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non è la rai
Stasera ho scritto a un «buen retiro» per scrittori, una residenza dove le persone che vogliono concentrarsi su un loro progetto di scrittura (ma in realtà sono case aperte anche ad artisti visuali) possono risiedere per un periodo – lungo o breve – in compagnia con altre persone che scrivono o praticano altre forme artistico-espressive.
In genere, almeno un pasto è d’uso che sia consumato tutti insieme, a parlare dei progetti.
Per il resto del tempo, sei tu con te.
L’indirizzo e-mail l’avevo ricavato da internet, dove avevo trovato notizie anche di un altro luogo che mi tenta molto: una grande casa che il proprietario, insieme a cinque villettine, ha voluto lasciare nel suo testamento agli artisti, per «metterli in grado di svolgere il loro lavoro creativo». A questa grande casa scriverò nei prossimi giorni.
Bene.
Dal «buen retiro», nemmeno un’ora dopo, m’è arrivata una mail di risposta gentile, completa e dettagliata.
Non un formulario standard.
Non riuscivo a crederci.
Ho rimandato una mail per ringraziare, spiegare il mio progetto un pochino meglio e dire che mi sarei fatta viva al più presto.
Il tempo di cliccare «invia», e Gmail mi ha segnalato l’arrivo di una nuova mail.
«Di nuovo ciao, Federica, grazie per l’aggiornamento. Spero di avere presto notizie in più sulla possibilità che tu venga a stare per un pochino da noi. Nel frattempo ti mando i miei migliori saluti».
Il tutto, in meno di un’ora e mezzo.
Naturalmente, il «buen retiro» non è in Italia.
È in Irlanda.
Non mi dispiacerebbe ritirarmi in tale luogo.
io invece oggi ho una buona esperienza italiana: sono andato a fare il passaporto per mia figlia al consolato di Londra e ce lo hanno consegnato in un’ora d’orologio (incluso il tempo di sbagliare la registrazione e sostanzialmente rifare il documento). Il pasaporto USA ci ha messo piu’ di una settimana dalla visita all’ambasciata (che non e’ male, ma non e’ un’ora d’orologio).
Che bella notizia, Cesare.
Gians, neanche a me; neanche a me…
mmm… Gran posto per un “visiting writer”, direi. Una stanza con la moquette spessa e la mattina il profumo di bacon. La scrivania piccola come un secretaire davanti al bow-window, la finestra che guarda una brughiera con sette toni di verde e in fondo l’oceano un po’ grigio e un po’ blu, come noi. La sera (alle sei!) via al pub a mangiare di corsa montone e patate prima che attacchino a cantare The fields of Athenry e Whiskey in the jar con i piedi che non riescono a stare fermi. E dopo l’ultima Harp, tornare a casa fischiettando There’s a tear in my beer. Ireland forever, anzi, Éirinn go Brách!
😉