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il brand-saviano e la rockstar
Questa è una mail arrivata alla redazione in cui lavoro.
Si riferisce all’incontro di cui, qui in città, è stato protagonista Roberto Saviano (vedi post precedente a questo).
A proposito delle sedie lasciate vuote dagli amministratori del Comune di Verona nella serata in cui era presente Saviano, organizzata da Nigrizia, meglio siano rimaste vuote piuttosto che una presenza “bugiarda” dettata solo da un invito e non dall’interesse alle tematiche trattate.
Meglio che quelle sedie vengano occupate da dei ragazzi, che come mia figlia, che ha 15 anni, non ha voluto perdere questa grande occasione.
Io d’altra parte per rivedere le sue lacrime, nel vedere e sentire Roberto Saviano, non aspetto inviti gratuiti, ma pago qualsiasi prezzo.
È un’altra conferma – e quanto significativa, mi pare – della confusione di generi-ruoli-funzioni-significati-simboli che esiste nel nostro spazio civile.
Ho tutto il possibile rispetto per le emozioni di una ragazzina, che non mi sogno minimamente di privare d’importanza, perché saranno il sale della sua e della nostra vita futura.
Ma non riesco a non notare che le lacrime di una quindicenne non sono state in questo caso profuse per, che so, una rockstar, ma per un idolo d’altro genere che nello spazio civile e politico (ripeterlo ha senso) commuove.
Non intendo affatto dire che sia un male: dico solo che accade.
E non intendo neanche dire che Saviano sia una rockstar, ma casomai che ne utilizza i codici comunicativi e sfrutta legittimamente (e in questo caso, perfino per buone cause) le potenzialità della «brandizzazione» del suo nome.
Ma siamo dentro a uno show; non altrove. Dentro uno spettacolo che, grazie all’epifania-esposizione del testimonial-personaggio mobilita risorse emotive, senso e spirito di appartenenza, sogno.
Ci può stare, mica dico di no.
Però direi che a questo punto non sarebbe privo di senso domandarci a che gioco stiamo giocando, e soprattutto chi sta dando le carte; chi tiene il banco. Chi è il mazziere.
E magari, se avanza tempo, anche di domandarci chi potrebbe vincere, e per fare che.
http://www.anobii.com/books/Che_cos%C3%83%C2%A8_un_dispositivo/9788889446300/01743478111bed5268/
forse può interessarti questo, sempre che il link funzioni.
e anche quest’altro, il commento 31 soprattutto.
http://www.ilcorpodelledonne.net/?p=3802
Grazie, Paperinoramone.
Ho visto e letto.
Sul commento 31 dico: sì, per la miseria: la cosa sta qui. Questo documentario è diventato “famoso” e ha prodotto:
– la notorietà per chi meritoriamente l’ha fatto;
– una serie di pubblicazioni (anche vergognosamente poco documentate e risibilmente pretenziose) che si sono inserite nella scia sfruttandone la visibilità; e, come lamenta Lorella Zanardo,
– il NIENTE fattuale e politico (radicalizzo, è chiaro).
Quanto alla questione di Saviano-Deleuze-dispositivo-WuMing1: d’accordo, sì. «Una linea di soggettivazione/fuga» è «in realtà il bordo di un dispositivo nuovo, che nasce dal collasso di quello vecchio».
Giusto.
Ma ogni dispositivo vecchio che preesiste al nuovo ha CREATO cose, ha partecipato a processi, ha realizzato fenomeni ed eventi.
È questo – accidenti – a fare la differenza.
Non mi basta sapere che siamo tutti prigionieri del dispositivo, perché questa è struttura; ma dentro e sotto la struttura ci sono i contenuti.
Questi contenuti, la loro spinta propulsiva, il loro significato nel contesto, il loro potere di rendersi motore e la loro profondità fanno dannatamente la differenza.
