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panebianco: il sud salvato da miccichè
Per avere un’idea dell’apparente pluralità di argomenti di cui si nutre l’antimeridionalismo, ma anche per coltivare il vezzo dell’autolesionismo, consiglio di dare una scorsa al Panebianco che c’è sul Corriere di oggi, sotto il titolo significativo – e così finemente provocatorio da darmi piccoli brividi di piacere prima ancora di averlo letto – «L’altra secessione», occhiello tematico «il sud contro il nord» (sottotesto: «Mentecatti»).
Si comincia con l’analisi di sistema.
Possiamo pensare alla politica come a una torta a due strati: c’è uno strato superficiale e uno sottostante.
Una torta a due strati.
Lo strato superficiale è quello della politica politicienne su cui si concentra l’attenzione dei media: crisi di governo? Elezioni? Governi tecnici? Nuove sorprese sul piano giudiziario? Nuovi gossip?
Non sono sicura che l’attenzione dei media si concentri su ciò che Panebianco chiama «politica politicienne»; altrimenti non saprei spiegarmi l’abbondanza di pezzi che, apparentemente dicendo altro, costantemente rappresentano la realtà del sud come un universo degradato, inefficiente, improduttivo, povero, lamentoso, impreparato.
Inferiore, direi.
E strano mi pare pure che alla categoria della «politica politicienne» vengano annessi Panebianco legis anche i «nuovi gossip»; ma potrebbe trattarsi di ironia.
Poi c’è lo strato sottostante che sta in profondità (…). Appartiene allo strato profondo la divisione Nord/Sud.
Va bene.
A me interesserebbe sapere se si tratta di una divisione che sta in profondità in quanto storicamente legittimata da stratificazioni secolari, o invece in quanto espressione della ricerca del «nemico» e in ultima analisi di una pulsione genericamente razzista.
Ma Panebianco glissa.
Sono certa che starebbe in profondità – per dirla con le sue parole – anche la divisione bianchi-neri negli Stati Uniti.
Là, però, sarebbe – oso immaginare – una questione razzista.
Qui è altro.
In questi anni siamo stati soprattutto colpiti dal fenomeno più appariscente: il vento del Nord, il leghismo, con il suo secessionismo culturale e, potenzialmente, politico.
Non abbiamo prestato abbastanza attenzione al fenomeno opposto e simmetrico, ma più silenzioso, meno visibile: il secessionismo culturale del Sud.
La voglia di bruciare il tricolore non appartiene solo ai più esagitati fra i leghisti: anche dal Sud vengono lanciati cerini accesi.
I leghisti saranno anche esagitati, insomma.
Ma altrettanto esagitati – e perfino più furbini, perché silenziosi e sottotraccia – sono i meridionali.
Uno a uno e palla al centro.
A causa dell’esasperazione della divisione Nord/Sud degli ultimi vent’anni, l’antica leggenda nera (la rappresentazione del Risorgimento come uno stupro di gruppo ai danni del Mezzogiorno da parte di un Nord violento e rapace) viene ora riproposta con forza dagli appartenenti alle classi colte meridionali.
Apprezzo il ritorno di una categoria interpretativa classista; mi domando solamente perché il problema, al nord, si ponga esclusivamente in termini di provenienza geografico-territoriale, e mai in termini classisti: forse che al nord le classi colte non esistono, per il semplice fatto che l’appartenenza territoriale ha esaurito ogni possibile differenza di status o di classe?
E se questo fosse vero, non significherebbe forse – mi domando – che i titolari dell’azione politica e culturale sono coloro che non hanno più nemmeno il bisogno politico di dividersi in classi, perché si sentono un organismo unico, con ciò implicitamente dichiarandosi dominanti?
E se dovessimo ammettere che essi sono dominanti, come potremmo definirlo, il loro antimeridionalismo, se non nei termini di un’«aggressione»?
Non sto dicendo che al sud facciano bene a bruciare la bandiera.
Dico che confondere chi attacca e chi difende – sbagliando gli uni e sbagliando gli altri: che importa, a questo punto? – è scorretto.
È parlare in qualità di esponenti dello strato basso della torta.
Perché questa forma di secessionismo culturale danneggia il Sud (…)?
Perché giustifica e perpetua l’irresponsabilità delle classi dirigenti meridionali e garantisce in questo modo l’impossibilità di una svolta.
Sembra che ci sia una sorta di «blocco sociale» composto da classi dirigenti che, spesso, hanno assai male amministrato e di classi colte che tengono loro bordone mal consigliando e mal giustificando.
Qui ci sono quattro cose.
La prima è che Panebianco sta parlando a beneficio del sud. Lui vuole bene al sud e spiega alle classi dirigenti del sud qual è la retta via.
La seconda è che è il sud a impedire la svolta.
Quale svolta non lo dice, ma – si sa – la svolta è un bene in sé stessa; non c’è bisogno di spiegare.
La terza è che le «classi dirigenti meridionali» sono:
1. «irresponsabili»; e
2. «incapaci di amministrare».
La quarta è che le «classi colte» del sud sono loro complici perché le «mal consigliano» e le «mal gustificano».
La quinta cosa, non detta, è che al nord, invece, è tutto ok.
E attenzione a quel che viene adesso.
Il sud ha i cerini, la monnezza, le classi dirigenti incapaci e le classi colte diabolicamente deviate.
Però c’è anche qualche isola felice, secondo i criteri mai abbastanza spiegati dell’efficienza meritocratica.
(…) il Sud (come il Nord) non è un blocco territoriale omogeneo: esiste anche un Sud produttivo e ben governato.
Ad alimentare il nostro cauto ottimismo, poi, ecco che s’affaccia una nuova, felice speranza di riscatto economicistico-moralista (difficile dire di quale strato della torta si stia a questo punto parlando)…
Certo: bisognerà vedere se a questo nuovo Salvatore verrà consentito di lavorare o se le forze oscure della conservazione gli si opporanno riducendolo all’inazione.
Inoltre, anche in politica non tutto è sempre scontato: ad esempio, Gianfranco Micciché, tenendo a battesimo la sua costituenda Forza del Sud, ne ha parlato come di un movimento politico che deve spingere il Mezzogiorno a ritrovare il suo orgoglio, mettere al bando ogni sterile lamentela, impegnarsi per creare sviluppo e benessere. Si tratterà di vedere se alle intenzioni corrisponderanno i fatti e se le resistenze di quella consistente parte del Sud che non ne vuol sapere potranno essere superate.
Cioè, in sintesi.
Il sud perbene deve stare con Miccichè. Altrimenti vuol dire che è un sud «che non ne vuol sapere», è «irresponsabile», «incapace di amministrare».
Non importa il progetto politico di Miccichè, insomma.
Importa che egli non si vuole «sterilmente lamentare».
Mi domando se Panebianco abbia letto le incessanti lamentazioni nordiste di questi ultimi tempi.
Se – non so – abbia letto le lamentele (forse non sterili, immagino) di chi sostiene che dell’alluvione nel Veneto non si sia parlato abbastanza in tv perché in tv c’è sempre e solo il sud.
E comunque, occhio: «Si tratterà di vedere se alle intenzioni corrisponderanno i fatti».
Tutti i poteri vorrebbero giullari come questi. Quanto sono tranquillizzanti e sottili quelli del Corriere. Quant’è efficace il loro equilibrismo del “ma anche”. Quanto sono utili. Ma anche no. Panebianco e Ostellino hanno fatto all’opinione pubblica italiana ciò che il Pd ha fatto alla sinistra.
Secondo me è ingiusto che dimentichiamo gli altri che, proprio come loro, si sono incaricati del lavoro più duro…
😉