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«sakineh è libera, la tua paletta ròmpitela in testa»
Sakineh è libera.
Frattini: bella giornata.
Schifani: evviva evviva.
Michela Murgia: «Sakineh è libera!!! Questo è il frutto di una pressione internazionale senza cedimenti durata mesi, alla faccia di chi dice che manifestare, chiedere firme e lanciare appelli non serve a niente. Bellissima notizia!».
Sono molto felice anch’io.
Segnalo poche cose.
Sakineh non era stata condannata alla lapidazione per adulterio, ma anche perché ritenuta complice dell’assassinio del marito.
Naturalmente, la Repubblica non lo dice né nei titoli (questo non lo fa nemmeno il Corriere) né nel pezzo (il Corriere lo fa).
D’altra parte, la linea è che la donna è libera perché Repubblica ha partecipato agli appelli. Tant’è che – memento! – un link sotto al titolo collega a questa notizia «i videoappelli, da Saviano a Jovanotti» e «le 140 mila firme sul nostro sito».
Il che significa esattamente ricompattare le «truppe» di un’ipotetica comunità di persone che si suppone siano simili per il semplice fatto di pensarla in modo analogo su una fettina di mondo piccola a piacere.
Il che significa esattamente costituirsi in «comunità virtuale» di quel tipo assai particolare che non ha mai bisogno di misurarsi sul reale tasso di accordo interno, perché basta una firma in calce a un appello.
È appena il caso che io dica che se la firma produce questi risultati un suo senso ce l’ha.
Ma non è un senso politico.
Con la politica non ha la minima parentela.
Più sotto, comunque, ci torno.
Non vorrei ingenerare equivoci: non ho una gran fiducia nel sistema giudiziario iraniano, e cionondimeno a me pare che essere condannati per concorso in omicidio sia diverso che essere condannati per adulterio.
Siccome coloro che fan fatica a capire son tanti, o perché non ci arrivano o perché amano l’applauso facile, varrà ben la pena che dica anche un’altra cosa: che sono, eccimancherebbealtro, assolutissimamente contraria alla pena di morte.
E siccome in genere quelli che fan fatica a capire, soprattutto se sono della specie che ama l’applauso facile, sono pure cattivelli, preciserò inoltre a scanso di ulteriori possibili fraintendimenti che continuo a preferire, come sempre nella mia vita, un colpevole libero a un innocente in prigione.
Perciò.
Se lei avesse per avventura effettivamente partecipato all’omicidio del marito, o dell’assassino fosse stata complice, sarei ugualmente felicissima del fatto che non è stata condannata a morte, e perfino contenta del fatto che invece che in prigione a scontare una pena ora Sakineh si trovi a casa sua, finalmente fuori dall’incubo.
Ma se lei è stata condannata per concorso nell’omicidio del marito, nessuno può negare che per la giustizia iraniana Sakineh è un’omicida.
Può non piacere; possiamo pensare che i giudici iraniani siano peracottari farciti di ridicoli pregiudizi religiosi. Ma questo è.
Ora.
È evidente che se c’è una possibilità che un appello riesca nel suo intento, una situazione in cui sono in gioco i diritti umani è grazie a dio quella ideale perché la pressione internazionale ottenga un risultato.
Betancourt, altri ostaggi, Sakineh: la mobilitazione internazionale funziona.
È l’idea che l’appello sia ciò in cui si esprime e si risolve la politica ciò in cui io non riesco a credere.
È l’idea di politica che l’appellistica mette al mondo ciò che mi infastidisce: è quel che chiamo «democrazia della paletta».
È la retorica del testimonial che presta il suo augusto volto a una buona causa a irritarmi.
Non perché l’esito dell’appello ne venga inficiato o sminuito, naturalmente.
Ma perché – anche se funziona- l’appello dei signorinigrandifirme è uno show.
Stop.
Non è uno show perché così piace a loro.
Non sto dicendo che i signorinigrandifirme intendano farsi pubblicità: e se non lo dico è per il semplice fatto che non lo penso.
Però resta sempre uno show, sia pure nella migliore accezione del mondo.
Contro lo show non ho niente.
E questo, poi, è un fantastico show, per carità.
A fin di bene, pure; ci mancherebbe altro.
Ma cosa c’entra la politica? Niente.
Nella migliore delle ipotesi, è solidarietà da essere umano a essere umano (e mi va benissimo, caspita; ma non è che sia politica).
Nella più alta delle sue declinazioni, è lavorio diplomatico collettivo, e questo – chiedo scusa – è già assai più simile alla politica.
Ne sia testimonianza, qui, anche la frase di Mina Ahadi, presidente del Comitato internazionale contro la lapidazione: «Decisivo (è stato) l’intervento del presidente del Brasile Inacio Lula da Silva».
Quando, invece, l’appello è una cosa come «presidente non firmi quella legge», entriamo nel campo della presunzione dell’efficacia delle forme di democrazia diretta; come se un presidente non avesse regole a cui attenersi, e come se non esistessero forze politiche in grado di sostenere – per ipotesi – quella stessa posizione («non firmi quella legge») da posizioni di maggior «regolarità» istituzionale.
