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saviano, la violenza e la «servitudine»
Ci ho pensato per un bel po’.
E poi ho deciso di scrivere.
Ho deciso di scrivere che la cosiddetta lettera che Roberto Saviano ha voluto indirizzare per il gentile tramite di Repubblica (che già d’altronde ospitò, su tutt’altro versante letterario, la lettera di Miriam Bartolini-Veronica Lario al marito fedifrago) a coloro che chiama «i ragazzi del movimento» mi pare, per leggerezza e superficialità, tragicamente irritante.
Ogni gesto violento è stato un voto di fiducia in più dato al governo Berlusconi.
I caschi, le mazze, i veicoli bruciati, le sciarpe a coprire i visi: tutto questo non appartiene a chi sta cercando in ogni modo di mostrare un’altra Italia.
A prescindere dalla facilità con cui io adesso posso corrivamente argomentare che l’utilizzo del verbo «mostrare» attesta un lapsus al limite della gaffe («mostrare» non è «essere», no? E prima di «mostrare» bisogna «essere», vero? E che cosa si possa collettivamente «essere» occorre dirselo nella pratica quotidiana di gesti condivisi, vero?), mi viene in mente un classico delle relazioni sindacali.
Esempio.
L’azienda forza su qualcosa.
Vìola un diritto, per esempio, minacciando che – in assenza di una rapida accettazione della rappresentanza sindacale – le conseguenze saranno pesanti.
Non precisa quali potranno essere; magari in un incontro con i sindacalisti presenta solo qualche vago scenario a titolo di esempio. Non so: cose come «potrebbe accadere che se non facciamo così l’azienda chiuderà l’anno con perdite così forti da costringerci a domandarci se saremo in grado di mantenere i livelli occupazionali».
Vago, no?
La rappresentanza sindacale ne parla all’assemblea dei lavoratori.
L’assemblea gela.
Tutti si sentono soli ed esposti: coloro che dovrebbero difenderli sono lì, davanti a loro, a dichiarare la propria impotenza di fronte a chi può far di chiunque ciò che vuole.
Singolarmente presi, tutti tesi al «si salvi chi può».
Collettivamente presi, tutti terrorizzati.
Interventi spaventati, interlocutori.
Fino a quando il più filo-aziendalista, quello che magari il suo destino l’ha già personalmente contrattato o pensa di potercisi dedicare con profitto di lì a poco, magari rivendendosi il risultato di aver piegato le resistenze dei colleghi, non compie il passo definitivo, quello oltre il quale un’assemblea non torna più indietro.
«L’azienda ha il potere di licenziarci tutti in qualunque momento», dice. «Siamo costretti ad accettare quel che ha proposto al sindacato interno, cercando magari di ottenere la promessa di qualche soldo in più».
Fatto.
Siamo impotenti.
La dialettica fra le parti non esiste più.
Il sindacato interno non serve a niente, se non a trasmettere messaggi. E i messaggi sono: noi siamo impotenti, voi siete impotenti ciascuno di noi è impotente.
Le parti non esistono più, nemmeno quelle.
C’è una parte sola: quella di chi può.
Non è vero, naturalmente.
Nei fatti se non nella percezione di sé, ce n’è anche un’altra: quella che potrebbe, almeno, provare.
Ma tutti sono ormai persuasi di due cose: la prima è che la parte non c’è più, perché è rimasta una somma di individui che hanno fissato ciascuno per sé il prezzo della propria sopravvivenza; la seconda è che se anche l’altra parte provasse a potere, allora la colpa delle terribili conseguenze paventate dall’azienda sarebbe proprio di chi ha provato a potere.
La conseguenza è paradossale: per dimostrare che siamo forti e sappiamo sopravvivere alle minacce, dobbiamo cedere alle minacce.
Diversamente, diamo all’azienda un pretesto per vendicarsi, e questo attesterebbe la nostra debolezza.
Ho perso il conto delle occasioni in cui le assemblee di redazione mi hanno messo di fronte a questo angosciante dato di fatto: che siamo servi dentro, e che più ancora che dir quel che ci interessa, e più ancora che trovare le strade per dire quel che ci interessa, abbiamo a cuore la compiacenza verso il potere, mascherandola dietro le oscene fattezze del realismo.
