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sua eccellenza
Ma a parte la patetica definizione di «nuovo Risorgimento» (il titolo dell’assemblea è «Risorgimenti»), avete sentito la lancinante insignificanza delle cose che si stanno dicendo in questa cosa che si chiama «Rena» (rete per l’eccellenza nazionale)?
«Quattro valori».
«Apertura».
«Responsabilità».
«Trasparenza».
«Equilibrio».
«Sono i valori che permettono di ancorare il Paese con il meglio del resto del mondo».
«Il Paese introverso».
«Vogliamo mettere insieme le persone che stanno facendo le loro battaglie nelle loro “parrocchie”».
Bill Emmott si confronta con Alessandro Profumo (l’eccellenza, eh), John Elkann (l’eccellenza, eh)…
Nelle seconda parte, il confronto tra Emmott e i governatori di Piemonte e Puglia Roberto Cota e Nichi Vendola.
L’eccellenza.
«Vogliamo far emergere la buona Italia».
Mi fa paura, tremendamente paura, questa capacità di semplificare fingendo di tenere in conto la complessità.
Chi decide cos’è «buono»?
Domanda sciocca, stupida: noi buoni, noi che crediamo ai Risorgimenti.
Noi che ci chiamiamo «arenauti» e domattina incontreremo duecento studenti per spiegare loro la nostra strategia. Nel pomeriggio incontreremo un coach e guarderemo dentro noi stessi.
Mio dio. Ommioddio.
«Ringrazio Fiat, il nostro sponsor principale, e tutti gli altri partner che hanno deciso di…».
Già questa piccola segnalazione mi ha dato un urto di nausea; poi sono andato a vedere il sito e subito mi ha interessato (motivi professionali, sono un insegnante) l'”iniziativa di mentoring nelle scuole torinesi” che offre “la possibilità di dedicare una giornata di lezioni all’ascolto e al confronto, attraverso la condivisione delle storie di carattere professionale e personale presentate come percorsi di vita”. No, grazie, questi dimenticano un punto essenziale: se voglio un mentore sono io a scegliermelo, non lui a proporsi…
Giuliano, se hai ragione.
Il dramma è che questi han deciso che loro possono far da mentore, da avanguardia, da eccellenza.
Per carità: le loro storie saranno fantastiche, splendide.
Ma che razza di idea di mondo è?
Che cos’è l’«eccellenza»?
In questo quadro come lo collochiamo il fallimento esistenziale, per esempio?
E il racconto del fallimento esistenziale?
E cos’è il «successo»?
Sono così stanca di questa gente che finge di assumere la complessità e in realtà banalizza, restringe, chiude il perimetro del mondo intorno alla propria esperienza.
L’Italia è un relitto. Non ha nulla di buono, salvo le persone che non seguono più questo sistema e nel loro piccolo cercano di costruire qualcosa di buono sapendo che dall’alto non c’è da aspettarsi nulla di buono, se non rovina e prese in giro.
Cara Federica,
le eccellenze, come le hai definite tu, intervenute a Torino, erano li’ perche’ direttamente o indirettamente coinvolte con il libro “Forza, Italia” di Bill Emmott e presentato appunto in quell’occasione. RENA ha aiutato Emmott nel suo viaggio attraverso l’Italia. Peccato non ti sia piaciuto lo spirito ed i contenuti del convegno, ma sono certo che il libro di Emmott ti piacera’. Leggilo, te lo suggerisco.
Solo una preghiera: nella scritta RENA (rete per l’eccellenza nazionale) sottolinea in grassetto la parola PER e non la parola eccellenza. Questo piccolo dettaglio aiuta ad interpretare meglio il movente dell’associazione.
Un saluto e speriamo di fare sempre meglio.
Vincenzo
Grazie, Vincenzo.
Il fatto è che a me la parola eccellenza – usata ideologicamente, ma anche se usata in senso, come posso dire, feudale – fa venire una sorta di allergia.
Credo che l’approccio di Rena sia semplicistico, irragionevolmente ottimista, autoincensatorio; non metto in discussione la sincerità delle intenzioni, ma è proprio un’idea di mondo diversa, la mia.
Usiamo le parole in un modo diverso.
Le stesse cose significano cose differenti; si radicano in percorsi di senso diversi.
Naturalmente parlando potremmo essere d’accordo su moltissime cose: ma sono le nuvole di senso su cui le nostre parole e la nostra idea di mondo stanno sedute ad essere molto lontane.
Grazie ancora del commento, Vincenzo.
È un piacere.
Vincenzo, aggiungo solo una cosa che avevo dimenticato.
Anzi: due.
La prima è che «eccellenze» è una parola inclusa nell’acronimo di Rena. Non sono io ad averle definite così. A meno che – ma lo escludo – tu non intendessi dire che all’assemblea di Rena avete invitato persone che sono tutt’altro che «eccellenti», di modo che nel dialogo fra «eccellenti» in pectore e «meno eccellenti» in pectore potesse nascere un nuovo concetto di «eccellenza».
