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lo show-business visto di profilo
Ho ascoltato l’intervista che un giornalista di Radio Capital ha fatto a Roberto Saviano (qui) in relazione al programma televisivo che – già «calendarizzato» per la messa in onda di qui a tre settimane – la Rai sembrava volesse mettere in forse (vedi qui), mentre invece ora parrebbe (vedi qui e qui) che a dir di no sia Roberto Saviano in persona, perché – dice – non c’è la serenità necessaria a lavorare.
in ginocchio
La prima cosa che mi è venuta in mente guardando i venti minuti di video è una cosa (apparentemente) secondaria: questa è un’intervista in ginocchio.
Su questo punto non c’è la benché minima possibilità di equivoco o di fraintendimento: nessuna domanda risente anche solo in parte di una distanza critica dell’intervistatore dall’intervistato.
L’intervistatore dice che questo è un esempio di come «in questo Paese sia impossibile fare le cose belle»; parla di «macchina del fango»; sottolinea con risatine compiaciute.
il pantheon
La sua piaggeria è veramente imbarazzante.
Solo che nessuno lo rileva perché ci sono personaggi verso i quali ogni distanza critica sarebbe giudicata grave, e anche perché la comunità fittizia di Repubblica ha il suo pantheon proprio come quelle del Giornale o di Libero.
La differenza non sta di sicuro nel fatto che il trattamento giornalistico riservato ai santi delle tre (o due?) diverse chiese sia difforme, ma nel fatto che a noi quei santi là non piacciono.
lo show
La seconda cosa è che – anche se Saviano sostiene nell’intervista di essere «uno scrittore» – ciò di cui in quel dialogo si sta parlando è in realtà un puro e semplice show.
Ripetutamente, egli parla di «pubblico» (anzi: di «grande pubblico»); ripetutamente, di «share».
Dice che la trasmissione poteva essere «l’alternativa al Grande fratello».
Parla di «contratti per gli ospiti».
Dice che era già stata venduta la pubblicità.
1.100 euro al mese
La terza cosa è questa: Saviano dice che tutti gli ospiti sarebbero stati/sono disponibili a partecipare anche senza essere pagati, e che dunque la diffusione dei loro teorici compensi è stata, oltre che «una balla», un’operazione volgare con la quale la Rai mirava a produrre l’indignazione di coloro che vivono con mille-mille e cento euro al mese contro «questi intellettuali».
un argomento specioso
Bene.
L’argomento ha un suo fascino, ma è secondo me specioso.
Se infatti un compenso era previsto, il fatto che gli ospiti decidano di rinunciarvi rende ragione della loro qualità morale, ma non del fatto che quei compensi fossero compatibili con lo stipendio di chi prende mille-mille e cento euro al mese.
La loro rinuncia non fornisce spiegazione al fatto che la paga considerata «normale» per loro sia di entità incommensurabile con la paga di un lavoratore salariato o di un precario.
E vorrei precisare che qui il moralismo non lo sto facendo io.
trasparenti? meglio se con vespa
Quarta cosa: Saviano sostiene che diffondendo l’entità dei teorici compensi degli ospiti, la Rai fa il gioco della concorrenza.
Può anche darsi.
Però io vorrei sapere perché la Rai è a volte servizio pubblico ed è dunque tenuta alla trasparenza – tanto che a molti osservatori (non dico a Saviano; su questo io non so come la pensi, ma so come la pensano alcuni dei suoi fan, delle cui idee certamente non attribuisco responsabilità allo scrittore) pare sacrosanto sapere quanto viene pagato Vespa – e a volte è azienda privata che diffondendo l’ammontare dei compensi dei suoi «artisti»/«ospiti» avvantaggia la concorrenza.
salario è libertà
Sostiene poi Saviano (incidentalmente ma non troppo) che essere pagati è garanzia di libertà.
Anche qui: può darsi.
Non voglio dire per forza di no, né voglio per forza avere ragione.