A me la lettera di Saviano sembra l’intervento del collega leccaculo che si alza e dice «non dobbiamo dar pretesti all’azienda per mettere in atto le sue minacce. Non possiamo scioperare, sennò l’azienda si arrabbia, e noi non otterremo mai il nostro risultato. L’azienda non cerca che un pretesto per mettere in pratica le sue minacce, e se scioperiamo facciamo il suo gioco».
Questo genere di interventi tende a dimenticare che l’azienda non ha solamente minacciato un danno futuro (quello che i servi zelanti tentano di evitare per il bene di tutti), ma ha anche già azzerato dei diritti, e che ciò a cui l’assemblea dei lavoratori è eventualmente chiamata è una reazione alla lesione di quei diritti, e non la prevenzione di ulteriori rappresaglie.
Ecco.
Noi, mi sembra, siamo a questo.
Io non voglio farne una questione generazionale come pare voler fare Paolo in questa bellissima lettera a Saviano.
Però vorrei dire che non credo che nessuno possa permettersi il lusso di ignorare che quando la politica (e le relazioni sindacali) chiudono la porta a ogni possibilità di dialettica negoziale e quando tutto si gioca su un piano di potere bruto, l’unica via che resta aperta al dissenso – piaccia oppure no, e a me non piace; ma non riesco a vedere alcuna alternativa teoricamente argomentabile – è l’esercizio della violenza.
La violenza non mi piace affatto.
Ma non mi piace nemmeno che a poco a poco mi tolgano l’aria che respiro e quando io tento di reagire mi dicano che mi devo tenere ben stretta quella poca aria che mi è rimasta, altrimenti finirò per vedermi sottrarre anche il minimo sindacale di aria respirabile.
Non mi piace cedere ai ricatti.
Non mi piace dire le bugie.
E Saviano non sa niente, non può sapere niente, dei «cinquanta, cento imbecilli» che si sono «sfogati» su un camioncino o con una sassaiola.
Non può sapere se erano ciò che lui chiama «ragazzi del movimento», infiltrati, cinquantenni, bastardi di qualunque tipo, o gente semplicemente esasperata alla quale non sta neanche bene che un illustre professorino trentenne cerchi di insegnare la buona educazione.
Saviano non può sapere se sono «imbecilli», cioè «scemi di cervello» o no.
Non può sapere con quanta ostinazione possono aver provato ad argomentare il loro punto di vista; con quanta fatica possono aver cercato un interlocutore; o con quanta facilità siano stati messi lì da chi poteva avere ogni teorico interesse a far di loro il capro espiatorio di ogni reazione: della reazione delle – chiamiamole – istituzioni, e anche delle reazioni dei sapienti moderati, di quelli che la sanno lunga.
Quando non c’è terreno di negoziazione, caro Saviano, si possono fare poche cose.
Si può fuggire, fisicamente o no.
Si può accettare la propria nichilizzazione illudendosi che più politi si sia più si sarà presi in considerazione dal Sire-Che-Tutto-Può.
O ci si può incazzare pesanti, duri, anche se – fortunatamente – senza ammazzare nessuno.
Incazzarsi non è mai bello, e probabilmente non è mai nemmeno troppo educato.
Ma a volte è l’unica strada che rimane.
Ignorarlo è da imbecilli.
Ignorarlo è da servi.
Ignorarlo è come non leggere la realtà.
Ignorarlo è come nascondere la testa sotto la sabbia.
Ignorarlo è illudere se stessi – e fin qui niente di male – e illudere gli altri (e se si ha un’immagine pubblica, gli altri che ti ascoltano son tanti) che al di fuori di quel che si sta costruendo con la, e grazie alla, propria visibilità non c’è niente.
Ignorarlo è un lapsus che dice «al di là di me, il niente».
Vorrei dire a Saviano che l’unica cosa che gli consente di dispensare spiccioli di speranza dalle pagine di Repubblica è il fatto che egli ha un posto nell’immaginario televisivo.
C’è un enorme numero di persone che questa speranza non ce l’hanno, e vedono con molta più nitidezza la miseria politica ed esistenziale del proprio futuro di cittadini.
«Questo governo in difficoltà cercherà con ogni mezzo di delegittimare chi scende in strada», scrive Saviano.
Ho una domanda per lui. Anzi, ne ho due.
La prima è questa: ma tu pensi veramente che il governo debba legittimare una protesta? Pensi davvero che senza legittimazione dell’esecutivo non ci sia realtà per così dire parlamentare?
