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il brand-saviano e la logica binaria
Ieri sera a Verona c’era Roberto Saviano.
Non in qualità di scrittore.
Non in qualità di giornalista.
Per entrare a sentirlo parlare bisognava pagare quindici euro, che finanzieranno meritoriamente un asilo dei padri comboniani, quelli a cui, per capirci, appartiene padre Alex Zanotelli.
Bene.
Tutto bello e tutto assai più che legittimo.
Tutto probabilmente addirittura doveroso.
Però la presenza di Saviano come testimonial-sponsor non certifica in modo molto chiaro che la natura della sua presenza civile è legata alla dimensione etico-politica dello show?
No, mi si potrebbe dire: è beneficenza. Come le cene elettorali, quelle alle quali partecipi solo pagando molto denaro, e invece qui bastavano quindici euro perché ciò che Saviano ha da dire (secondo le cronache che ne ho letto, che Castelvolturno è vicino a Verona) è interessante per la gente normale, e non per i ricchi o «gli eletti».
Sì.
Forse.
Ma questo è l’effetto del «brand Saviano». Il marchio «tira», e dunque viene usato per scopi meritori.
Il problema, però, sta nel fatto che il meccanismo della «brandizzazione» presiede ormai a qualunque riconoscimento di autorevolezza. Sei autorevole solo se sei riconoscibile come il babbo natale della Coca cola.
E per farti diventare come il babbo natale della Coca cola ti devo ossessivamente riproporre come il babbo natale della Coca cola.
Barbuto, bianco e rosso, benevolo, sorridente (è solo un esempio: è evidente che non si riferisce a Saviano, che è invece, e comprensibilmente, l’icona del travaglio).
Poi, col tuo brand, raccolgo soldi per opere di bene.
Io, però, da questo dannatamente scomodo angolino di mondo mi domando: ma non è una follia? Non c’è qualcosa che non torna?
La legittimazione esclusiva del comunicatore-brand di quanti pezzi di mondo ci rende dimentichi?
Come se ne esce? Dando a ciascuno il suo eroe?
Qui, ieri sera, le sedie riservate all’amministrazione comunale erano desolatamente vuote.
Ecco qual è, indipendentemente dai contenuti autentici (sempreché ci siano), l’unico vero messaggio che il «brand» riesce a veicolare: la semaforizzazione dello spazio civile-politico secondo il ritmo binario e semplificato on-off dell’«o stai con me o sei contro di me».
E quelli a cui non piace il brand e non piace nemmeno l’arrogante sufficienza del Comune, invitato e assente, non hanno strade, e neppure vicoli. Sono nel vicolo cieco dell’alterità di chi s’è stancato di applaudire o di seguire il corteo della bandiera; di chi non ne può più di questo stupido mondo di eroi; di chi non ama affatto il principio della beneficenza eppure detesta l’esclusione sociale.
Tanti cari saluti a tutti: la mia sedia è sempre più stretta. Somiglia sempre di più a un trespolo che via via si riduce.
Un giorno diventerà appuntito e arroventato.
E allora me ne andrò. No. Me ne andrò un pochino prima.
Da napoletana ,non ho mai amato Saviano, un romanziere che si è trovato stritolato in un meccanismo più grande di lui.Si è trovato al posto giuto al momento giusto o per lui al momento sbagliato.Ora gli tocca essere attore di se stesso.E forse chissà :neanche lui è tanto consapevole del confine tra il Saviano personaggio e un Saviano qualunque. ,
Non saprei, Mk; benvenuta.
Però è diventato un «fenomeno», non è più solo un uomo.
E come tutti i «fenomeni» si presta a fare da analizzatore di quel che succede intorno, dentro e prima di lui.
Ma la semaforizzazione ‘ davvero irresistibile e inevitabile, Federica? A me sarebbe piaciuto da morire che tu fossi andata da Saviano provando a porgli qualcuna delle domande che da tempo formuli nei tuoi post. Non mi pare che gli spazi siano preclusi del tutto e che tutto sia inquadrato ineluttabilmente nella logica delle tifoserie. E che anche se questo e’ il paradigma dominante, si possano ancora tentare delle azioni per provare ad invertire la rotta e a instillare qualche dubbio.
Ciao Federica.
Io credo che Saviano con la sua attività extraletteraria stia semplicemente cercando di fare, negli unici e ragionevoli modi che forse ora gli sono consentiti, della vita sociale. Non sempre condivido le tue analisi “terziste” ma è vero che egli adesso è un <>. Da scrittore lo stanno trasformando in qualcosa (cosa? un’opinionista? un “maitre à penser”?) di cui non c’è nessun bisogno. A me dispiace soprattutto quello che è successo al suo libro, cioè il fatto che sia stato sepolto da tutta la frana mediatica successiva alla pubblicazione. Alla fine, come in un bignami scolastico, il riassunto che ne è stato fatto e dato in pasto all’opinione pubblica è quel dito puntato contro la camorra che a qualcuno è sembrato ovvio,già visto,già raccontato. E’una semplificazione che vanifica il valore letterario di un libro che purtroppo è ormai un feticcio, un oggetto da esporre in salotto per fare bella figura, o da evocare in un discorso “impegnato”, e senza dover nemmeno pagare quindici euro…
(Qui a Verona, noto, è frequente l’incontro-spettacolo con il personaggio culturale di primo piano).
Carmelo.
Tra quelle parentesi in alto a destra c’era scritto fenomeno.
Carmelo
ciao Federica,
sono nuovo tra i tuoi lettori. Ho scoperto il tuo blog casualmente qualche giorno fa e lo trovo molto interessante. Come di consuetudine credo che leggerò tutti i tuoi articoli che, fin’ora, trovo molto interessanti.
Condivido tutto quello che scrivi in questo tuo post.
Bene arrivato.
Spero che ti troverai bene.
Grazie, a presto.