Cioè, ma da quando il Deleuze è diventato uno da citare? E per quanto, per quanto tempo ancora?
ma non è la mamma ad educare la figlia di modo che uno scrittore venga vissuto come una rockstar?
mi fa piacere. Ora, io a parte aver visto il doc. comprato il libro, seguito il forum e il blog ecc. non ho fatto molto altro. tempo fa, un bel po’ scrissi a wm1 per dirgli ‘sta cosa di come mi sentivo. cioè ma io faccio tanto il fico di sinistra e poi sotto sotto lo sono solo a chiacchiere? L’anno scorso sono andato da solo a roma ( mi sta vicino un’ora di treno ) alla manifestazione antirazzista, ci ho conosciuto Pierluigi Sullo, ex direttore di Carta; poi andai anche alla prima del popolo viola. Sul paesello mio sono iscritto a legambiente, ho seguito anche le riunioni, fra un po’ ci tornerò, anche perché per dire conosco i fatti del mondo e non saprei riconoscere il sindaco del mio comune. L’anno scorso poi scoppiò un incendio ad un’ecorecuperi che liberò diossina, ci furono allarmi vari, riunioni sul da farsi ( dopo due ore di percentuali e tecnicismi alla fine la domanda collettiva era: ma insomma i pomodori li possiamo mangiare?). c’ho anche la tessera del pd. La cosa migliore che penso di aver fatto è diventare vegetariano e stare attento ai prodotti che faccio comprare a mia madre, nel senso che è lei, e mio padre anche, a mantenermi. Invece sul discorso dispositivo, beh ecco, ancora è troppo lontano da me, ancora non afferro, però continuo a leggere. torno a firmare petizioni ( ogni tanto porto dei fogli per raccogliere firme ai miei amici che regolarmente mi prendono per il culo )
Giovanni, ne parlava Bui in relazione a Saviano; mica io… 😉
Matteo, sì. Ma il fatto che a una rockstar si possa sostituire uno scrittore-simbolo dipende dalla congiuntura che si vive. Non dalle madri delle ragazze che legittimamente si commuovono.
Paperino, può essere che in effetti il piano del «fare» (con tutti i distinguo del caso) e quello dell’elaborare politicamente (in modo collettivo e per obiettivi collettivi) non sono mai stati così distanti come ora?
si, si, si. Dei buoni esempi possono essere il movimento no dal molin e no-tav. il collettivo dei precari del call-center athesia. movimenti sconfitti e però buone esperienze. Io leggo e rileggo la tua domanda, ma veramente a parte essere d’accordo non sono capace di pensare a come potrebbero rimescolarsi i piani. cioè parlando della Zanardo, ci vorrebbero delle assemblee, la creazione di un luogo fisico dove ci si riunisce? oppure bisonga aspettare e diffondere ancora. però forse non è l’esempio giusto…
Il problema è «da dove si riparte?».
In qualche momento, per la verità, penso che il problema sia «ma si può ripartire, o è meglio dedicarsi alla cura di sé?» (e dopo deleuze, ecco che spunta Foucault!!!). 😉
allora guarda, mettendo da parte l’imbarazzo; per me stare qui e leggerti e ogni tanto commentare fa parte della cura di sé, e certe volte penso che sia anche negativo, o piuttosto rivelatorio di un disagio. Nel senso, io non produco contenuti, non ho motivo di seguire alcuni mondi tranne quello di apprendere determinate cose. Per cui qui ho l’illusione di stare aggangiato a un luogo in cui non avvengono le cose, ma avvengono le loro discussioni. Forse dobbiamo aspettare che gli stranieri saranno così tanti che cominceranno a fare qualcosa loro, oltre a quello che già fanno, che lo rifaranno loro il paese. Ma tu immagini di chiudere questo spazio o di trasformarlo in altro?
Questo è un periodo in cui mai come prima sto tentando di prendere sul serio me stessa, i miei desideri e i miei progetti.
Per ora sono concentrata sull’obiettivo di ascoltarmi e darmi fiducia.
Il blog è un luogo che mi ha aiutato a prendere consapevolezza dell’estensione e del senso dei miei confini; mi ha dato il modo di rendere manifesta a me stessa l’incomprimibilità delle mie idee (proprio di quelle a cui la vita quotidiana mi imponeva di fare a meno; proprio quelle che la situazione mi avrebbe imposto/mi imporrebbe di nascondere); mi ha dato la forza di non tentare nemmeno di mimetizzarmi con lo sfondo; è stato ed è il luogo in cui s’è manifestato il mio involontario coraggio di rimanere fedele a me e di fissare di giorno in giorno un punto-soglia su cui poggiare il piede per lo scalino di pensieri successivo.
Qualche idea nuova ce l’ho, ma non è una priorità.
Credo che il blog resterà simile a se stesso per un altro po’.
Come dicono nei convegni: ti rignrazio per questa domanda.
e come chiosano nei conventi: amen!
🙂