l’indecente bisogno della favola a lieto fine

Che bella storia, quella che si legge qua.

Se fosse successo in Olanda dove bambini così piccoli non vengono rianimati Angelica non sarebbe nata.
E non avrebbe provato la dolce sensazione di essere riportata a casa sana e salva questa settimana in braccio alla mamma Monica, dopo oltre cinque mesi di ospedale e cure speciali. È stata partorita quando aveva appena 22 settimane e 6 giorni. Minuscolo esserino.

Dunque.
Viva grazie alle scelte dei medici.
Sembra la storia di un successo, di un trionfo.
Andiamo avanti.

Secondo lo studio inglese Epicure appena l’1% dei super prematuri alla ventiduesima settimana non muoiono, riportando però severe complicanze neurologiche. Lei no. Lei non solo ce l’ha fatta ma lascerà i medici dell’unità di terapia intensiva neonatale diretta dal professor Mario De Curtis, al Policlinico Umberto I, come uno dei tanti bebè cosiddetti «a termine».

Lo studio inglese Epicure: spira autorevolezza da ogni lettera, vero?
Dice che solo l’un per cento dei superprematuri resta vivo, ma con «severe complicanze neurologiche» (sembra di capire questo, ma in effetti il passaggio è un po’ petroso).
Ma lei no.
Lei ce l’ha fatta, e lascerà il reparto diretto da Tal dei Tali (il professor Tal dei Tali, naturalmente) «come uno dei tanti bebè a termine».

Un trionfo.
Confermo.

Ma attenzione.
Il diavolo si nasconde nei dettagli.

Per il momento Angelica non presenta danni evidenti.
(…)
«Non sono presenti alterazioni neurologiche diagnosticabili con risonanza magnetica.
Ma solo i controlli a distanza potranno escludere sorprese – è cauto De Curtis – Parliamo di bambini ad altissimo rischio di handicap.
Tutto però fa ben sperare anche se dobbiamo ricordare che sotto le 24 settimane di gestazione oltre la metà dei nati patiscono gravissime disabilità».

Accidenti.
La situazione è un po’ diversa, allora.
Altro che positivismo scientista.
Altro che «dolcissima sensazione» del ritorno a casa.
Qui è ancora tutto da vedere.
Qui è ancora possibile la tragedia.
Qui, anche se la giornalista ama le nuances del rosa, può ancora succedere di tutto.

E invece no.
Alla giornalista – che lo scrive dalla home page del Corriere della Sera – piace dire che questa è

una storia di buona sanità. Una delle tante di cui non si parla.

Dunque, lei non ne sta parlando.
Sono io che sto leggendo un pezzo finto; se lo sta inventando la mia immaginazione.
Sono io che sto immaginando che lei, la giornalista, stia facendo un panegirico dei medici anche a spese della madre – straniera – di Angelica, che si chiama Monica.

Monica avrebbe voluto rinunciare a darle una possibilità di salvarsi per paura che Angelica crescesse con danni tali da procurarle grande sofferenza.

Quanti verbi, eh.
Avrebbe.
Voluto.
Rinunciare.
(A).
Darle.
(Una).
(Possibilità).
(Di).
Salvarsi.

Se fosse stato per la madre, insomma, Angelica poteva pure morire.
Che donna snaturata.
Per fortuna che ci sono i medici.

Ma i medici l’hanno convinta a tentare con la promessa che, se la piccola avesse mostrato dei problemi clinici gravi, non avrebbero insistito con le cure di rianimazione.

E «Angelica», scrive ancora la giornalista, «invece, ha resistito».
Sì.
Ma non era stato il medico in persona a dire che Angelica ha almeno il 50 per cento di possibilità di restare gravemente handicappata?
O sono sempre io che mi sto sognando un pezzo su una storia di «buona sanità», «una delle tante di cui non si parla» nemmeno sulla home page del Corriere?

Niente.
Lei ha deciso che questa, nonostante tutto, è «una favola a lieto fine»
Le pareti dei suoi pezzi sono rivestite di ovatta; tutto è sereno, pacifico, ragionevole, amichevole, scientifico.

In Olanda, Svizzera e Spagna (…) di fronte a eventi come quello del Policlinico romano ci si limita a cure palliative, dunque i bimbi di 22 settimane non vengono tenuti in vita.
In Canada e Germania invece la rianimazione viene eseguita solo su richiesta dei genitori.
In Italia su questo tema sono stati aperti confronti biologici.

Cosa sono i «confronti biologici»?
Farcelo sapere non è importante.

(In Italia) prevale la linea di applicare l’assistenza intensiva a tutti i neonati e di desistere, senza accanirsi, quando si prende atto che hanno gravi danni.

Adesso.
Io non voglio essere sgradevole.
Ma non avevamo appena saputo che dei «gravi danni» può accadere che si possa «prendere atto» solamente molto e molto tempo dopo la nascita e il ritorno a casa delle piccole Angeliche?
Ho capito male io, che mi sto inventando un pezzo che nessuno ha scritto perché della «buona sanità» nessuno scrive mai, men che mai il Corriere della Sera?

Ma quanto bisogno hanno, certe persone, di dipingere le pareti di colori pastello a spese degli altri?
A spese della vita reale degli altri?
Delle sofferenze degli altri? Delle loro angosce?
Quanto rassicuranti vogliono essere, alcune persone?
Quanto bisogno hanno di tener tranquillo il mondo?

La giornalista di questo pezzo è la stessa che scrisse i due pezzi sui trapianti vietati, in Veneto, ai disabili, difendendo, ovviamente, la Regione a dispetto di tutti i documenti che la Regione aveva sottoscritto.
Se ne trova traccia qui.