Dice: ma caspita, bella signorina testa dura che dall’orto minuscolo della sua patetica irrilevanza si diverte a dire che le petizioni non servono a niente, hahaha, lei dove li vede questi partiti a cui noi che da intellettuali guardiamo al mondo dovremmo rivolgerci?
Sì, signora cara che si fa quelle fotine in cui sembra tanto carina e tutta ciccina e curatina invece che zuccona ottusa come si dimostra, diciamo a lei: dove li vede, lei, questi partiti, eh?
Appunto.
Il punto è qui.
Non li vedo (la signora ciccina carina che si fa le fotine in cui sembra tanto carina e invece è ottusa sarei io).
Non ci sono.
E ritengo che chiunque pensi che firmare appellipetizionicartolineletteratestamento sia tutto ciò che ci rimane per far politica stia lavorando su un terreno che con la politica non ha assolutamente nulla a che vedere, anche se contribuisce ad ammazzarla.
Sono daccordo con tutto quel che scrivi. Aggiungerei solo che, per restare sulla politica, lo stesso governo i cui ministri si felicitano per l’esito del caso, è quello che ha come partners privilegiati Russia e Libia, noti esempi di democrazia liberale.
E mi chiedo anche, per una Sakineh libera, quante donne e uomini muoiono ogni giorno sotto i fucili, le scuri, le pistole, le pietre, i cappi di quei regimi coi quali facciamo affari, nell’assoluto silenzio della stampa “civile” e appellofora.
Muoiano, naturalmente. I congiuntivi sono importanti.
Alcune riflessioni:
1. siamo sicuri che la donna liberata sia davvero quella accusata di omicidio? Io no. Frattini nemmeno perché non credo conoscesse Sakineh tanto bene. Un sosia si trova presto. Un figlio lo si minaccia di morte e lo si mette a tacere.
2. la donna accusata di omicidio è libera. Adesso faccio un appello perché ritengo che i mafiosi al 41bis siano in condizioni disumane e quindi ritengo fondamentale per i diritti umani che loro come i talebani tenuti alla Gitmo siano rimessi in libertà. Questo sarebbe accettabile? No, ovviamente. Però dobbiamo rompere le palle all’Iran se condanna a morte una presunta omicida, mentre gli USA ne condannano annualmente sanno solo loro quanti e nessuno dice nulla.
3. gli appelli sono meno che fuffa, meno che un’illusione, se l’Iran avesse davvero ceduto lo avrebbe fatto SOLO ed ESCLUSIVAMENTE per interesse. Illudersi di aver pressato quello scemo cronico del suo presidente tanto da averlo fatto vacillare è ridicolo.
No, non mi sta bene.
Se io firmo un appello per Sakineh o per Assange, questo non significa che io debba ricostruire una verita’ processuale sulla morte del marito o sulla mancanza di un preservativo: significa che io mi ribello ad un sistema giudiziario che io ritengo faccia delle condanne pretestuose: Esprimo solidarieta’ alla persona vittima e sfiducia a quel sistema.
In questo, qualcosa di politico c’e’, anche se condivido che c’e’ molto spettacolo e poca informazione, che forse lo spettacolo puo’ sovrastare l’informazione e la politica, che c’e’ molto di virtuale, per cui forse esultiamo per la notizia della liberazione ma adesso pare che ci sia la notizia e non la liberazione…
Giustissimo denunciare che lo spettacolo e la manipolazione dell’informazione possono stravolgere l’aspetto politico, che tante altre Sakineh moriranno ingiustamente anche se una e’ stata liberata, che quella liberazione (o notizia di liberazione) puo’ dare un aspetto umano ad un regime che soffoca brutalmante il desiderio di partecipazione politica dei giovani iraniani, pero’ dirlo cosi’ non mi sta bene.
Non mi sta bene perche’ ritengo che la firma a quegli appelli sia una forma imperfetta di partecipazione politica, imperfetta ma altamente preferibile alla non firma e all’indifferenza. Non credo che firmare quegli appelli umanitari sia sostitutivo o competitivo di forme migliori di partecipazione politica: il problema e’ che non e’ facile individuarle e praticarle.
Geri
Hai ragione: non è facile.
Ma una firma non è politica. È illusione. Perfino quando, fortunatamente, funziona.
Ma questa è solo la mia opinione.
Grazie per l’articolo, assolutamente chiaro, preciso, come sempre. Condivido quel che dici, e nel condividere, mi rendo conto fra l’altro che di “politico” io non faccio niente. Che è sempre meglio che quando avevo vent’anni e mi sentivo coinvolto solo nel leggere un certo giornale o andare a una qualche manifestazione. Però mi chiedo se questo mi piaccia o meno.
Grazie
è sempre meglio, cioè, riguardo al piano della mia illusione personale di far qualcosa di politico e con ciò pacificarmi la coscienza e inorgoglirmi l’animo adrenalinico ventenne.
Non che legger quel giornale e fare una manifestazione sia male, volevo dire. Però mi rendo conto sempre più spesso – e questa tua serie di articoli è un buon strumento per tenerlo a mente – di quanto le migliori intenzioni siano oggetto di manipolazione. Persino le migliori intenzioni verso me stesso o chi mi sta vicino, mica solo su questi temi. Dà da pensare