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l’adultera
Dice Repubblica.it che il figlio e l’avvocato di Sakineh sono stati arrestati mentre rilasciavano un’intervista.
Nel titolo Repubblica dice che:
la donna iraniana è condannata a morte per adulterio.
Nel testo, c’è scritto che
(la) donna (è stata) condannata a morte in Iran con l’accusa di adulterio e complicità nell’omicidio del marito.
A parte la gerarchizzazione magari involontariamente istituita fra adulterio (primo reato) e complicità nell’omicidio del marito (secondo reato), mi pare che sia piuttosto grave far credere che il problema sia la fattispecie di reato per la quale la donna è stata condannata (l’adulterio: ommioddio che trogloditi questi iraniani) e non la pena di morte in se stessa.
È peraltro ovvio, va senza dire, che se si trattasse solamente di adulterio ci sarebbe una serissima e tragica questione sessista (che non credo venga completamente cancellata dal fatto che la donna è accusata anche di omicidio).
Resta, però, che uccidere è un po’ più che tradire.
Un’altra cosetta.
Il testo riferisce che la notizia dell’arresto del figlio e dell’avvocato di Sakineh
è stata data da fonti locali a Daniel Salvatore Schiffer, l’intellettuale francese che ha promosso l’appello (…) cui sul nostro sito hanno aderito oltre 140 mila persone.
Per carità: l’esistenza di un appello è elemento della notizia.
Ma a me sembra chiaro che il riferimento all’appello e alla quantità delle firme (della loro «qualità» sul mercato della fama ho già scritto in un altro post) abbia a che vedere col marketing di testata.
Una cosa come «visto che bravi?».
Un autospot.
La politica, ormai, è questa roba qua.
Ma a quanto pare il problema è proprio il tipo di reato, altrimenti perché non scrivere solo “condannata a morte”? Se non sbaglio è proprio sulla gerarchizzazione fra i due termini che è stata fondata parte della campagna mediatica a favore di Sakineh: usare uno prima dell’altro mette colpevolmente l’accento sul motivo della pena, più che sulla pena in sè.
se l’esistenza dell’appello è elemento della notizia, allora ogni altra considerazione resta relegata nell’ambito delle sensibilità individuali che, proprio perché tali, non necessariamente devono avere una connotazione politica. Un saluto.
Infatti non ho detto che ha una connotazione politica.
Ho detto che l’autospot è ciò che è diventato la politica, implicando che sia anche ciò verso cui tende un tipo di giornalismo a cui piace definirsi militante.
Benvenuto, AlterEgo.
Ma la politica a mio avviso s’è limitata a copiare questa tecnica da giornali e televisioni che sono assai più competenti di lei a fare pubblicità. Si sa che il 51% di un giornale in salute è pubblicità.