non è sakineh (e se zahra l’avessimo uccisa noi?)

La notizia, bassa sulle home page di Repubblica e del Corriere (dove oggi è addirittura senza foto) è che questa donna – su questo le fonti concordano – ha partecipato a una manifestazione contro il governo di Teheran.
Secondo l’ufficio del procuratore di Teheran, Zahra Bahrami è stata condannata a morte per impiccagione perché a casa sua è stata trovata droga, che lei aveva anche in parte venduto.

Di questa donna noi abbiamo saputo solo quando già era stata uccisa.
Cos’ha di meno «sexy», Zahra, rispetto a Sakineh?
Perché i giornali non hanno fatto il loro lavoro?

Temo che sia perché una lapidazione per adulterio (ma Sakineh pare sia stata condannata – e non si sa ancora se la pena di morte è stata davvero sospesa come alcuni sostengono oppure no – non per adulterio, ma per complicità nell’omicidio del marito, anche se i parenti di lui dovrebbero averla perdonata) è infinitamente più spendibile sul mercato delle notizie interessanti.

Una donna a rischio di lapidazione perché ha tradito il marito aggrega intorno alle sue sorti più attivismo di quanto ne attiri una che ha marciato contro il governo iraniano.
Nel primo caso, il fatto che possa essere stata coinvolta in un omicidio viene comunque considerato meno rilevante (e comunque, ci mancherebbe altro che un omicidio possa gustificare la pena di morte), perché il punto è – poffarre – la condizione derelitta della donna, che è cosa di cui noi possiamo pontificare in letizia di cuore, sicuri di non incontrare il minimo scetticismo e la minima resistenza.
È una battaglia in cui dall’altra parte troveremo esclusivamente dei «cattivi» per definizione.
Dunque, è una battaglia in cui noi siamo per definizione «buoni».

Raccogliere firme per una che invece ha manifestato contro il governo è infinitamente meno sexy. Anche volendo ignorare l’accusa di spaccio di droga proprio come (meritoriamente) ignoriamo l’accusa che, mossa a Sakineh, la indica complice nell’assassinio del marito, cosa ci resta in mano?
Una donna che fa politica.
Niente su cui imbastire una di quelle belle lotte in cui il discrimine fra bianco e nero è nitidissimo, inciso con un temperino affilato.
Niente che non consenta a qualcuno di dubitare, di azzardare distinguo.

Sakineh, insomma, ci mette tutti d’accordo: o perché siamo contro la pena di morte, o perché siamo femministe, o perché pensiamo che questi islamici siano all’anno zero delllo Stato di diritto, o perché crediamo che il mondo musulmano tenga le donne in scandalosa condizione di minorità.

Zahra, invece, non taglia la testa a nessun toro.
Zahra apre domande: chi è? In cosa consisteva il suo attivismo politico? Perché aveva scelto di manifestare contro il governo? Che donna era? Era olandese «dentro»? E perché era in Iran, se poteva stare in Olanda? Aveva veramente la droga? L’aveva veramente venduta?

No.
Troppo complesso e sfumato per costruirci le fortune di una di quelle iniziative petizioniste che mobilitano le coscienze più avvedute.

Nessuno ha firmato per Zahra.
Se pensiamo davvero che le nostre mobilitazioni servano (anche) a qualcosa di esterno a noi e alla nostra visibilità, la colpa della sua morte è anche nostra.
Se siamo fra coloro che credono all’efficacia degli appelli, l’abbiamo uccisa anche noi, col nostro silenzio.

E non vale dire che non possiamo occuparci di tutti.
Non vale dire che non ne sapevamo niente.
Perché il problema sta proprio in quelle due cose.
È in quelle due cose che si nasconde la differenza fra la politica e l’attivismo della democrazia della paletta.