La seconda è questa: ma tu pensi davvero che le persone incazzate abbiano bisogno di essere legittimate dal potere?
Infine.
Chi volesse utilizzare la scorciatoia delle categorie interpretative semplificate, potrebbe ora ben sostenere che a dare a Gasparri una buona giustificazione – una delle tante, per carità – in virtù della quale chiedere una schedatura di massa e una raffica di arresti preventivi è stato proprio Saviano.
È nato prima l’uovo o la gallina?
Sono i «cattivi» a dare i pretesti ai «buoni» (dovunque collocati, gli uni e gli altri), o i «cattivi» a cercarli da sé, nelle azioni e nelle parole dei «buoni»?
questo è il vero centro della questione: pensi davvero che le persone incazzate abbiano bisogno di essere legittimate dal potere?
a ‘sto giro la pensiamo più che allo stesso modo… ti cito dove ne ho parlato anche io perché questa cosa mi ha colpito davvero oltre quel che io stesso pensavo.
Saviano è un servo, un ignorante, uno che si approfitta della TV? Sono gli stessi argomenti che usano Libero e il Giornale.
Sono in totale disaccordo con questa analisi che ripropone un vecchio schema, già sconfitto dalla storia, degli anni ’70.
Non ho detto che è un servo, né che è un ignorante, né che approfitta della tv.
La prontezza con la quale si reagisce quando si tocca la sacralità del testimonial Saviano è inquietante.
Libero e il Giornale non ho il piacere di leggerli, Giuseppe.
Ho detto che Saviano mi ricorda i servi che nelle assemblee dei lavoratori, di fronte alle violazioni dei diritti compiute dall’azienda, dicono che non si deve provocare la reazione dell’azienda e fare il suo gioco reagendo.
Ho detto che Saviano non sa nulla della reale identità e delle reali intenzio ni di coloro che con insopportabile spocchia definisce «imbecilli», esattamente come fa la Gazzetta dello Sport dopo gli incidenti fuori dallo stadio.
Ho detto che Saviano può permettersi il lusso della speranza perché ha un punto d’osservazione diverso da quello delle persone che non hanno accesso alla tv.
Quanto al fatto di essere berlusconiana, beh, agli insulti non rispondo.
Vecchio schema sconfitto dalla storia? Ma di che diavolo parli? Cosa capperi c’entrano gli anni Settanta?
Dire che non c’è terreno di negoziazione e dunque è inevitabile che ci sia chi fa ricorso alla violenza è un vecchio schema anni Settanta?
Ma di cosa diavolo stai parlando?
questa continua chiamata in causa dei Settanta mi sfugge… ma tanto
i giovani sono incazzati; punto. tutto il resto è contorno (ma chiamala politica se vuoi) e se ancora non ci è scappato il morto è solo un fatto statistico; saviano ha detto delle cose dure e pure a proposito di argomenti specifici che altri non avevano il coraggio di affrontare, ma non per questo è diventato il depositario di nessuna verità rivelata; io d.e.t.e.s.t.o i tuttologi, meglio ancora se investiti dell’autorità che viene loro dalla visibilità televisiva; buona serata.
Federica, ottima analisi. Anch’io ho avuto la sensazione che questa volta il contesto della protesta fosse diverso. Lavorando nella scuola conosco bene, purtroppo, le tiepide (diciamo tiepide va’) reazioni dei sindacati degli aultimi due anni alle riforme di scuola e università. Ci siamo sentiti e ci sentiamo tuttora impotenti e mi viene da dire che quello che è avvenuto a Roma, lo dico nella speranza di non essere frainteso, è quello che, con altro linguaggio, ci saremmo aspettati dalle rappresentanze sindacali e dai partiti di opposizione. Una risposta dura alla totale mancanza di contrattazione. Le scrollate di spalle, infatti, non sono servite a nulla.
Grazie, Francesco.
