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della pioggia e di altri fastidi
Per il testo (in portoghese, inglese e italiano), qui.
Piove. La pioggia non mi piace, ma meno ancora mi piace il cielo quand’è lattiginoso e grigiastro in quel suo modo compatto.
È difficile rimanere in piedi, ben eretti, e conservare la solita espressione sorridente a beneficio del mondo.
Giorno dopo giorno, mi sento come una che scava una buca e riempie una buca scava una buca e riempie una buca scava una buca e riempie una buca.
E anche se ho sviluppato una discreta facoltà di impermeabilizzazione dei sensori, non è una bella sensazione. Fa anche un po’ rabbia.
La cosa più fastidiosa, forse, è sentirsi quotidianamente sfidati a perdere la pazienza, a reagire scompostamente, o anche a levarsi di torno con un gesto teatrale o anche in silenzio.
Il lavoro non nobilita affatto l’uomo, né la donna; ma sfortunatamente non lo fa nemmeno la disoccupazione…
I rapporti di potere nelle redazioni andrebbero analizzati spietatamente, perché son quelli che determinano la qualità della nostra informazione; e di quelli che ci lavorano determinano anche la qualità della vita.
In effetti, buon Natale.
Dopotutto, il sole è dentro, oppure non è.
le feste arrivano a spaccare la linea del lavorar, le nostre ore canoniche e le nostre ore contate (Clementi), perchè lavorare stanca (Pavese) e le citazioni ingombrano, più delle nevi, più delle pioggie. Quindi nell’attimo che tutto di ferma e poi riparte, nel momento specifico e preciso in cui la goccia vede il suolo ed esita una frazione di tendine, prima di spiaccicarsi gioiosa, nella dilatazione delle distanze e nelle vicinanza improvvise, quando l’alito del collega ti sorprende di calore che non sei solita percepire, nei pezzi di parole, turbini di fili e connessioni che saltano di continuo e specchi dappertutto, ecco in questi momenti qui compare l’AUGURIO, in guisa di ponte, di stretta, di carezza, di sguardo che non chiede, di fragranza nel calpestare il ghiaccio, di piiiiiiiicio piiiiiiiicio del pupazzetto di gomma di topolino, che stanotte, al buio, farà il suo dovere d’illusione.
abbracci,
v
Sicuro sicuro che stanotte arriva il pupazzetto che fa piiiiicio piiiiiiicio?
😉
Buon Natale Federica. lorella
chiedo scusa ho inserito un commento-ot nel posto sbagliato; erano auguri, guarda tu se riesci a recuperarli.
@Lorella: grazie, cara. Anche a te.
Un abbraccio.
Non c’è problema, Camillo.
Ricambio i tuoi auguri agrodolci off topic.
Grazie!
è arrivato!è sceso dai pensieri e si è lasciato accarezzare per qualche attimo, che poi è venuto il giorno e c’era da correre di sotto e vedere se qualcosa era rimasto, poi aprire e GIOCARE!
v
Il pupazzettooo???
eh sì…chi altri?
….avvocato G….ho iniziato a chiedermi quante volte mi sono intrattenuto con me stesso, cercando di fare cose a mio discapito e senza rassegnarmi alla realtà….l’ho pure ri-letto, perchè mica mi rassegno ad un’ipotesi (ad una realtà?) realistica…ad uno sbirciare che diventa reale e pasticchine per il sonno e bambini che spariscono. E resistere pure alla tentazione che tò, scopro fortissima, di leggere avv G come metafora delle circonvoluzioni del desiderare, del suo stare in superficie e del buttarsi sotto, del trovarsi nelle parole e poi improvvisamente ammutolirsi (giusto qualche verso…) e tondeggiare di pensieri, anche inutili, oziosi, giravolti, poi improvvisamente lucidi, laminati, densi, pongo a piene mani.
Ma forse se mi accende metaforizzazione, e non sarà che sia una scrittura fortemente metaforica, tendente alla densità dei gesti e delle descrizioni, potente, insomma, come alcuni paesaggi, edifici umani, sorrisi, corpi….
vedremo….
v
V., ma uffa.
Me lo spieghi megliooo?
va bene, sto piano: avv G, il nuovo libro di Federica Sgaggio (che subliminalmente ci comunica il suo desiderio di Irlanda trasformandolo nel racconto del desiderio/dei desideri di un irlandese…mezzo irlandese…ma del resto il suo desiderio, di Federica intendo, è comunque quello di una equa ripartizione territorial-affettiva…) è un libro che si pone su diversi piani di realtà. Sottile, piccolo, tende a sparire nelle librerie e sui comodini (a me ad esempio è sparito sotto Dolores Prato, suggerendomi possibili parentele, tutte da esplorare in questi giorni di vacanza…), bordato di rosso e quasi sempre sfuocato. La storia non è lineare, ti fa saltellare e, diciamocelo, il testo può essere letto anche all’indietro, invertendo la successione dei capitoli. E funziona. Perchè non si regge sulla conseguenzialità. Quindi scartiamo l’ipotesi nerrativa tradizionale, evitiamo la trappola del ‘colpo si scena’ e dello stupore, che ci fa chiudere il libro e tac, finita lì. No. Prendiamo un altro livello: e che sia una ben costruita metafora del processo del desiderare?…no, non una metafora, proprio una rappresentazione, una delle tante possibili, ma una delle più efficaci. Nel senso che ti rimane dentro e ti gira nei pensieri. I personaggi non mostrano intelligenza, diotiringrazi, ma nemmeno furore carnale. Si muovono tra presente e passato e futuro, nella cura minuziosa dei minuscoli passaggi da uno stato di esistenza all’altro, nella piccolezza dei camper e del tradimento, dell’illusione dell’amore e del lavoro, che sfuma via (apparentemente), costringendo comunque i corpi. Questo livello ci soddisfa di più, lo percepiamo inevitabilmente come una tentazione (ma devi sempre interpretare tutto!?!), che però Sgaggio ci attenua, proprio perchè non ricorre a nessuna scorciatoia psicologistica. E di questo, noi la ringraziamo.
Inutile dire che alcuni frammenti si sono pure stagliati come lame nitide nella memoria personale, sezionandone scacchetti molli da offrire a brevi rituali di rimpianto.
(come sono andato?)
v
Uau.
Niente scorciatoie psicologistiche…
Cura minuziosa dei minuscoli passaggi da uno stato di esistenza all’altro…
Tentazione…
Lame nitide nella memoria e brevi rituali di rimpianto…
Equa ripartizione territorial-affettiva…
Sei andato una scheggia, Vittoriooo!!!