La seconda è che – perdonami se ti sembro ruvida, ma mi sembra di avere il dovere di dirlo – qui, nel mio blog, dove sottolineo ciò che a me sembra importante, io preferisco «grassettare» la parola «eccellenze» piuttosto che la preposizione «per».
Capisco la differenza fra «di» e «per».
Ciò non toglie che Rena crede nella possibile esistenza univoca della definizione di «eccellenza» e decide di costruire un percorso in cui l’«eccellenza» viene certificata da parametri che io metto in discussione.
Non importa che pensiate che la rete sia in vista dell’eccellenza e non già ora in se stessa «eccellente».
Il fatto è che voi credete al senso della definizione di «eccellenza», e pensate che essa, univocamente declinata secondo le coordinate di un mondo che erige a valore supremo la competizione fra esseri umani, abbia un valore sociale o – peggio ancora – politico.
Io no.
Federica,
il piacere e’ anche mio, ed il solo fatto che tu sia appassionata al tema, come mi sembra, lo trovo stimolante.
In Italia siamo abituati a dare dell’ “eccellenza” ad una persona fisica, dunque l’equivoco mi pare piu’ che legittimo. Cosi’ come siamo anche abituati ai privilegi che danno origine a strutture sociali clientelari e di vassallaggio. Siamo abituati a strillare di politica ed in politica come negli stadi. Siamo abituati a vedere con sospetto l’intenzione di portare avanti o, peggio, sostenere apertamente, le buone prassi quelle prassi, cioe’, che spesso non hanno un tornaconto personale diretto.
L’eccellenza di cui parla RENA, tuttavia, non e’ rivolta al personale. RENA esprime la volonta’ di individuare e promuovere le buone prassi -eccellenti, appunto- che siamo in grado di mettere a valore e capitalizzare nel nostro Paese, anche importandole da fuori. Se lo vogliamo e se ci sappiamo volere bene un po’ di piu’. Non e’ un’ associazione politica, tutt’altro, e non si riconosce in una corrente di partito: vuole invece stimolare il dibattito pubblico su temi che siano positivi e qualificanti per il nostro Paese.
Per il resto, questo e’ il tuo blog, il tuo spazio e custodisce il tuo pensiero. Lo rispetto e sono lieto che tu sia e ti senta libera di interpretare i propositi di RENA come meglio creda.
V.
Non ho equivocato sui propositi di Rena, Vincenzo.
Rena vuol mettere insieme gente per puntare alle eccellenze.
È che le «buone prassi» vanno definite; hanno una matrice ideologica (in senso stretto), non sono né neutre né tecniche.
Son buone per chi?
Per tutti?
Ma come si può anche solo pensare che esista un «buono per tutti»?
Non c’è un «buono per tutti»; c’è un processo politico che conduce a mediare e a concluderne cose perfettibili, come fu – per fare un esempio – nel caso delle leggi sul divorzio e sull’aborto.
Né l’una né l’altra erano «buone per tutti».
E cosa vuol dire – scusami – «capitalizzare»? «Mettere a valore»?
Non sono abituata a vedere con sospetto le «buone prassi» perché immagini che ci sia alcunché di losco. Sono sicura, completamente, che non c’è un interesse personale nella tua e nella vostra convinzione.
Ma è proprio il linguaggio, l’economicismo, la quantificazione dell’inquantificabile, la qualificazione quantitativa (se posso permettermi), la riduzione della vita a un ring – magari anche benevolo, boh – in cui ci sono le «buone prassi» e le «cattive prassi», le cose da «mettere a valore» e «capitalizzare» «importandole anche da fuori».
Cosa vuol dire «stimolare il dibattito su temi che siano positivi per il nostro Paese»?
Il male è il dibattito su temi «negativi»?
E quali sono?
Chi decide la positività e la negatività dei temi?
Come ti dicevo prima, è proprio il senso che diamo alle parole a rendere distanti i nostri microcosmi.
Federica,
Faccio parte di RENA e trovo che tu stia travisando quanto di buon ci possa essere in un’iniziativa che è apolitica, aperta al contributo di tutti e, scusa se è poco, volontaria.
Trovo che tu abbia interpretato a modo tuo tante parole e termini dando definizioni chiaramente personali, che io accetto, seppur non condividendole.
Ciò che non accetto, invece, è di essere trascinato in un ring (il tuo blog) al quale non solo non appartengo ma nel quale non ho neppure voglia di combattere. Criticando senza neppure aver conosciuto di persona chi fa parte dell’associazione e senza aver mai visto cosa facciamo nel concreto è inaccettabile per chi come te si definisce giornalista e che mi aspetto vada a verificare quanto scrive. Critichi tanto le definizioni manichee di buono e cattivo, ma non mi sembra che nel caso di RENA tu abbia applicato categorie analitiche diverse.