Penso che tu abbia ragione.
nuovamente stasera al TG hanno intervistato un giovane studente che ha detto “la nostra è una protesta pacifica”, ma non ha voluto-saputo-potuto-desiderato esprimere un giudizio di ferma condanna nei confronti delle violenze del 14. E la cosa che mi lascia esterrefatto è proprio che nessuno capisca il messaggio, che peraltro mi appare molto chiaro: che vi rompano pure la testa, non ce ne frega niente, perché non abbiamo niente da perdere.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/12/19/non-li-reggo-piu/82809/
Un abbraccio fortissimo
Che noia, che noia, che noia. Mai che legga un intervento ricco di sfumature, mai che le persone si pongano dei dubbi: i poliziotti sempre cattivi, gli studenti sempre buoni. Il bianco sempre più bianco, il nero sepmtre più nero, nelle palette nessun grigio. E invece la vita è fatta di sfumature e così penso che la protesta sia giusta ma che ci siano degli imbecilli tra i protestanti esattamente come ce n’erano quando scendevo in piazza io, negli anni settanta. E gli imbecilli, i manichei, i violenti,anche se pochi,fanno apparire le giuste proteste come sbagliate. Saviano ha perfettamente ragione.
“A me la lettera di Saviano sembra l’intervento del collega leccaculo che si alza e dice «non dobbiamo dar pretesti all’azienda per mettere in atto le sue minacce. Non possiamo scioperare, sennò l’azienda si arrabbia, e noi non otterremo mai il nostro risultato. L’azienda non cerca che un pretesto per mettere in pratica le sue minacce, e se scioperiamo facciamo il suo gioco»”
in effetti la questione è un po’ diversa: è grave confondere un diritto sancito costituzionalmente come lo sciopero con questo genere di violenza che tra l’altro dalle immagini e dal resoconto dei danni causati mi è sembrata disorganizzata, fuori controllo. (Io personalmente credo anche che le forze dell’ordine fossero volutamente impreparate: non ho mai visto singoli poliziotti isolati diventare preda della folla, o camionette accendersi così facilmente. Questo, è lecito pensarlo, per istigare con più facilità quell’atto fonte di “pretesti”: quella violenza che copra le motivazioni reali).
La violenza di piazza del popolo (e siamo tutti d’accordo nel continuare a chiamarla così) non aveva meta, non aveva scopi: è stata violenza fine a se stessa, impossibile da accostare anche da lontano alla Resistenza, alla rivoluzione francese, o anche al ’68. La presa della Bastiglia ne aveva, ma anche se non ne avesse avuti rimane il fatto che dopo l’assalto di un palazzo con pochissimi detenuti politici, l’immagine passata alla storia tramite le forze mediatiche dell’epoca, e soprattutto l’immagine arrivata alla nazione francese intera sia stata quella di lotta contro un nemico ben preciso (che non è il poliziotto o la camionetta pagata dai contribuenti). Non importa neanche che sia vero o meno, machiavellisticamente è importante che la nazione tutta la creda così…e in questi tempi e luoghi non mi sembra che gli studenti -braccia- o gli ideatori -menti- di questa violenza (non ci sto a chiamarla rivolta) abbiano l’impatto mediatico per rivendicare come atti di liberazione cose che in effetti non lo sono (soprattutto quando ne sono particolarmente lontani, come i fatti di p.zza del popolo), figuriamoci l’imponenza di far cascare qualcuno in questa bugia.
Se Saviano assume un tono paternalistico, lo fa con degli adolescenti anacronistici, inebriati da storie di altri tempi, fomentati dalla possibilità di fare danni, di arrecare disturbo, senza chiedersi “a chi?”, senza curarsi delle conseguenze, e con i blogger che indispettiti contrattaccano alla cieca e di massa, mettendo sempre come premessa il fastidioso piagnucolio “Saviano è famoso, Saviano va in TV”.
Spero si legga che ritengo l’uso della violenza determinante nella storia dei popoli e delle nazioni, ma il discriminante tra una violenza rivendicabile ed una violenza futile (che non può essere giustificata facendola passare come una “violenza rivendicabile uscita male”) è l’organizzazione su scala nazionale e la funzionalità. Siamo ben lontani da queste due caratteristiche, e credo che il contesto odierno, locale e sociale renda inopportuno, anzi dannoso, qualsiasi uso della violenza. Non siamo Mujāhidīn, non siamo Taliban, e non siamo nemmeno i Soviet della Rivoluzione d’Ottobre o i Sanculotti della Rivoluzione Francese. “Per fortuna o purtroppo” siamo italiani.
Bruna, certo che nel corteo c’erano gli imbecilli. La mia non era una difesa del corteo come luogo nel quale esiste la purezza. Mi dispiace che tu ti senta annoiata, ma per conto mio qui le sfumature c’erano.
