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scrittori e rappresentanti del popolo
A proposito dell’idea di cacciare dalle biblioteche della regione i libri degli autori che firmarono l’appello a favore di Cesare Battisti, il presidente della giunta veneta Zaia (definito, al solito, con la qualifica istituzionalmente inesistente di «governatore», ma tutto fa brodo nel modificare le percezioni collettive) dice alle agenzie di stampa (mi correggo: «spiega», così come fa chi conosce ciò che è indiscutibile e per questo va «spiegato») una cosa curiosissima:
«Non ci rappresentano», spiega il governatore. «Non ho alcuna difficoltà a confermare – ha poi spiegato a margine della conferenza stampa post giunta del martedì a Venezia – il fatto che rispetto a questi testi ci sono persone che oggi non ci rappresentano degnamente perché su Battisti questo Paese ha una posizione che è univoca».
Ora. A parte la faccenda del «rispetto a questi testi ci sono persone…» (cosa vorrà dire, esattamente?), io penso questa cosa.
Che la rappresentanza politica sia l’ultima delle preoccupazioni per così dire curricolari di questo nuovo genere di amministratori un po’ manager e un po’ agresti custodi dell’ortodossia territoriale mi era noto.
Che l’onere della rappresentanza spettasse agli scrittori, beh, questo mi sembra decisamente nuovo.
Interessante, anche.
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