Un esempio: nelle scuole – non me ne voglia il nostro lettore insegnante – non andiamo con presunzioni da supereroi(chi ha mai parlato di “avanguardia”? ancora una volta si tratta di categorie che ci affibbiate d’ufficio) ma con l’umiltà di chi 15 anni fa non ha avuto la fortuna di avere qualcuno che venisse a raccontare le proprie difficoltà e come ha cercato di superarle. Ancora, non affibbiamo a nessuno un mentore. Andiamo a raccontare cosa abbiamo fatto ma soprattutto “come” e poi lasciamo che – se lo vogliono – siano gli studenti a contattarci nei mesi seguenti.
E’ vero, può sembrare una banalità, ma ti invito a scriverci e venire con noi in una scuola di Verona, vedere cosa facciamo e spero conoscerci.
Fabio Oliva
Fabio, benvenuto.
Può essere che le categorie interpretative che ho utilizzato io non ti piacciano, e per ottimi motivi, anche.
Non credo, però, che si possa criticare solo chi si conosce di persona, né penso che tu o chiunque altro si possa permettere il lusso di giudicare la mia competenza professionale leggendo un post di un blog. La mia competenza professionale non si discute qui.
Non si combatte, qui.
Si esprimono idee, e pazienza se sono diverse.
Dici che «vi affibbiamo» d’ufficio catalogazioni. Io sono una sola persona, Fabio; non appartengo a un consesso plurale. Per giunta, sono pure ampiamente minoritaria – sebbene non per vocazione – al contrario delle tesi di Rena, su cui si esercita il consenso di larga parte dell’intellighentia televisiva e non.
Tutto quel che dicevo è che abbiamo proprio modi diversi d’intendere il mondo, evidenti nelle parole che usiamo.
Grazie di essere passato per di qua.
Grazie per l’ospitalità.
Avere modi di intendere diversi mi va benissimo, ma gradirei che le tue opinioni divergenti fossero supportate da fatti (vedi commento su intellighentia…dov’ tutta questa visibilità dei media? se così fosse non ti starei scrivendo). “Purtroppo” (chiaramente per fortuna) il web è libero. Ciò significa tuttavia che i contenuti postati su un blog, per quanto – come tu affermi – di espressione di una voce minoritaria, sono pubblici e in quanto autrice di opinioni visibili al pubblico credo tu sia chiamata a rispondere ai tuoi lettori se loro chiedono chiarimenti. Puoi sempre continuare a dire che qui non si discute di te ma è troppo comodo. Se non è messa in discussione la tua professionalità perché è possibile mettere in discussione quelle di RENA?
Fabio Oliva
Perché questo è un blog e non un giornale: è singolare che la differenza non ti sia chiara.
Sul mio blog io non faccio la giornalista, ma la cittadina che ha da dire delle cose.
Mi espongo con la mia faccia e con il mio nome e cognome. Francamente, non riesco a immaginare – nemmeno in tempi in cui il tema della responsabilità raggiunge apici inarrivati di inutilità retorica – cos’altro potrei fare di più per assumere la responsabilità di ciò che scrivo.
Rena è un soggetto pubblico. Io no.
Non sono nemmeno, come leggo, «autrice di opinioni», perché le opinioni si pensano. Nessuno è «autore» di opinioni.
Forse a Rena. Non so.
Ma che signficato ha al sostantivo «professionalità»? Io non ho mai messo in discussione le «professionalità» di Rena.
Esiste il mestiere di Renista?
Non ho detto che non si discute, qui: ho detto che qui non si mette in discussione la mia professionalità; è diverso. Anche qui: è così singolare che non lo comprenda.
Altre due cose.
Bill Emmott va dalla Dandini e parla di Rena.
Se a te questo sembra che Rena sia ostracizzata dal complotto dei media…
L’ultima.
La cosa bella, ma proprio bella, di un blog, è che esso è assimilabile alla casa di chi scrive. È pubblica nella misura in cui il proprietario, per così dire, decide che essa sia. Ospita le persone che il padrone di casa ha piacere che vengano ospitate. Parla di ciò di cui il padrone di casa ha voglia di parlare.
Perciò, in questa piccola piccola porzione di web non c’è questione di par condicio: per dirla sgarbatamente, comando io.
Tutto questo per spiegarti che non ti risponderò più.
A casa mia comando io, e se parlo delle persone lo faccio senza altoparlanti rivolti verso l’esterno. Un blog è pubblico perché vi si può accedere liberamente senza dover bussare alla porta. Altrimenti scriveresti lettere o post da salvare sul tuo disco fisso per leggerli quando vuoi. Mi spiace ma si tratta di una differenza sostanziale, che tu lo voglia ammettere o meno. Pace.