Fuck, nessuno giustifica la violenza. Lasciami solo dire che non sono una blogger indispettita che attacca in massa: mi chiamo Federica Sgaggio, ho la mia storia professionale, e su questo blog ho scritto cose critiche verso Saviano – e verso altri, anche – da un bel po’ di tempo.
Non piagnucolo, mio gentile lettore. Né, parrà strano, sono invidiosa di Saviano, che mi dispiace – no: considero intollerabile – debba sopportare di essere messo sotto scorta per le cose che scrive.
Consenti a me, gentile lettore, di generalizzare, adesso: voi che lo difendete a spada tratta con l’argomento dell’invidia e con i distinguo andate cercando un babbo.
Come ci si sente, eh?, a essere attaccati sul piano personale, caro amico Fuck?
Sapeva tanto(il tuo come molti altri articoli sui blog contro la letterina di babbo Roberto) di “maledetto saviano che usi la tua visibilità in modo peggiore di come faremmo noi”. Ma niente di personale.
Chiarito ciò parliamo dei contenuti…
Quoto il link di anna sull’articolo di Grillo: meno paternale, stessi contenuti!
Non è chiarito, Fuck.
Quel che ho scritto sapeva di quel che ho scritto.
Tanto più che sulla visibilità ho idee un po’ più articolate di quelle che tendi ad attribuirmi.
Il link di Anna non riguardava Grillo, ma Giulietti. A margine del suo pezzo ho scritto il post appena sopra questo.
Mi cito da quel post:
«Lo dicevo, qui a casa, da un sacco di tempo.
E l’ho detta pure agli amici, questa cosa…
Verrà il giorno in cui Saviano lo scaricheranno tutti.
E quel giorno sarà bruttissimo non solo per lui, ma anche per chi credeva che fosse possibile ragionare sulle cose che diceva.
Invece no.
Si può solo amare o odiare.
Tifare pro o contro.
Pura democrazia della paletta».
(Paternale sostantivo, Fuck?
O «paternalista» aggettivo?).
Scusami la gaffe, mi riferivo allo stesso articolo (che continua nè meglio nè peggio di quanto lascia sperare con il suo “non li reggo più”).
Intendevo proprio paternale, nel senso di fare la-.
E, dopo aver letto il nuovo post, ribadisco la mia impressione che sia tu a voler semplicemente tifare contro senza provarci nemmeno a ragionare.
Da qui diventa, a tua ragione, un discorso troppo personale.
Io volevo parlare di fatti e di reazioni, di cause e di risposte.
Arrileggerci!
Va bene.
Grazie.
Che noia, che noia, che noia! Condivido le parole di Bruna. Ragazzi, ma vi rendete conto che state ricadendo in pieno nello stereotipo del conflitto “ggggenerazionale”? Che più passano i giorni dallo sciagurato 14 dicembre (dove si, ce ne sono stati di imbecilli, come ce ne sono sempre stati nelle manifestazioni e come – ci scommettiamo? – ce ne saranno domani) e soprattutto dalla lettera di Saviano, più riproponete schemi anni ’70? L’altro giorno ho letto una risposta strepitosa ad un incazzatissimo blogger che ce la metteva tutta (come te) per trovare delle ragioni alla violenza espressa il 14 e per impallinare Saviano, reo di averla stigmatizzata. Le parole erano eccezionali nella loro semplicità, e te le riporto a memoria: AVETE ROTTO. SE VOLETE SPACCARE TUTTO, SPACCATE PURE. MA NON PRETENDETE DI AVERE RAGIONE!!
Ovviamente, penso che Saviano abbia perfettamente ragione.
No, infatti: MAI LA VIOLENZA, MAI.
Meno male che i Partigiani hanno liberato l’Italia a suon di orazioni civili.
Margherita, non intendo impallinare nessuno; non sto mettendocela tutta per impallinare Saviano. La povertà di quest’analisi si commenta da sola.
Io non ho rotto niente, non ho spaccato, e nella mia vita ho pure frequentato pochissime manifestazioni.
Lo stereotipo del conflitto generazionale lo riproponga pure chi vuole: io non l’ho fatto né lo farò.
Non pretendo di aver ragione, non giustifico la violenza e dico solo che ci sono situazioni in cui non ha senso stupirsi che essa si manifesti, di schemi anni ’70 non ho parlato, non ho mai detto che fra i manifestanti escludo categoricamente ci fossero imbecilli.
