo giusto) per ognuno di noi. Ognuno è unico, ma non poi così tanto. Ci sono migliaia, milioni di sfumature. Ma due vicine, prossime, appoggiate non possono non esserci.
Non so.
Quel che volevo dire è che il personaggio Paul non aveva nessuna possibile donna giusta, secondo me.
Ma è chiaro che sulla lettura di un film, di una storia, ognuno ha le sue immaginazioni.
sto discutendo con un’amica sul perche’ Jeanne abbia ucciso Paul e perche’ abbia utilizzato l’arma del padre (di lei).
Vorrei che tu dessi la tua interpretazione.
bella recensione.
Grazie, Silver.
Non so perché l’arma del padre.
Probabilmente perché Paul ha profanato non solo il femminile, ma anche l’idea di maschile di lei; e quell’idea di maschile è quella paterna, che è tuttavia quella a cui lei non sa rinunciare, e ammazzando Paul si aggrappa alla memoria del padre usandone la pistola.
O forse perché lei stessa in quel momento si sente maschile, e di un altro maschile proprio non ha bisogno. Tant’è vero che il fidanzato-macchietta tutto sembra fuorché un uomo.
O forse perché un padre come Paul (che ha l’età di un padre, per lei) può solo essere ucciso tramite un altro padre.
Non so…
È un finale narrativamente poco convincente, comunque. Troppo carico.
Uomini e donne escono a pezzi da questo film.
Si salva solo la dimensione del contatto pre-verbale (o anche post-verbale, chissà), mi sembra.
ricordo una vecchia intervista a Maria, lei disse che litigo’ con Bertolucci in quanto , secondo M.S, lui si era innamorato di Brando e voleva cambiare il finale. Lei invece volle un finale cosi’ tragico perche’ Paul rapresentava il padre-padrone mentre lei, femminista (e forse lesbica) , voleva essere quella che decideva con chi stare.
L’interpretazione interessante che da invce la mia amica e’ quella che , nel momento in cui Paul si innamora di Jeanne , perde di significato la sua esistenza.
purtroppo lo vidi molti molti anni fa e non lo ricordo benissimo , devo fare un ripssatina… 🙂
se ti viene in mente qulcos’altro fammi un fischio (halmv@yahoo.it)
ciao e grzie.