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(rac)conti alla cassa
Di ritorno dall’ufficio dell’assicuratore – deposto assegno cospicuo: discreta sofferenza, grazie – entro in un negozio.
Una specie di supermercato di articoli per l’igiene personale.
Luce giallo-grigia.
Un luogo tristissimo, da tagliarsi le vene.
Corsie deserte.
Un’unica addetta che compare e scompare.
Cibi per cani.
Shampoo.
Adesivi per dentiere.
Cioccolata.
Compro due saponette, due tubetti di deodorante, i ricambi delle testine per lo spazzolino elettrico.
Mi avvicino alla cassa.
Quella luce, quell’odore di detersivo misto a cioccolata.
Per la tristezza potrei mettermi a piangere lì.
Mi salva l’età. Anche un po’ di uso di mondo.
Cassiera ad avventrice (carinaaa…) spuntata dal nulla: «Ti vedo benissimo».
Avventrice (lieve accento vicentino-padovano): «Lo vedi che essere single fa bene?».
Cassiera (bianca come un cencio, occhiali, ricci): «Siiingle???».
Avventrice (meno di trent’anni, piumino nero lucido lungo): «Eh, sì. È un bel po’, ormai. Sono stata cornificata per mesi. E non con una. Con due».
Si accorge di me.
Mi guarda (sorriso con denti che si manifestano molto gialli; che fottuto peccato: è così bellina): «Mi scusi, eh, se la faccio stare a sentire le cose mie».
Io: «Si figuri. Mi dispiace per lei. Solidarizzo».
Avventrice (trucco viola elettrico sulle palpebre, smalto bordeaux-nero e unghie lunghe quadrate: frame seduttivo-maliardico totalmente incongruo con il tipo di ragazza) alla cassiera (devo averla già vista da qualche parte, in una vita precedente): «Non si faceva vivo da due settimane. Gli ho chiesto “problemi?”. “Eh”, mi fa, “son stressato”».
Cassiera: «Per forza! Con due!» (Mi ha levato le parole di bocca).
Avventrice (aria da «sono uscita dal tunnel e adesso ne posso parlare con il cuore leggero ma è stata durissima»): «E pensa che l’ho scoperto su Facebook. Una delle due vive su un’isola, lontana da qui. E quando lei non c’è lui sta con la badante straniera della nonna, una di vent’anni».
Cassiera: «Ommammamia».
Avventrice (toccandosi i capelli neri, più imbarazzata che vezzosa) a me: «Beh, mi dia il sacchetto, ché le cose gliele metto dentro io».
Io: «Grazie!».
Avventrice (probabilmente studentessa fuori sede) alla cassiera (che si sistema gli occhiali): «Sono andata dal prete e gli ho detto: “Per favore mi accende il cero più grande che ha, in segno di ringraziamento?”».
Cassiera (guardando me e chiedendo bancomat?): «Perché, scusa?».
Avventrice (passandomi il mio sacchetto gia sistemato): «Perché quest’anno pensavamo di sposarci! Per fortuna che è venuto fuori tutto prima!».
Cassiera (a tutt’e due): «L’ho detto, io, che Facebook fa male».
Avventrice (sguardo smagatissimo): «Brava. Infatti mi sono scancellata».
Chi ha le idee così chiare non va contradetto. Anzi, quasi quasi mi scancello anch’io!
Ma la cosa curiosa è che sembra che la colpa di tutto sia di Facebook.
Non mi era sfuggito, ma per carità non proviamo a spiegarglielo, sarebbe una battaglia persa.
Certo che anche parlare di colpe…
Non è la parola giusta.
Life happens. È la prima lezione da imparare, no?
Per forza non capiamo l’Italia di oggi, ci ostiniamo ad usare la logica aristotelica…
Forse sono meglio le geometrie non euclidee…