Anche a te, come ho detto a Bruna: mi dispiace se ti annoio.
Ma che ci vuoi fare: ho idee, e le scrivo, anche se sono noiose e non sono maggioritarie.
Matteo, in effetti veniamo da anni nei quali la Resistenza ha cessato di essere un valore.
Come molti ragazzi ti dicono «perché scioperate? per noi lo sciopero non significa niente! Noi non abbiamo nemmeno un lavoro!» pensando che la colpa sia di chi lavora (non importa in quali condizioni) e ha – udite udite – il privilegio di scioperare, così molte persone ti direbbero che ci si poteva liberare dal fascismo con mezzi pacifici, e che la Resistenza è stata il brodo di coltura del terrorismo.
Cara Federica, a me sembrano al contrario maggioritarie (in questi giorni) le idee che hai espresso! Mi dispiace che la mia analisi ti sia sembrata povera, io la volevo solo sintetica. Del resto non mi sono discostata troppo dalle analisi di diversi altri lettori dell’articolo, il che vuol dire che o non ti sei espressa bene oppure noi abbiamo capito più che bene quello che volevi dire…
Ti pongo solo una domanda (che già è stata avanzata da Giovanni M. Bellu sull’Unità di ieri, o l’altro ieri, non ricordo): è tanto difficile capire che c’è molta gente – come me, come gli altri lettori che ti hanno risposto più o meno sullo stesso tono – che trova incredibile la tua/vostra idea (da cui la mia personale convinzione di un ritorno del conflitto generazionale) secondo cui dissociarsi dalla violenza vorrebbe dire negare le ragioni del malessere (che è proprio di tutti, oggi) e la fondatezza dei motivi della protesta?
Io ho 49 anni, ho assistito e partecipato a molte proteste, nella mia vita. Ed ho visto come in passato gli incidenti delle piazze, il sangue dei manifestanti, siano serviti solo a “nascondere il fango del Palazzo”, come dice Bellu nel suo articolo. Se hai seguito l’evoluzione delle reazioni in questi giorni, non puoi non renderti conto che anche questa volta (ancor più questa volta, direi) ci prepariamo a questo.
Non lasciamo, non lasciate che succeda!
Ancora una, tanto per riagganciarci alla tanto vituperata lettera di Saviano, dove lui suggeriva al movimento di persistere nella ricerca di nuove strade per portare la protesta al massimo della visibilità internazionale, perché probabilmente solo cosi’ si puo’ ottenere una vera pressione che potrebbe sbloccare le cose. Io vivo in Francia: qui si è parlato moltissimo della scalata ai monumenti, dei book bock, della brillante e nuova protesta che nasce dal desiderio di riappropriazione del patrimonio culturale, che è anche garanzia di futuro. Agli incidenti del 14 si è appena accennato, in maniera annoiata, riagganciandoli alla triste tradizione italica che risale, appunto, agli anni ’70….
I ragazzi francesi, qualche anno fa, fecero rientrare la famigerata legge Villepin sul contratto a tempo determinato (insieme a tutte la altre categorie sociali) semplicemente sedendosi per una settimana davanti a tutti i luoghi pubblici, gli uffici, le scuole, le amministrazioni, i caselli autostradali, gli ingressi delle fabbriche ecc.
Prima di concludere: Matteo, prima, ce l’aveva con me – e non con te!Sono giorni che ci confrontiamo su questi soggetti….
Ti leggero’ ancora, buona fortuna!
Non sono mai stata maggioritaria una sola volta nella vita, Margherita!
Il ruolo pubblico di Saviano mi dà da pensare da molto tempo, e lo scrivo da molto tempo, qui.
Non credo di essermi espressa male, sai.
enso di aver detto delle cose che non ti piacciono, e non piacciono anche ad altri: è diverso.
Io dico che quando non c’è spazio di mediazione né interlocutore la violenza è una reazione che è legittimo attendersi, ma non è che a me interessi essere violenta.
Non lo sono mai stata, non lo sarò mai, non spaccherò mai un vetro se non per sbaglio, non rovescerò mai un cassonetto.
Però io non so chi fossero quelli che nella manifestazione l’hanno fatto, e non posso – davvero – dare per scontato che siano imbecilli.
