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sakineh, la morte e lo show
Se veramente è così, l’unica cosa che riesco a dire è che lo show è una categoria del «gioco» politico che conoscono anche in Iran, benché – trattandosi di un documentario-ricostruzione dell’omicidio – pare che dalle parti di Teheran si sia fermi al modello Vespa, sia pur senza plastico integrato.
Oggi, peraltro, Corriere
«Teheran, Sakineh non è stata liberata
La beffa: “A casa per un programma tv”»
e Stampa quasi sbracano (vedi foto che illustra il post): Sakineh è stata condannata per omicidio (e non solo per adulterio), e comunque la liberazione non c’è stata, ce ne scusiamo con gli interessati e con i lettori, tipo.
Repubblica, invece, prova da par suo a tenere il punto, se non altro per non mandar sprecato tutto quel ben di dio di firme che, da Jovanotti in giù, ha contribuito alla pressione internazionale.
Quel che fa Repubblica è veramente interessante.
In home page il titolo è
«Sakineh, la beffa del regime iraniano
smentito rilascio, IN TV la sua “confessione”
“In questa casa ho ucciso mio marito”».
Repubblica fa slittare, per me significativamente, la faccenda sul politico («beffa del regime iraniano»), accredita provvisoriamente l’idea che di tv ce ne sia sostanzialmente solo una («in tv») e sposta il margine d’incertezza – quello che consente di mantenere ancora valide le 140 mila firme raccolte – sulla «confessione», virgolettata per significare il fatto che sulla sua sincerità molto si dubita.
All’interno, ecco il disvelamento:
La tv è «una». Una fra le tante.
Satelliti e parabole funzionano anche in Iran, mica per il solo fatto che c’è un «regime» c’è un’unica tv.
Ce ne sono tante, e quella che smentisce la liberazione è «una».
Dunque, possiamo continuare a sperare.
La comunità virtuale di simili che si raccoglie intorno a questo genere di militanza può stare serena: niente è ancora deciso, l’inchiostro della firma non è stato disperso al vento; le facce da testimonial serviranno.
Quando pensiamo che una firma salverà il mondo, a volte la politica ci sorprende e ci frega, ricordandoci la sua supremazia; in termini di diplomazia, se le cose – come io mi auguro – vanno bene; in termini di cinismo, realpolitik e – questo mi pare rilevante – di show.
La politica batte le firme anche quando si tratta di show.
Alla faccia non di chi pensa che le firme siano utili, ma alla faccia di Sakineh.
Alla faccia di una donna condannata a morte che noi usiamo come simbolo di quel che ci pare perché abbiam sempre così tanto bisogno di simboli, signora mia.
eh, cara signora…
a me capita di firmare una quantità di appelli, lo faccio perché credo nella solidarietà, nella forza del “pueblo unido”, e comunque è uno dei pochi mezzi che mi restano per essere parte di qualcosa, magari della parte sbagliata, la parte sempre contro; però poi – e questo è strano, riflettendoci – non vado mai a verificare l’esito della petizione, come se fossi pago del solo gesto, a prescindere; come se mi sentissi più parte di una soap o di un cartoon, che di un consesso di esseri umani reali, nel bene e nel male.
dici che è grave? dici che significa che allora hanno vinto “loro”?
Che domanda grande, Camillo.
A me sembra che se la petizione è l’unico modo – uno dei pochissimi, via – per essere parte di qualcosa, allora forse sì, hanno vinto «loro».
Non so chi siano questi «loro», ma so che di sicuro non fanno parte di ciò di cui vorrei (o possa) far parte io.
È questo quello che mi fa sbattere la testa al muro (con esiti gravi sulle mie capacità ragionative, sembrerebbe): siamo su un palcoscenico, l’efficacia dei nostri gesti si misura sul piano della loro visibilità e dell’accreditamento che essi rendono a noi come protagonisti sulla scena.
Eppure, quando lo dici ti senti replicare che sei invidioso, che la visibilità la vorresti tu, che ti dà fastidio che a «dettare la linea» siano i «testimonial», che allora tu che sei tanto bravo cosa faresti, che anche questa è politica – certo: è politica qualunque cosa, accidenti; questo lo sapevamo dagli anni Settanta: ma ci sono livelli e livelli, e una petizione non crea niente, non crea condivisione di contenuti; crea solo estemporanee condivisioni di concetti puntuali – che la vita di Sakineh è importante, che una cosa è lapidare per adulterio e un’altra è impiccare per omicidio…
D’altra parte, Camillo: come si può pretendere che chi gioca la sua partita sulla visibilità, sulla fama, sul protagonismo, accetti che ci sia qualcuno che dica «ehi, sai che secondo me tu stai giocando la tua partita sulla visibilità, sulla fama e sul protagonismo»?
Ti diranno che questo c’è, e di questo loro approfittano, perché le idee che essi hanno andranno pur in qualche modo veicolate, e quindi va bene la tv, van bene i giornali che ci sono, va bene tutto.
Come se l’accettazione dello scenario fosse indifferente.