Però «libertà» è quasi l’ultima parola che mi viene da associare allo status del salariato o del collaboratore coordinato e continuativo, o del lavoratore a progetto.
l’intrattenimento
Quinta cosa.
Dice più o meno testualmente Saviano: «Se la Rai usa anche questo (i compensi, ndr) come scusa, gli toglieremo anche questa scusa. Ognuno di noi potrà lavorare così. Ripeto: è ingiusto. Per quale ragione bisogna fare beneficenza a imprese che fatturano molti soldi? (…) Perché devono essere loro a toglierli per poi darli ai loro programmi di intrattenimento o darli ai loro attorini?».
Eppure, lui e Fazio volevano solo, «attraverso personaggi popolari», (…) «raccontare l’Italia».
il mare
Qui si apre un mare vastissimo.
«I loro programmi di intrattenimento», dice.
Ma io vorrei chiedere questo: come posso definirlo, un programma al quale è annunciata la presenza di eccellenti performers come Bono e Antonio Albanese?
Sbaglio se lo definisco «intrattenimento»?
Cosa c’è di male, dunque, nell’intrattenimento?
Saviano una risposta ce l’ha: nell’intrattenimento altrui c’è di male che lo fanno «gli attorini».
gli «attorini» e il seguito
Non dirò che egli ha torto sostenendo che gli attorini sono bravi per definizione.
Dirò però altre due cose.
La prima è che la sua affermazione implica l’avvenuto conferimento a se stesso di una patente di qualità A che è giustificata in parte (e in parte cospicua, direi, a giudicare dai contenuti di quest’intervista) anche dal seguito entusiasta di un «pubblico» numeroso.
Se è così, a me sembra che il seguito numeroso ce l’abbiano anche gli «attorini» cui con semplicità tutti noi attribuiamo con leggerezza un suffisso dispregiativo.
la patente
A giustificare la patente di qualità che Saviano mostra di credere legittimamente attribuitagli c’è però anche in parte – immagino – l’eccellenza dei suoi argomenti: quegli argomenti che gli consentono di «raccontare l’Italia».
Sì.
Ma – mi domandavo – gli «attorini» raccontano forse un altro Paese?
l’italia è sempre quella
Perché a me sembra che essi raccontino l’Italia esattamente come lui.
È un’Italia che si nutre di show; di budget; di marketing; di visibilità; di «personaggizzazione».
È la «nostra» Italia.
È la stessa Italia, perché ce n’è una sola.
Quella fatta di «attorini» e di scrittori.
Fatta di ospiti e di comparse sul palcoscenico.
comparse
Le comparse che salgono per dirci «oh quant’è bello questo palcoscenico», e quelle che ci salgono per dire che le tavole che stanno calcando loro non sono un palcoscenico, ma la vita vera.
Ps. Voglio solo, come ultima cosa, dire che a me la censura non fa nessun piacere, e che sono certa che essa esista.
Le opinioni che ho messo in fila qui sopra non intendono sostenere in alcun modo che Masi non abbia tentato di fermare la trasmissione di Fazio e di Saviano (non ho elementi di prima mano, ma d’istinto e di prevenzione tenderei a credere di meno a Masi), ma vogliono solo illuminare di profilo una realtà che, vista solamente di prospetto, dice solo alcune cose.
Cara Federica, so che il tuo è un discorso più ampio e complesso.
Ma io ti faccio lo stesso una domanda.
Questa:
http://www.alterlucas.com/2010/10/una-domanda-federica.html
Ciao, Luca.
Ti ho risposto da te.
Buonanotte…
Si, le tue considerazioni danno forma ad un mio personalissimo malumore sulla questione, che fino ad ora si limitava a questa domanda: “Ma perchè tutto quello che fa Saviano deve essere per forza “sacro”? Non può far stronzate, come tutti, e semplicemente siamo più comprensivi con lui perchè – giustamente – è nella situazione kafkiana in cui è? E il grande Gaber non aveva ragione quando diceva “Quando è moda è moda”? (si, alla fine della canzone era anche più scatologico e diretto…:-))”