A me sembra che quando si tratta di Saviano si assista a una polarizzazione sconcertante: chi lo critica passa per il bastardo fascista stronzo invidioso; e nella versione più evoluta, per il ripropositore – ahimé, che parola! Inesistente! – dei «vecchi schemi anni Settanta», visto che Saviano e la sua collocazione sul mercato dell’immaginario vengono percepite per cose così «nuove».
Abbiamo idee diverse, Margherita.
Ma non è che le tue siano idee e le mie deiezioni di volatile.
Non sto dicendo che tu l’abbia detto, eh.
un processo ad una manifestazione. E no, o tutto o niente.
non si puo estrapolare il comportamento violento di questo caso dal suo contesto.!Quindi ricordatevi che i ragazzi o le persone presenti alla manifestazione, fanno parte della stessa società che distrugge gli stadi per una partita di calcio, che ha i figli minorenni che girano con il coltello a serramanico in tasca, che ha le figlie minorenni che si spogliano e fanno i p… in cambio di una ricarica telefonica, che dentro e fuori le discoteche il sabato sera i ragazzi si prendono a botte o a coltellate per un’occhiata di troppo, che i tredicenni, la sera tardi, (dove sono le famiglie?) vomitano dietro l’angolo del bar per aver bevuto e fumato spinelli o chissà cos’altro, che la maggior parte di loro non ha più rispetto di se stesso e come fossero ottantenni pensano : come se la speranza e il futuro fossero morti e sepolti.Se volete fare un processo fatelo a tutto il corpo della società minacciato dal cancro e non solo all’unghia scheggiata del suo dito mignolo. lorella
Un punto che francamente trovo assurdo è che, in certi commenti che leggo ed ho letto, si ha della violenza una concezione che sembra far nascere il fenomeno negli anni ’70. Come se fossero l’anno 0 della violenza.
Mi domando: cosa si è studiata a fare antropologia, o psicologia, o letteratura? Oppure: si può essere atei, credenti o agnostici, ma il contenuto morale, allegorico e paradigmatico di Caino e Abele, per dire, non vale nulla? Prima ancora di entrare o meno in un dibattito su violenza sì/ violenza no occorre partire dal presupposto che non può essere rimossa la sua connotazione di fenomeno umano; fenomeno personale prima ancora che sociale. Se non esistessero rabbia, aggressività e violenza noi non saremmo, per esempio, in grado di percepire le umiliazioni o i soprusi: sarebbe carente la soglia di riconoscimento del nostro amor proprio e della nostra dignità. Ma se appena si va, per reazione ad una ingiustizia palese e reiterata (e questa classe politica abbonda di esempi), nella zona ‘rossa’ del nostro umore (più che della città! :D), ci si trova a sbattere contro un preesistente condizionamento sociale, per cui quella zona ‘rossa’ del nostro umore è criminale e criminogena, noi culturalmente ci incamminiamo verso lo psicoreato. Ma allora io ogni volta che mi suonano il clacson perché rallento col giallo al semaforo dovrei in teoria sentirmi un potenziale criminale!
Mi pare si confonda il sentimento (ancora: personale prima ancora che sociale) con la mancanza di limite. Non è così. Il nichilista non ha limite in ciò che crede: da questo punto di vista avere una visione arbitrariamente assolutizzante ed aprioristica è una forma di nichilismo poiché si piega il dato reale a ciò che si crede. È importante che chi protesta non perda né la consapevolezza individuale, perché altrimenti diverrebbe massa, né il senso del limite. Ma il senso del limite è una dialettica continua con la realtà: è un’ansia conformista volerlo tracciare una volta per tutte. La legge non può essere un limite, la legge è una convenzione dell’uomo, tanto è vero che le leggi cambiano, non sono principi assoluti.
Degli anni ’70, in quanto a repressione, violenza e soprattutto in quanto potere come possibilità di esercitare la violenza (che non è solo fisica, naturalmente), penso sia più significativa la lezione di un film come “Salò” di Pasolini, che il prendere certi schemi un po’ troppo figli di semplicistiche analisi marxiste o storiciste, senza rendersi conto che la contestazione oggi, è molto priva del contenuto ideologico di quell’epoca. Non so se sia un bene o un male, ma di sicuro è una caratteristica, e non tenerne conto mi pare falsi praticamente in partenza l’analisi (anni ’70 de che? Io non vedo nuove “lotta continua” o “servire il popolo” o altri movimenti extraparlamentari).
ps:
quanto si scrive male, con questo formato per i commenti! :DDD